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Il potere (e le paure) degli “uomini nell’ombra” che governavano Reggio Calabria

I rapporti con i servizi e la magistratura che avrebbero “salvato” Marra dall’arresto. I silenzi di Romeo. Il fallimento del progetto “Noi Sud” e il redde rationem con la politica. «Devono sapere s…

Pubblicato il: 04/08/2023 – 18:48
di Pablo Petrasso
Il potere (e le paure) degli “uomini nell’ombra” che governavano Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA All’interno del circolo Posidonia i due amici discutono delle strategie per condizionare la politica, di qualche errore commesso e di una sovraesposizione, la loro, che potrebbe metterli nei guai. Antonio Marra e Paolo Romeo sono considerati dai giudici parti di un sistema che avrebbe il proprio vertice nella ‘ndrangheta riservata. In una conversazione ambientale del 15 settembre 2011 le menti raffinate che hanno vissuto in prima linea (e quasi sempre nell’ombra) le più oscure trame della città di Reggio Calabria parlano di scommesse (quasi) perse e progetti falliti.
La lunga chiacchierata riportata nella sentenza Gotha viene considerata particolarmente «significativa» perché in grado di descrivere, almeno in parte, le forze che si agitano dietro la politica, comunale e non solo. Uno davanti all’altro siedono due avvocati: sono amici, per quanto possibile, coltivano in comune l’interesse di indirizzare le istituzioni, di “far accadere le cose”. Sono – secondo i giudici – a proprio agio sia tra i criminali che nella Reggio bene, hanno conoscenze nella massoneria, in magistratura, nei servizi segreti. Due potenti più avvezzi alla riservatezza che ai palchi. E hanno atteggiamenti diversi davanti alle sfide che il momento storico presenta.

Le associazioni culturali “inutili” senza un progetto. «Me ne fotto di quelli di Gallico»

Le associazioni culturali "inutili" senza un progetto. «Me ne fotto di quelli di Gallico»
AVVOCATO | Antonio Marra

Marra sarebbe, «in quel contesto» molto più pragmatico rispetto a Romeo, perché «abituato a intuire i rischi di essere associati ai contesti della criminalità organizzata, secondo un modello investigativo che aveva sperimentato nei lunghi anni in cui aveva ricevuto e scambiato informazioni con le forze dell’ordine, e anche con magistrati avvezzi a un sistema di compromesso, nell’ottica miope del perseguimento del successo circoscritto e particolare». Marra si chiedeva a cosa servissero le “loro” associazioni culturali, ciascuna delle quali pensata per indirizzare un campo particolare della politica. Si domandava, in sostanza, quale fosse il senso del loro agire («organizzare eventi culturali, farsi portavoce di istanze particolari») «se dietro tutto quell’organizzare non vi era un chiaro disegno politico capace di far conseguire utili concreti in termini politici ed economici». A cosa serve la “Festa del mare”, a chi giova portare avanti le istanze dei venditori ortofrutticoli o degli abitanti di Gallico che chiedono il lungomare se, in effetti, di quelle richieste non ti interessa nulla? Senza un progetto «me ne fotto di quelli di Gallico io – dice Marra –. Quattro sciacqua lattughe che non sanno come parlare male di noi». 

«”Noi Sud” ci ha portato solo malu cori»

sarra_processo_gotha
NOI SUD | Alberto Sarra

Uno dei riferimenti più dolorosi di Marra, era al «fallimento» del progetto “Noi Sud”, «che era diventato uno strumento nelle mani di Miccichè, da cui avevano finito di fatto per essere estromessi a causa delle ambiguità di Alberto Sarra, che diceva persino che era in grado di usarli e tenerli a bada, utilizzandoli come uno strumento collettore di voti e nient’altro». Quel passaggio politico rappresentava «una realtà – scrivono i giudici – con cui non si poteva non fare i conti, in quanto il loro esporsi in prima persona, violando le regole del loro agire, che invece erano quelle di operare nelle retrovie, in estrema segretezza, nascosti dietro un muro, non aveva portato a nessun risultato». «Cioè, a “Noi Sud”, alla fine, tranne i problemi… Malu cori (rancore, ndr), fastidi e cose, non ci ha portato niente come visibilità, non in termini economici o in termini…», dice Marra che non apprezza il silenzio dell’altro “uomo nell’ombra”: «Io non ti capisco, se me lo spieghi, per favore. Io parlo, parlo, ma tu non mi rispondi. Spiegamelo, così io capisco e sono più tranquillo». 

«Marra era risultato utile a un certo tipo di magistratura»

GOTHA | Paolo Romeo

Il tempo passa e sembra consumare anche il potere di Marra e Romeo, «in quel frangente in cui uomini come Demetrio Arena, sindaco dell’epoca, Giuseppe Raffa, presidente della Provincia, Lamberti Castronuovo, assessore alla Cultura della Provincia, erano diventate delle schegge impazzite», sintetizzano i giudici. Come se non bastasse, «a fronte di scarsi risultati in termini di utilità concreta, il loro agire attirava l’attenzione degli inquirenti». 
I due amici allargano il campo della riflessione anche ai loro rapporti con la giustizia. Quel lavoro appare inutile «perché anche le cose che noi abbiamo fatto e che stiamo facendo sembrano, cioè dire, di supporto a questa amministrazione regionale e a questa magistratura, no?». Romeo corregge subito l’amico: «La magistratura no». Ma per i giudici quello di Marra è un «lapsus freudiano» perché – e in questo passaggio le motivazioni della sentenza riservano una stoccata proprio alla magistratura – «a un certo tipo di magistratura – si legge – Marra era pure risultato utile». 

L’«immunità» per Marra grazie ai rapporti con servizi e forze dell’ordine

C’è un’altra frase che la sentenza si incarica di spiegare. La pronuncia sempre Marra per descrivere ancora meglio il rischio di esposizione alle indagini. «Se supportiamo questa amministrazione – dice – e questa amministrazione… se A è uguale a B e B è uguale a C, A è uguale a C. O no?». Ciò che Marra intende dire «è che poiché loro, e cioè Paolo Romeo e Giorgio De Stefano (“A”), ma anche lo stesso Marra dal 2010 in poi, si erano adoperati per la buona riuscita elettorale di Sarra e Scopelliti (“B”), e questi ultimi due risultavano eletti con i voti della criminalità organizzata, anzi erano criminalità organizzata (“C”), anche loro erano ‘ndrangheta (“A è uguale a C”)». La replica di Romeo è «che qualcuno aveva chiarito le cose agli inquirenti» («Sì, però gliel’hanno spiegato poi») ma Marra non è soddisfatto. E evoca che «nel procedimento Meta, che aveva visto la cattura di Pasquale Condello grazie alla complicità di soggetti della ‘ndrangheta con i servizi segreti aveva corso il rischio di essere arrestato». Quell’arresto tuttavia non era arrivato e «Marra – continua la sintesi operata dai giudici – sosteneva pertanto che per lui operava una sorta di immunità, perché qualcuno aveva spiegato a Pignatone quale era stato il suo vero ruolo, riferendosi ai suoi rapporti con i servizi segreti, alle forze dell’ordine, ai magistrati con i quali da lunghissimo tempo si era relazionato, i quali avrebbero “pertanto” spiegato a Pignatone che Marra aveva fornito informazioni, acquisite dall’interno dei circuiti criminali in cui pure aveva operato».

Marra e il “mancato” arresto nell’inchiesta Meta

CATTURA | Pasquale Condello

In maniera ancora più esplicita: «Secondo Marra» l’ex procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone «aveva certamente acquisito elementi investigativi a suo carico che ne avrebbero consentito l’arresto nel procedimento Meta, ma che tuttavia non erano stati impiegati contro di lui in ragione del suo ruolo di confidente di servizi di sicurezza, forze dell’ordine e magistrati». Un ruolo che, invece, Romeo non svolgeva e per questo motivo, nel loro “agitarsi” politico, «certamente correva il rischio di essere indagato». Marra, «l’uomo di mezzo», sarebbe stato al sicuro. Ipotesi sbagliata alla luce dell’esito del processo (è stato condannato a 17 anni in primo grado). Marra in realtà, non era convinto «che il procuratore Pignatone avesse aderito al sistema pre-esistente, ma che piuttosto il suo arresto nel procedimento Meta relativo alla cattura di Pasquale Condello non era stato possibile solo in quanto il compendio probatorio non lo consentiva, e che a Pignatone fosse comunque noto il suo autentico ruolo e dell’esistenza di un sistema che vedeva coinvolti magistrati inquirenti, cose, queste, che poteva aver appreso, Pignatone, se non da avvocati comunque da persone del suo staff investigativo».

Il redde rationem con Scopelliti&Co. «Devono sapere se siamo amici o nemici»

Il nodo dei discorsi è, però, sempre la politica. In quel momento storico i due devono decidere in che modo «regolare i rapporti con Scopelliti e con il direttore generale Zoccali», perché quei rapporti li esponevano troppo a eventuali azioni investigative. O con la politica o contro, non c’è più tempo. Perché «il legame con Scopelliti, mediato dal ruolo di Sarra, era diventato pericoloso per loro, e a rischio di coinvolgimenti giudiziari in quel momento in cui Scopelliti era attenzionato dagli inquirenti per via del caso di Orsola Fallara, dirigente del settore Finanze e Tributi del Comune di Reggio Calabria durante la seconda sindacata Scopelliti (a causa della quale Giuseppe Scopelliti riportava sentenza di condanna definitiva per i reati di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico)». «Questi devono sapere – è l’idea di Marra – come hai detto tu, siamo amici? Va beh, chiudiamola qui. Siamo nemici? Allora ci facciamo la guerra, chi può di più mena». (p.petrasso@corrierecal.it)

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