REGGIO CALABRIA «Non vi sono elementi, tratti dalle intercettazioni, per poter affermare che Caridi prendesse parte alla struttura riservata della ‘ndrangheta, diversamente, per quanto si è visto, da Alberto Sarra, il quale sin dalle elezioni regionali del 2000 aveva lamentato esplicitamente con Romeo (Paolo, ndr) che i De Stefano non lo avevano votato poiché gli avevano preferito Scopelliti consentendo a Fiume di procurargli i voti con il metodo mafioso, così mostrando di appartenere allo stesso circuito criminale di Romeo». Così i giudici del processo “Gotha” separano le storie politiche di Antonio Caridi – assolto – e Alberto Sarra – condannato a 13 anni. Due totem del consenso per il centrodestra reggino con destini processuali divergenti. Non valgono le dichiarazioni dei pentiti Fiume, Moio, Antonino Lo Giudice e Consolato Villani a inquadrare Caridi nella “riservata”. Le loro parole «sono tutte convergenti su un unico dato, cioè su quello del sostegno elettorale tributato a Caridi da parte delle famiglie criminali» mentre riguardo «all’intraneità dell’imputato alle singole consorterie i riferimenti sono tutti generici e privi di circostanze specifiche». Peraltro, le conversazioni tra Paolo Romeo, fulcro del disegno politico della ‘Ndrangheta, e Caridi, «sono rarissime». Riguardano soltanto le amministrative del Comune di Reggio Calabria del 2002. E finiscono per delineare la figura del politico alla stregua di un «battitore libero, estraneo ai disegni di Paolo Romeo».
Il Tribunale ha «tracciato il tratto distintivo di Caridi, quale politico spregiudicato, che in occasione delle competizioni elettorali non disdegnava di coltivare rapporti e frequentazioni con soggetti delle più importanti consorterie criminali per chiare finalità elettorali». Per i giudici «è dimostrato che nelle competizioni elettorali svolte fino al marzo 2002 Caridi ha avuto il sostegno elettorale dei De Stefano». Parole di Antonino Fiume che troverebbero «ampia conferma sia nelle intercettazioni, in cui era lo stesso Franco Chirico a dire che sino alle elezioni europee del 2004 (e ad esclusione delle stesse) aveva sostenuto Caridi, sia nelle registrazioni delle conversazioni di Angelo Gaetano Chirico con il tenente Alessandro Trovato, in cui il cugino di Franco Chirico narrava del sostegno elettorale che quest’ultimo aveva dato prima a Caridi e poi, deluso nelle sue aspettative di vantaggi personali, a Sarra». Fiume racconta che Caridi, sarebbe stato «accompagnato nel territorio della provincia di Reggio Calabria, in occasione della competizione per le regionali del 2000, da Franco Chirico».
Una presenza che «significava mostrarsi sotto la protezione di una parte dei De Stefano», visto che «Chirico era il cognato di Paolo e Orazio De Stefano». «Che Caridi fosse appoggiato da una parte dei De Stefano – si legge nelle motivazioni della sentenza – in quegli anni non era pertanto un mistero». Nelle intercettazioni dell’inchiesta “Armonia”, peraltro, «vi è la prova che Paolo Romeo, nel 1998, e pertanto in vista delle Regionali del 2000, avesse interpellato Rocco Morabito, soggetto reggente della omonima consorteria nonché fratello di Giuseppe Morabito detto Tiradritto per avere i voti della consorteria in favore dei candidati del partito Rinnovamento italiano, al quale era estraneo Caridi invece candidato nel Ccd». Anche il sostegno dei Morabito e dei Iamonte, «diversamente da quanto descritto nella rubrica» non sarebbe andato a Caridi, bensì all’ex consigliere regionale Domenico Crea, «il quale aveva incontrato Pansera impegnandosi in uno scambio mafioso politico-elettorale».
Tornando all’aiuto di Franco Chirico a Caridi, invece, questo «non era certamente disinteressato». Eppure Chirico, in alcune intercettazioni captate in occasione delle Europee del 2004, «chiaramente diceva che Caridi lo aveva deluso, al punto da definirlo un politicante, poiché non lo aveva accontentato in nessuna delle sue pretese». Riscontri alle dichiarazioni di Fiume vi sarebbero «anche per la parte relativa al conseguimento dei voti da parte di Caridi delle famiglie di Africo, che erano insediate nel territorio di Archi, e sulle quali Franco Chirico esercitava un controllo attraverso il genero medico originario di Africo». L’ex parlamentare, seppure assolto, si sarebbe dunque «avvalso del sostegno di Franco Chirico e della parte dei De Stefano a cui apparteneva» per le elezioni del 2000, del 2001 e del 2002. Lo stesso Chirico spiega che «prima che lo deludesse per non avere mai soddisfatto le sue pretese, aveva sempre trattato Caridi come un figlio».
Riguardo invece alla “partecipazione” del politico agli affari delle consorterie mafiose, le motivazioni della sentenza sottolineano che «tutte le dichiarazioni dei collaboratori Villani e Antonino Lo Giudice in ordine all’assunzione di dipendenti» “sponsorizzata” da Caridi, «oltre a presentare evidenti profili di incongruenza intrinseca sono prive di riscontri. Si è già evidenziato come i riscontri alle assunzioni dei dipendenti riferite dai collaboratori essere avvenute su segnalazioni delle famiglie criminali e per intercessione di Caridi sono prive di riscontri individualizzanti». C’è la prova «dell’assunzione del soggetto ma non già della modalità illecita della costituzione dello stato rapporto di lavoro per effetto dell’intercessione di Caridi».
Per i giudici «le conversazioni analizzate confermano ancora che Caridi ha fruito nel tempo del sostegno elettorale di plurime famiglie criminali, e in particolare dei Caridi, dei Libri, dei Maviglia e dei Pelle. Il materiale probatorio sul punto è ampio e inequivoco e in tali termini conferma le dichiarazioni dei collaboratori». In sostanza, «Caridi coltivava rapporti con soggetti che appartenevano alle predette famiglie criminali, le quali si cimentavano nella campagna elettorale per il procacciamento dei voti in occasione delle varie competizioni elettorali, plaudendo al buon esito». I giudici, però, evidenziano che «in nessuna delle conversazioni passate al vaglio è mai emerso un accordo di scambio elettorale politico-mafioso, né il ricorso a Caridi per trarre utili in favore delle consorterie o degli accoliti e l’impegno del politico in tale direzione». Lo stesso boss Giuseppe Pelle ritiene, dopo le elezioni del 2010, che la cosa doveva «avvantaggiarsi del fatto che il politico era stato eletto» dalla sua famiglia. Eppure «non presentava subito al politico il conto per la controprestazione asseritamente pattuita prima delle elezioni, ma dettava i metodo con cui avvicinarsi al politico» attraverso «un soggetto insospettabile, un imprenditore, evidentemente contiguo alla consorteria, che gradualmente avrebbe dovuto carpire la fiducia del politico, attraverso una progressiva frequentazione, per poi poter chiedere di essere favorito». Da altri politici «pure sostenuti alle elezioni» si poteva pretendere «la controprestazione pattuita», mentre «nessun accordo esplicito di scambio politico-mafioso era stato concluso tra Pelle e Caridi». «Votato», dunque, e considerato «avvicinabile e disponibile», Caridi «non aveva disdegnato il sostegno della famiglia criminale». Ma il fatto che il boss avesse studiato una strategia per avvicinare il politico dopo il voto è, per i giudici, la prova che non era stato stretto alcun patto. E peraltro, non ci sono prove che Caridi, «da consigliere comunale prima e da assessore comunale e regionale poi», abbia “lavorato” per favorire quelle cosche che pure lo avrebbero sostenuto. (p.petrasso@corrierecal.it)
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