CATANZARO I ricordi, tanti, dolci ma anche amari, e nuove priorità, come quella di «tornare a casa la sera alle 20 e cenare con la mia famiglia». Peppe Scopelliti fa tappa a Catanzaro per presentare il suo libro “Io sono libero” raccontando e soprattutto raccontandosi. L’ex governatore, un tempo enfant prodige del centrodestra calabrese e nazionale, ha conosciuto i due lati – quello bello ma anche quello brutto della politica – ma adesso, scontata una condanna a quattro anni e sette mesi vicende per accadute quand’era sindaco di Reggio Calabria, si confessa senza fare del rivendicazionismo rancoroso ma quasi sottovoce, sia pure a tratti con l’orgoglio di essere «uomo di destra che ha servito la sua terra con dedizione e con amore». E ora Scopelliti porta in giro per l’Italia e la Calabria la sua esperienza perché il suo obiettivo non è la politica – che «non mi manca», spiega – ma è «trasmettere ai ragazzi il messaggio che si possono raggiungere traguardi senza necessariamente essere raccomandati».
«Sono stato un uomo libero prima e durante perché le sbarre, le recinzioni non sono delle barriere che obbligatoriamente ti rinchiudono dentro quegli spazi, e sono libero oggi, e la riprova è aver scritto questo libro, far conoscere la mia storia senza soffermarsi su conflitti, su rivendicazioni o su vendette che non servono a nessuno ma volendo trasmettere un messaggio positivo e serve a dare voce a chi voce non ha. Perché lì dentro ho trovato, anche studiando tante carte, che almeno una persona e mezza su dieci era innocente», esordisce Scopelliti nel corso della presentazione del suo libro, presentazione promossa dal consigliere comunale della Lega Eugenio Riccio: moderati da Giulia Zampina, intervengono anche il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso, l’avvocato Valerio Murgano, il consigliere provinciale Paolo Mattia. A Catanzaro poi Scopelliti abbraccia vecchi amici come Mimmo Tallini e Sergio Abramo, e tanti militanti del centrodestra e della destra catanzarese, nel pubblico si intravede il consigliere regionale Antonello Talerico.
Scopelliti si sofferma spesso sul tratto personale della sua nuova vita, che però inevitabilmente diventa anche politico. «Ho sempre pensato – rimarca l’ex presidente della Regione – che la mia esperienza potesse rappresentare un esempio per tanti ragazzi, dimostrando che non ero figlio di logiche di nepotismo – la mia era un famiglia di lavoratori – non ero portato da gruppi di potere o lobbies, non sono mai stato gradito dalla ‘ndrangheta, non sono mai stato iscritto ai club service. Sono venuto su da solo, lavorando, sacrificandomi, stando in mezzo alla gente. Questo è il messaggio positivo che voglio trasmettere con il libro e con queste presentazioni: il messaggio che si possono raggiungere traguardi senza necessariamente essere raccomandati o avere qualcuno dietro le spalle. La politica quindi non mi interessa intanto perché c’è una classe dirigente che ha una sua visione, si batte ed è capace e non voglio interferire nella politica attuale. La politica non mi manca. C’è un giornalista a Reggio che scrive sempre “il ritorno di Scopelliti”, ma io gli rispondo “non sono interessato, perché sai quant’è bello la sera tornare a casa alle 20 e cenare con mia moglie e le mie figlie, è una soddisfazione che non puoi comprendere”. Mentalmente – afferma Scopellliti – sono uscito da certe logiche, poi certo mi piace fare analisi politiche ma francamente la politica non mi manca: faccio il tifo per quelli che ci sono oggi e governano a livello regionale e nazionale, che sono miei amici di una vita, e sono contento se loro realizzeranno i miei sogni. Ma mi piace continuare a fare quello che sto facendo, e dovunque vado c’è sempre qualcuno del Fronte della Gioventù, e quindi oggi di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega che mi accoglie con entusiasmo e questo mi emoziona perché nonostante tutto quello che ho subito ed è stato costruito c’è sempre qualcuno che mi aspetta e ti abbraccia e questo mi fa anche commuovere».
Scopelliti apre l’album dei ricordi, ed è un tuffo dolce anche se con venature amare. «La politica si distingue tra coloro che parlano e coloro che fanno. Io sono stato un politico del fare. Io sono stato quello che nel 2000 ha inaugurato il palazzo del Consiglio regionale oggi Palazzo Campanella dopo aver seguito quotidianamente i lavori, e fu il segno di un passaggio importante della storia calabrese. Il mio sogno – confida – era fare anche la Cittadella, la sede della Giunta. Purtroppo per un soffio non ce l’ho fatta, siamo arrivati al 97% dei lavori, ma ho la consapevolezza di aver lavorato quattro anni per questo e oggi quel palazzo è un simbolo di efficienza ed efficacia, me lo auguro e ne sono convinto. Mi è rimasta questa piccola amarezza di non avere inaugurato la Cittadella, ma cercherò di rifarmi in altri campi».
C’è spazio poi per alcune riflessioni che nascono da un’esperienza politica che magari non avrà un futuro ma che affonda in radici molto forti. «La verità – sostiene Scopelliti – è che fino a quando la politica non si riapproprierà dello spazio che le compete questo è un Paese destinato a non rinascere, perché se non si ristabilirà il rapporto paritario tra i poteri dello Stato e la politica sarà sempre soccombente l’Italia non sarà al passo con gli altri Stati europei. Questo è il vero grande obiettivo che si deve porre la classe dirigente di oggi: io spero e ho fiducia nel governo di Giorgia Meloni, in quel Parlamento ci sono almeno 70 miei dirigenti giovanili di quando ero segretario nazionale del Fronte della Gioventù. C’è ancora qualcuno di loro che mi dice “scusami, ti chiamo poco perché ho vergogna, perché al mio posto dovresti esserci tu”, ma io rispondo “no, io sono oggi una persona felice e faccio il tifo per voi, sperando che voi ragazzi abbiate la forza e il coraggio di cambiare l’Italia perché è stato questo il nostro grande sogno per cui abbiamo sempre combattuto”. Non sono uno di quelli che pensano che si può cambiare solo se ci sono io». Poi una sensazione: «Berlusconi cadde per lo spread, e oggi – dice Scopelliti – avverto la stessa identità strategia sottile: leggo sui giornali continuamente di inflazione, rincaro, un sabato mattina sul Corriere della Sera vedo come prime tre notizie Larussa, Santanchè e Delmastro, ho tremato, ho pensato che anche stavolta arriverà, perché la Meloni non è figlia del sistema, arriva come come me dal mondo giovanile militante e non è assoggettabile a certe condizioni. E lei a maggior ragione ha la necessità di costruire una nuova prospettiva all’Italia. Vedo lo stesso rischio dei tempi di Berlusconi ma spero di sbagliarmi».
E infine, una citazione speciale, che è un omaggio, quasi doveroso, a Gianfranco Fini: «Fini incarna perfettamente l’amicizia. Sono cresciuto con lui, sono sempre stato gratificato da lui fin dal 1993 quando mi volle alla guida del Fronte della Gioventù, non sempre ho seguito le sue scelte politiche, come quando fece “Futuro è Libertà” quando non lo seguii ma lui non mi chiamò mai perché con la sua grande intelligenza sapeva che mi avrebbe messo in difficoltà – ero presidente della Regione e non potevo creare un conflitto. Ma Fini è stata l’ultima telefonata che feci prima di entrare in carcere, è quello che quando mi veniva a trovare un parlamentare lo chiamava in continuazione per sapere come mi aveva trovato, è quello che ha rotto il suo silenzio scrivendo la prefazione del mio libro. Ho trovato Fini sempre al mio fianco al di là delle scelte politiche perché so scindere l’aspetto politico da quello personale: l’amicizia cammina per i fatti suoi. Ma Fini ha una visione politica e una lucidità senza pari a livello internazionale, e secondo me potrebbe servire e non poco alla causa del governo di Giorgia Meloni, che è un autorevolissimo presidente del Consiglio». (a. c.)
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