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«Il turismo in montagna può crescere, ma aria fresca e buona cucina non bastano. La ricetta è un’altra»

Il docente dell’Unical Francesco Aiello: «Riesce chi punta su offerte digitali e servizi aggiuntivi. Le istituzioni? Facciano il loro, non pensino a investimenti faraonici»

Pubblicato il: 04/08/2023 – 6:59
di Emiliano Morrone
«Il turismo in montagna può crescere, ma aria fresca e buona cucina non bastano. La ricetta è un’altra»

Francesco Aiello è professore ordinario di Politica economica nell’Università della Calabria, coordina le attività di divulgazione e gli studi del portale tematico “Open Calabria”, condirige la collegata rivista “Regional Economy” ed è tra l’altro membro del network scientifico “Global Labour Organization”. L’economista vanta un’intensa attività di ricerca, spesso focalizzata sui temi dello sviluppo delle regioni. Con lui oggi parliamo del futuro del turismo in Calabria, partendo dall’incremento significativo, dopo i lockdown legati al Covid, dei pernottamenti negli alberghi dell’altopiano della Sila, in parte interessato da un’evoluzione imprenditoriale di cui avevamo scritto in un recente reportage (leggi qui). Secondo il docente dell’Unical, l’aria fresca e il cibo buono non possono essere gli elementi principali per la crescita del turismo nell’area silana. A suo avviso, occorre invece: mantenere la capacità di innovare propria delle nuove generazioni; strutturare un’organizzazione flessibile nelle strutture ricettive; costruire una rete dei piccoli attrattori storico-culturali; sostenere investimenti a basso costo e ad alto rendimento, ad esempio per il movimento in bicicletta e la pesca sportiva nei laghi esistenti. «È necessario – secondo Aiello – dialogare in modo laico sulle cose da fare» e bisogna «confrontarsi su idee in grado di stimolare la crescita del turismo». Comunque, avverte il professore, «senza un maggiore coinvolgimento di privati che assumano il rischio di impresa, sarà difficile immaginare la Calabria come una straordinaria destinazione turistica».

Professore, la Sila è da anni più frequentata dai turisti. Perché?
«Il turismo in Sila, come ben sappiamo, ha due caratterizzazioni: quella invernale, trainata dallo sci alpino e da forme embrionali di sci nordico, e quella legata alle stagioni estive. Rispetto al turismo invernale, la Sila è abbastanza riconosciuta come destinazione turistica. Sebbene sia soggetto ai vincoli legati alla disponibilità di neve naturale, l’altopiano silano attrae molti turisti extraregionali, provenienti soprattutto dalla Sicilia e dalla Puglia. Il turismo montano d’estate rappresenta, invece, un’area del tutto inesplorata delle potenzialità turistiche della Sila nei mesi da maggio a ottobre. L’esperienza e le analisi delle caratteristiche del territorio consentono di affermare che non si è ancora riusciti a trasformare le risorse locali in prodotti da vendere nel mercato dei turismi. In base a queste considerazioni, è utile interrogarsi se esistono specifiche nicchie di mercato su cui puntare, soprattutto tenendo conto delle caratteristiche naturalistiche e orografiche dell’altopiano silano». 

Che cosa dicono i dati sulle presenze in Sila?
«Dal lato dell’offerta dei servizi turistici, il dato di partenza è che noi abbiamo molte strutture ricettive che lavorano intensamente nelle settimane a cavallo di Ferragosto, con tassi di utilizzo della capacità ricettiva che rasentano in molti casi anche il 100 per cento. Nel periodo di agosto, la domanda è altissima e ad elevata concentrazione temporale, con presenze turistiche provenienti in prevalenza dai poli urbani regionali e da Puglia, Sicilia e Campania. In crescita sono anche i turisti provenienti dal Centro-Nord. Nelle estati fra il 2019 e il 2022, il 67 per cento delle presenze turistiche in Sila è stato di turisti extraregionali. I turisti internazionali sono invece pochi, circa il 2 per cento del totale. L’esperienza post Covid-19 evidenzia anche in Sila la presenza di un fenomeno che ha contraddistinto il turismo montano, ossia un notevole incremento dei flussi turistici verso la montagna». 

Ci sono approfondimenti sull’andamento del turismo in Sila?
«Da uno studio realizzato intervistando i responsabili di 72 strutture alberghiere ed extralberghiere attive in Sila, emerge che, rispetto all’estate del 2019, nel biennio 2020-2021 si è registrato un aumento di circa il 22-23 per cento di presenze turistiche. Questo dato è più o meno confermato nell’estate del 2022. Per stagione estiva, è bene precisare, intendiamo i quattro mesi da luglio a ottobre, che è incluso per le proposte di eventi e sagre che lo caratterizzano. Questi incrementi sono significativamente più elevati di quelli, attorno al 16 per cento, che l’Istat stima, in media, per le destinazioni turistiche montane nel periodo successivo al Covid. È ormai condiviso dalla stragrande maggioranza degli osservatori che l’interesse dei turisti verso la montagna è cresciuto enormemente nel periodo post-pandemico. Questo perché sono cambiate le preferenze dei turisti a favore delle destinazioni poco distanti, meno affollate e con ampia disponibilità di spazi per attività all’aperto, cioè quelle percepite come più sicure dopo il lockdown. Si è trattato di uno shock esogeno positivo della domanda turistica verso le montagne, tra cui la Sila». 

Che cosa significa?
«Questo fenomeno spiega molto dei tassi di crescita osservati in Sila nelle estati tra il 2020 e il 2022, con un picco di 105mila presenze turistiche in Sila per singola stagione estiva nelle 72 strutture ricettive dislocate nelle aree di Camigliatello Silano, Lorica, Villaggio Palumbo e Villaggio Mancuso. Se guardiamo i tassi di crescita e li confrontiamo anche con il dato italiano, la performance della Sila è ovviamente rilevante. Tuttavia, nei periodi estivi, escluso il mese di agosto, i tassi di occupazione delle strutture ricettive silane sono molto bassi: si arriva al 5-6 per cento di utilizzo delle strutture ricettive, segnalando, quindi, la presenza di ampi margini di miglioramento».

Si registrano altre tendenze?
«Certo. Un altro fenomeno che si osserva fra il 2020 e il 2022 è che non è aumentato soltanto il numero di turisti che hanno scelto la Sila e vi hanno pernottato, ma è aumentata anche la permanenza media, che è passata da 1,4 giorni nel 2019 a tre giorni nel 2022.  Si tratta di un incremento non banale. In media, è aumentato il desiderio di rimanere più giorni nelle strutture ricettive, con l’implicazione che ad avvantaggiarsi di queste nuove tendenze è tutta l’economia che ruota attorno all’ospitalità». 

Come si sono mosse le imprese del settore?
«Un ulteriore dato che si osserva è che le migliori performance, nelle tre stagioni estive successive al 2019, sono state delle strutture ricettive che, in preparazione di strategie aziendali di risposta alla crisi pandemica, hanno introdotto soluzioni digitali – per esempio, la prenotazione online e il check-in online – e avviato solide attività di social marketing. Si tratta di strategie per abbattere le barriere geografiche e sfruttare al massimo i vantaggi post-Covid legati all’intensificarsi del turismo di prossimità. C’è anche da sottolineare che le migliori performance si sono avute nelle strutture che dal 2020 in poi hanno aumentato sensibilmente il numero di servizi offerti ai clienti durante il soggiorno. Di che cosa si tratta, nello specifico? Per esempio, di cura della persona e centri di benessere, organizzazione di attività all’aperto in collaborazione con altri operatori turistici, servizi in camera, visite guidate. Chi ha offerto più servizi ha registrato maggiori tassi di crescita delle presenze turistiche, anche a luglio, settembre e ottobre».

Qual è il quadro attuale?
«Per riassumere, vi sono due elementi importanti su cui hanno puntato le strutture ricettive, due leve di crescita aziendale che interagiscono tra di loro e danno risultati. Difatti, i migliori performer sono esattamente coloro che hanno innovato con soluzioni digitali e contemporaneamente hanno offerto più servizi durante il soggiorno. In Sila, ben 12 strutture su 72 intervistate hanno operato in questa direzione. Si tratta di un numero rilevante, che esprime la voglia di innovare di alcuni imprenditori turistici, in prevalenza giovani. In estrema sintesi, tre sono gli elementi importanti che abbiamo individuato dall’analisi sull’offerta di servizi alberghieri ed extralberghieri della Sila: le strutture più dinamiche adottano soluzioni digitali, offrono più servizi ai clienti e sono gestite da imprenditori giovani».

Che cosa ne consegue?
«Questi sono alcuni dati da cui ripartire per tentare di capire se è possibile posizionare la Sila in qualche nicchia di mercato. Gli incrementi registrati sono stati indotti da cambiamenti organizzativi delle strutture e dalle preferenze dei consumatori nella fase post-pandemica. Se la Sila è diventata una meta turistica altamente preferita nel triennio 2020-2022, ora, però, esiste il rischio che – se non si continua ad innovare, se non si consolidano modelli organizzativi flessibili e se non diventa pratica comune di tutti gli operatori turistici “curare” i clienti – la spinta indotta dal Covid può disperdersi, con l’esito di ritornare ai livelli pre-pandemia in termini di presenze turistiche. È un dato che richiede conferme, ma nel 2022 le presenze turistiche in Sila sono diminuite rispetto al 2021 di circa l’1 per cento. La variazione è irrisoria, però può essere il segnale di un’inversione di tendenza rispetto alla forte crescita del biennio 2020-2021».

Si insiste ancora molto su aria fresca e buona cucina. 
«L’intuizione per una credibile strategia di sviluppo del turismo in Sila si basa sulla seguente constatazione: l’altopiano silano ha una ragguardevole dotazione di risorse naturali, tuttavia poco valorizzate. Le potenzialità del territorio necessitano di essere trasformate in servizi acquistabili sul mercato turistico. Non è più sufficiente veicolare il messaggio della presenza, per esempio, di aria “pulita” e fresca e di buon cibo per fa sì che la Sila sia preferita ad altre destinazioni montane. Il motivo è che questi due elementi sono generici, ossia presenti in molte altre località. L’aria fresca è una caratteristica di qualsiasi montagna e il buon cibo si trova ovunque, nel Belpaese. È certo che sono fattori di attrattività, ma l’evidenza empirica dimostra che nel corso del tempo non hanno consentito alla Sila di svilupparsi adeguatamente in termini turistici. In altre parole, non sono caratterizzazioni del territorio che consentono alla Sila di fare un salto di qualità sulla capacità di essere riconosciuta come destinazione turistica. L’esito è che la Sila è poco conosciuta nei tanti mercati del turismo montano».

I commercianti di Camigliatello lamentano, per esempio, il cosiddetto “mordi e fuggi”.
«Il turismo che in Sila si osserva in estate, puntando su cibo, aria fresca e pochi servizi, costituisce un mercato molto ristretto. Il turismo montano – escludiamo agosto per l’elevata occupazione delle strutture alberghiere – deve puntare su presenze extraregionali: non è sufficiente avere cosentini che la domenica invadono Camigliatello e Lorica, catanzaresi che riempiono Villaggio Mancuso o crotonesi che popolano Villaggio Palumbo. Il turismo mordi e fuggi genera una spesa turistica limitata alla ristorazione e a qualche sporadica attività hobbistica all’aria aperta; per esempio cavalli, trekking e bici. Senza pernottamenti nelle strutture ricettive, il valore aggiunto che si genera sul territorio è risicato. È ovvio che il settore necessita di maggiori presenze turistiche rispetto al passato, anche perché abbiamo ampi margini per ospitarle. Peraltro, queste presenze turistiche vanno destagionalizzate: dobbiamo sforzarci di trovare soluzioni per avere più turisti nei periodi di minore afflusso».

E quindi?
«Occorre adottare qualche strategia di sviluppo che faccia leva sulle potenzialità inespresse del territorio, trasformarle in prodotti turistici destinati a mercati di nicchia che muovono molti turisti, disponibili a spendere somme importanti e a vivere il territorio pernottando più giorni nelle strutture ricettive. In termini tecnici, significa effettuare un’analisi di posizionamento della Sila nel mercato turistico, puntando su nicchie di qualità che consentano la destagionalizzazione e adeguati flussi di persone. Servono soluzioni basate sulle potenzialità del territorio, senza maltrattarlo e, quindi, fondate su un’idea di turismo eco-sostenibile».  

Quali potrebbero essere le azioni per la svolta, rispettose dell’ambiente?
«Due esempi aiutano a capire in che direzione occorrerebbe andare per garantire alla Sila di essere identificata, visibile e, quindi, preferita come destinazione turistica in molti mesi dell’anno. L’altopiano della Sila si presta moltissimo allo sviluppo di un’economia basata sul ciclo-turismo. È un’attività che può essere svolta da professionisti, da famiglie e a qualsiasi età. È sovente praticata da persone che intendono vivere il territorio. È destagionalizzata, nel senso che in Europa e in Italia i “cultori” della bicicletta sono sempre in attività e costantemente alla ricerca di destinazioni in grado di offrire nuove esperienze.  A certi livelli, è una nicchia di mercato ad alto reddito. Queste sono alcune delle specificità del ciclo-turismo, che necessita di poche condizioni per essere sviluppato in modo adeguato anche in una regione estrema come la Calabria». 

Nello specifico, che cosa dovrebbero fare le istituzioni pubbliche?
«La prima condizione è che facciano il loro mestiere, cioè si occupino di questioni ordinarie, senza necessariamente pensare a nuovi investimenti milionari né ad attività straordinarie. Per esempio, è richiesta la cura del manto stradale, la pulizia nei percorsi e un’adeguata segnaletica. Non servono progetti faraonici. Serve, per esempio, che le amministrazioni provinciali e l’Anas, per quanto di loro competenza, svolgano la loro missione. Altro intervento a costi bassi è prevedere dei punti di sosta, eventualmente in prossimità di selezionate strutture ricettive che intendano adeguarsi al nuovo modello di sviluppo, al fine di garantire ospitalità e soprattutto assistenza ai ciclisti, in caso di necessità tecniche. Si tratta di investimenti non esosi, ma ad alto rendimento». 

E poi?
«Analoghi ragionamenti possono essere formulati pensando ad una seconda caratterizzazione della Sila, ossia la presenza di almeno quattro laghi, che ben si prestano ad attività sportive legate alla pesca, che, al pari della bike-economy, è un segmento per selezionati turisti ad elevata capacità di spesa. Se si puntasse in modo sistemico a posizionare la Sila in un segmento di mercato simile a quelli testé descritti, un primo effetto sarebbe la riconoscibilità dell’altopiano silano destinazione in grado di attrarre cospicui flussi turistici, con un impatto su tutta la filiera di offerta di servizi.    

E riguardo al turismo religioso? 
«Potrebbe essere un’altra strada da percorrere. È un segmento di mercato poco valorizzato, a causa del fatto che gli attrattori sono di piccola dimensione, estremamente differenziati in termini delle origini e dei contenuti storico-culturali che li caratterizzano. Inoltre, sono dispersi nel territorio.  Per esempio, l’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore è di estremo interesse, ma è troppo piccola e troppo isolata per essere identificata come un luogo in grado di attrarre turisti che pernottino per più giorni. Il monumento richiama soprattutto i cultori di Gioacchino da Fiore, che sono turisti di nicchia, iper-specializzati e, in quanto tali, numericamente pochi. Lo stesso vale, per esempio, per il Parco archeologico di Capo Colonna, che è una destinazione scelta prevalentemente da esperti dell’antica cultura greca». 

Quali soluzioni potrebbero essere attuate?
«Un piano di sviluppo del turismo religioso e storico-culturale dovrebbe risolvere, in prima battuta, il problema della piccola dimensione degli attrattori e per farlo l’unica strategia è di metterli a sistema attraverso la creazione di una rete. È solo in questo modo che aumenterebbe l’interesse verso la Calabria che nel mercato del turismo storico-culturale consentirebbe ai turisti di visitare più luoghi: viaggiando dal castello federiciano di Roseto Capo Spulico a Roccelletta di Borgia, alla Cattolica di Stilo; oppure dal castello normanno di Praia a Mare al castello di Santo Niceto. La creazione di simili percorsi genererebbe sviluppo sul territorio, in quanto aumenterebbe la permanenza media nelle strutture ricettive della regione. Nei periodi estivi, una simile ipotesi di sviluppo di questa nicchia di turismo richiederebbe l’adozione di nuovi modelli organizzativi, più flessibili e, quindi, più vicini alle preferenze dei turisti. Alludo a una rivoluzione organizzativa, perché lo scontro sarebbe con le rigidità della gestione pubblica di molti attrattori storico-culturali». 

Per esempio? 
«Oggi, 4 agosto 2023, chi vuole visitare il castello aragonese di Le Castella può farlo fino alle ore 23, a differenza di altri luoghi di interesse turistico legati ai cicli lavorativi del gestore pubblico. È chiaro, dunque bisognerebbe essere conseguenti in tutti gli altri casi analoghi, che i maggiori flussi sarebbero sempre di sera, ossia al termine delle attività balneari. Nel caso considerato, le rigidità della gestione pubblica impattano negativamente sulla fruibilità della fortezza. In condizioni normali, la gestione privata della struttura creerebbe un mercato di notevole dimensione, certamente alimentato dalle numerose presenze di turisti nei villaggi turistici della fascia ionica crotonese. Questo è solo uno dei tanti esempi che possono essere fatti per comprendere come la gestione pubblica freni, a mio parere, le potenzialità di sviluppo di interi comparti produttivi».

L’Università della Calabria forma intelligenze, saperi, competenze. A livello politico si fa spesso retorica sullo sviluppo turistico in Calabria? L’università è inascoltata? I giovani sono spinti ai margini? Che cosa succede?
«La missione principale delle università è di fornire un elevato livello di preparazione agli studenti. In alcuni ambiti disciplinari, riusciamo a raggiungere l’eccellenza; in altri, invece, siamo nella media delle classifiche nazionali. Questo per dire che l’università non ha la missione di cambiare il mondo, ma, se possibile, di contribuire a cambiarlo. In questa prospettiva, formare capitale umano è un contributo non banale. Più in generale, penso che negli ultimi 50 anni l’Università della Calabria abbia svolto un ruolo fondamentale nella modernizzazione della nostra regione, benché, in generale, sia stata poco ascoltata dai responsabili delle politiche di sviluppo locale. È anche vero che talvolta pecchiamo di autoreferenzialità e non abbiamo la capacità di mettere assieme le energie per ottenere migliori risultati collettivi. In alcuni casi, inoltre, gli obiettivi dell’università non sono di natura sistemica, ma rimangono a tutela di interessi disciplinari di parte, ossia eccessivamente specifici».

Torniamo al focus dell’intervista. Che cosa serve per uno sviluppo turistico diffuso e duraturo della Calabria?
«Credo che ci sia molto da fare per quanto riguarda lo sviluppo turistico e il rapporto tra gli attori che possono generarlo. È necessario dialogare in modo laico, ossia senza condizionamenti ideologici, sulle cose da fare. Indipendentemente da chi le formula, è tempo di confrontarsi su idee in grado di stimolare la crescita del turismo in Calabria. Se da un lato l’interlocutore privilegiato rimane la Regione Calabria, in quanto soggetto attuatore di molte politiche di sviluppo settoriale, dall’altro lato è necessario avere più coordinamento, cooperazione e collaborazione tra istituzioni, università e imprese, con l’obiettivo finale di allargare e qualificare la base produttiva. Senza un maggiore coinvolgimento di privati che assumano il rischio di impresa, sarà difficile immaginare la Calabria come una straordinaria destinazione turistica». (redazione@corrierecal.it)

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