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Cosenza, dalla «criminalità bastarda» alla ‘ndrangheta confederata

Il magma delinquenziale bruzio, negli anni ’70, non veniva “riconosciuto” dagli ‘ndranghetisti. La morte di Luigi Palermo cambiò tutto

Pubblicato il: 09/08/2023 – 15:25
di Fabio Benincasa
Cosenza, dalla «criminalità bastarda» alla ‘ndrangheta confederata

COSENZA La “bacinella” con i proventi degli affari sporchi dei malandrini cosentini si riempie giorno dopo giorno. I danari accumulati servono a pagare stipendi, garantire un contributo ai compari finiti in galera ed alle loro famiglie e una parte, probabilmente, viene reinvestita e ripulita. L’istituzione di una “cassa comune” è uno dei principali elementi che consentono agli investigatori antimafia di ipotizzare l’esistenza di una organizzazione criminale, legata da vincoli associativi. Lo ha ribadito nella sua lunga requisitoria anche il pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, Alessandro Riello, quando ha invocato pene pesantissime nei confronti degli imputati del processo “Valle dell’Esaro”, ipotizzando l’esistenza di un gruppo criminale associato e coeso. Ad oggi, il “gruppo Presta” non è riconosciuto dal punto di vista giuridico.
Di “bacinella” si parla soprattutto in riferimento alle ricostruzioni e dichiarazioni offerte dai pentiti cosentini e finite al centro dell’inchiesta “Reset” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Nel supporre l’esistenza di una “Confederazione di ‘ndrangheta” che vedrebbe insieme sette diversi gruppi criminali presenti sul territorio bruzio, spesso si fa ricorso alla cassa comune dove sarebbero finiti i proventi di attività illecite commesse dai vari gruppi operativi. Un filo diretto che legherebbe le famiglie gravitanti nell’orbita criminale cosentina, decise a riporre nel cassetto pistole e fucili a favore di una pax siglata in nome del denaro e degli affari. Perché spararsi e spargere del sangue? Meglio spartirsi la torta e guadagnare senza esplodere un proiettile.

Franco-Perna
Franco Perna

Da qualche anno, dunque, la mala cosentina avrebbe deciso di chiudere con il passato, seppellendo la sanguinosa faida finita al centro dei procedimenti “Garden” e “Missing“. Che hanno cristallizzato circa un ventennio del percorso criminale delle cosche cosentine. Entrambi i procedimenti hanno sviluppato e ripercorso gli eventi caratterizzanti le lunghe guerre di mafia che, attraverso la commissione di innumerevoli omicidi tentati e consumati (oltre 100 trattati nei due procedimenti), hanno lasciato sul campo diversi affiliati delle cosche in contrapposizione sino ad arrivare alla «pax mafiosa sancita alla metà degli anni ‘80 tra Franco Pino (oggi collaboratore di giustizia) e Francesco Perna».

Le bande giovanili di quartiere

La mala cosentina si è evoluta, ha cambiato core business, si è adattata. Nei primi anni ’70 però, «il magma ancora fluido della criminalità diffusa esistente sul territorio e dedita prevalentemente alla commissione di delitti contro il patrimonio (rapine, estorsioni, contrabbando di sigarette) è esercitato da parte di “bande giovanili di quartiere”». Così li definiscono alcuni collaboratori di giustizia che hanno offerto una ricostruzione del quadro evolutivo del sistema criminale cosentino. Le bande facevano riferimento solo a Luigi Palermo alias “U ‘zorro”, «di forte ascendenza carismatica, dedito allo sfruttamento della prostituzione nonché al gioco e al contrabbando delle sigarette». Reati che non presuppongono, in quegli anni, l’esistenza di «una forma istituzionale di tipo mafioso ispirata alla ‘ndrangheta». Insomma, a Cosenza e nell’hinterland come sottolinea il pentito Nicola Notargiacomo: «esisteva Palermo come personaggio di rilievo, ma anche lui purtroppo… era dedito allo sfruttamento della prostituzione, lavorava con i pugliesi, con Bari soprattutto, quindi aveva un riconoscimento più che altro nella città stessa…cioè, la vera ‘ndrangheta non riconosce chi ha sfruttato le donne…».
A queste dichiarazioni si aggiungono quelle fornite dal collaboratore di giustizia Roberto Pagano, che ha più volte rappresentato nel corso dell’esame come si parlasse per il territorio cosentino (almeno fino alla morte di Palermo) di una “criminalità bastarda”, proprio perché «molti componenti della delinquenza di allora avevano sfruttato la prostituzione», impedendo la nascita di un “locale” secondo le regole ‘ndranghetistiche che respingevano tale tipo di attività. «La criminalità di allora, prima della morte di Palermo era… gestita dal Palermo, dal Perna Francesco, distaccate queste persone da Antonio Sena», però – ha aggiunto Roberto Pagano – «tante persone, almeno per quello che mi è stato detto, erano già state fidelizzate alla ‘ndrangheta da persone che non erano di Cosenza», consapevoli di poter ottenere il battesimo da altri “locali” come Locri, Palmi, Reggio Calabria. Anche un altro pentito, Tedesco, sostiene che «il “locale” di Cosenza una volta era definito “locale bastardo” in gergo di ‘ndrangheta…non ritenevano validi gli uomini che… erano in questo ‘locale’, e poi questo ‘locale’, quello che mi è stato riferito, lo aprirono i forestieri…».

Dal magma delinquenziale alla ‘ndrangheta

Nel descrivere l’evoluzione della mala cosentina, occorre tener conto delle preziose dichiarazioni rese da Francesco Vitelli e Franco Pino, che di quegli anni ‘70 furono i diretti protagonisti. Vitelli era uno degli elementi al vertice del gruppo Perna-Pranno con poteri decisionali e di guida riconosciutigli unanimemente dai ‘compagni’, Pino era capo dell’omonimo gruppo Pino-Sena. Vitelli ha avuto modo di raccontare il suo “battesimo” avvenuto nel 1980 secondo i rituali ‘ndranghetisti ad opera, in particolare, «del Perna Francesco, Bevacqua Armando, Rotundo Carlo», componenti storici del gruppo Perna-Pranno.

Franco Pino

Pino, dal canto suo, sollecitato a ripercorrere la propria carriera criminale, ricorda come «…a Cosenza sono sempre esistite le bande, come le ho fatto riferimento al 1971, sono sempre successe sparatorie, bombe, estorsioni, traffico di sigarette di contrabbando e roba del genere…le bande si scioglievano, poi si raggruppavano, in un certo periodo che, diciamo, dipendevamo tutti da Palermo… io ho fatto parte personalmente, erano gestiti da Palermo; per quello che mi competeva, erano gestiti da me e da tutti quanti quelli che eravamo noi». Ed è proprio dalle dichiarazioni di Pino che gli investigatori hanno iniziato ad avere un quadro decisamente più chiaro e meno fosco del passaggio da questo «magma delinquenziale pressoché indifferenziato, al successivo raggruppamento in forme associative sino all’adozione del metodo mafioso». Franco Pino ripercorre la trasformazione e l’evoluzione della mala bruzia, offrendo la chiave di lettura più corretta della formazione dei due gruppi organizzati (Perna-Pranno e Pino-Sena) «che tutti gli altri collaboratori, fissano alla data del 1977 con la morte violenta di Luigi Palermo» crocevia del processo di «istituzionalizzazione» dei gruppi criminali.

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