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il burattinaio

Quindici anni di misteri e ombre. Paolo Romeo, la massoneria segreta e la nascita della “nuova” ‘Ndrangheta

Tra l’enclave destefaniana e i palazzi della politica. I giudici di Gotha: l’avvocato «esempio dello sviluppo moderno del ruolo delle cosche»

Pubblicato il: 03/08/2023 – 7:15
di Pablo Petrasso
Quindici anni di misteri e ombre. Paolo Romeo, la massoneria segreta e la nascita della “nuova” ‘Ndrangheta

REGGIO CALABRIA Tanto per dare l’idea: nelle 7.683 pagine – non proprio una sintesi striminzita – della sentenza “Gotha”, per i giudici «è impossibile citare tutti gli elementi di prova di cui è disseminata la lunga trattazione» sulla figura di Paolo Romeo. L’avvocato avrebbe avuto (assieme a Giorgio De Stefano) un «ruolo centrale nell’organizzazione criminale ‘ndranghetista operante sul territorio di Reggio Calabria» in un periodo molto lungo, «un arco temporale di almeno quindici anni» a partire dalla «prova fondamentale» della sua appartenenza alla massoneria segreta, cioè una «conversazione del 17 maggio 2002, intercorsa con l’allora senatore Giuseppe Valentino». 

Al circolo Posidonia gli incontri per aiutare i “compari” ad avvicinare i magistrati

Da lungo tempo dietro le quinte di carriere politiche create in provetta per sostenere interessi oscuri, Romeo sarebbe «componente della massoneria segreta o componente riservata della ‘Ndrangheta unitaria come esponente della consorteria De Stefano». Segue un impressionante elenco di «elementi probatori tutti convergenti e univoci» che descrive l’avvocato come elemento «di vertice» della famiglia criminale. Esempio: quando la sua “casa”, il circolo Posidonia, viene danneggiato da esponenti dello schieramento Fontana-Saraceno-Rodà, l’intervento di Romeo «avrebbe richiamato una estromissione dei soggetti richiamati dall’organizzazione criminale». In quel circolo, l’avvocato avrebbe ricevuto «esponenti delle principali consorterie criminali che» vi si recavano per ottenere «consigli e soluzioni che potessero avvantaggiare gli accoliti attraverso corsie illecite». A un “compare” preoccupato per la situazione giudiziaria di suo padre, Romeo avrebbe promesso di seguirne le richiesta, «avvicinando e condizionando il giudice della Corte d’Appello di Reggio Calabria che sarebbe stato designato». «Andiamo e l’arriviamo», dice senza provocare lo stupore del suo interlocutore, già avvertito della capacità di Romeo di condizionare i procedimento giudiziari. Quando il compito appare difficile, l’imputato – condannato a 25 anni – propone di ricusare i magistrati «non condizionabili». Una circostanza, quella dell’interazione tra Romeo e alcuni settori della giustizia che, per i giudici di Gotha, «riscontra le dichiarazioni del collaboratore Fondacaro in ordine alla appartenenza alla massoneria segreta di soggetti dell’ordine giudiziario, disponibili all’aggiustamento di processi in favore di soggetti della criminalità organizzata». 

Tre lustri ai vertici della ‘Ndrangheta

L’uomo al centro dei misteri di Reggio Calabria «ha attraversato, pressoché indenne, almeno tre lustri in cui, salvo il periodo della carcerazione, ha esercitato il ruolo di soggetto al vertice della struttura criminale». A lui si dovrebbe la pax mafiosa che pose fine alle mattanze sullo stretto in nome della spartizione di proventi illeciti tra le ‘ndrine. A lui e a Giorgio De Stefano, i presunti “riservati”, menti raffinate cui «competeva il ruolo di preservare gli equilibri raggiunti». Testa di una piovra che, per accaparrare risorse pubbliche, contava su «politici spregiudicati come Alberto Sarra» e «imprenditori mafiosi mobilitati nel condizionamento del consenso elettorale, con l’impegno a riconoscergli la percezione di importanti risorse finanziarie pubbliche». Metodo antico, consolidato e praticato da Romeo «ancora negli anni 2007 e 2011, ancora quando i collegamenti tra il Romeo, Sarra e Scopelliti incominciavano ad essere visibili, al punto da portare il Marra a temere, anche a fronte dell’inaffidabilità mostrata dai politici coinvolti, che tale modus operandi potesse inutilmente sovraesporre entrambi, e consentire l’accertamento della condotta da parte degli inquirenti».

Romeo «esempio dello sviluppo moderno del ruolo ‘ndranghetistico»

Che sia questo 76enne capace di muoversi tra i salotti buoni e l’enclave destefaniana di Archi la figura che incarna il passaggio storico tra vecchi e nuovi clan è ipotesi dei giudici. «La figura di Paolo Romeo – scrivono – costituisce pertanto l’esempio dello sviluppo moderno del ruolo ‘ndranghetistico. I metodi praticati erano resi possibili da una fitta rete di relazioni intessute nel tempo con soggetti con ruoli istituzionali e allo stesso tempo con la mafia tradizionale, in posizione di raccordo tra il vecchio ed il nuovo, per assicurare all’ente criminale di preservare la propria esistenza ed accrescere la propria potenza accedendo alle stanze del potere amministrativo». Non una lobby ma «una convergenza di soggetti con ruoli istituzionali in un ente partecipato anche da soggetti appartenenti alle consorterie criminali. L’organismo in questione è la massoneria segreta, menzionata da Paolo Romeo e dal senatore Giuseppe Valentino nella conversazione del 17 maggio 2002, alla quale, secondo le emergenze della stessa conversazione, oltre che i due interlocutori, prendeva parte certamente Giorgio De Stefano, e della quale, invece, doveva essere tenuto all’oscuro Giuseppe Scopelliti». 

Il “lavoro” della massoneria segreta dalle elezioni

Questa massoneria segreta, «convergenza tra uomini delle istituzioni e vertici della ‘ndrangheta, aveva ancora interferito e si era adoperata negli anni 2002-2004, prima nel sostegno all’elezione di Scopelliti (attraverso gli interventi anche di Giuseppe Valentino per la gestione dei fondi del Decreto Reggio), poi per prevenire che “il sistema di potere” potesse essere compromesso da possibili iniziative centrali di commissariamento del Comune di Reggio Calabria». Sarebbe stato, si legge nelle motivazioni, «ancora Giuseppe Valentino che, avvalendosi del suo ruolo istituzionale di sottosegretario al Ministero della Giustizia» avrebbe incontrato «il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria per cercare di trarre informazioni su eventuali iscrizioni a carico degli amministratori del Comune di Reggio Calabria». Lo stesso sistema avrebbe operato in occasione delle elezioni del sindaco di Reggio Calabria nel 2007 per poi allentarsi in seguito, per una serie di fattori: «il consolidamento del potere politico di Giuseppe Scopelliti, l’arroganza e sicumera di Alberto Sarra, l’emersione del collegamento tra la criminalità organizzata e gli uomini infiltrati negli apparati amministrativi a causa della perduranza nel tempo del metodo e del legame».

Quanto Sarra diventa inaffidabile

Elementi che avevano allentato il legame «nella misura in cui Scopelliti era sempre più riottoso ad assecondare le richieste di Romeo, rifiutando persino rincontro e negando anche il saluto in occasione di incroci casuali». Nel 2011, poi, Sarra diventa «inaffidabile al punto di essere ritenuto anche responsabile dell’incrinatura dei rapporti con Scopelliti». Diventa un “carrialandi” mentre Romeo si sente rinfacciare dall’amico e sodale Antonio Marra una serie di errori strategici che avevano messo i due in una situazione di subalternità rispetto alla politica che avrebbero invece dovuto manovrare. L’avvocato dei misteri di Reggio a quella conversazione partecipa poco, risponde a mala pena. Forse perché sa di essere espressione di un potere che, nella città dello Stretto, ha superato le curve più insidiose della storia. Forse perché sa che «la ‘ndrangheta tradizionale» gli «tributava il rispetto dell’uomo di vertice». Che non ha bisogno di preoccuparsi dei “carrialandi”. (p.petrasso@corrierecal.it)

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