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i soldi dei clan

Le (finte) Fondazioni benefiche per riciclare il denaro sporco della ‘Ndrangheta

Il pentito dei Grande Aracri: «I clan le usano perché destano meno sospetti». L’incontro con i generali sudamericani per trovare titoli da usare sulle piattaforme finanziarie. E l’affare a Crotone …

Pubblicato il: 09/08/2023 – 6:54
di Pablo Petrasso
Le (finte) Fondazioni benefiche per riciclare il denaro sporco della ‘Ndrangheta

CROTONE Fondazioni create ad hoc, meglio se onlus o (almeno teoricamente) impegnate in attività benefiche. Anche attraverso questi “schermi” puliti la ‘Ndrangheta avrebbe provato riciclare i milioni sporchi del narcotraffico. Non per ironico contrappasso ma per questioni molto più prosaiche: questi enti – riassumono i pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio e Paolo Sirleo – «non destavano sospetto, trattandosi di società non a fini di lucro». L’ipotesi investigativa trae origine dagli interrogatori di Antonio Valerio, collaboratore di giustizia che conosce a fondo le attività del clan Grande Aracri. L’inchiesta “Glicine Acheronte” ha aperto vari filoni d’indagine sugli interessi delle cosche nella finanza occulta. L’utilizzo di fondazioni viene citato da Valerio come escamotage per «movimentare denaro, dissimulandolo in operazioni a scopo benefico per le quali fondamentalmente non sono necessarie rendicontazioni».
Valerio racconta ai magistrati che una delle sue attività illecite era il traffico di gasolio, business per il quale la cosca si serviva di garanzie bancarie false necessarie per aprire le porte agli acquirenti.
«Ricordo che in un’occasione, credo nel 2013, per una nave che è attraccata a Mazara del Vallo, facemmo predisporre una falsa garanzia bancaria. La nave trasportava gasolio raffinato e per l’attracco e lo scarico serviva la solvibilità della società trasportatrice e dell’acquirente», spiega Valerio. «Per la creazione della garanzia bancaria – continua il collaboratore di giustizia -, si predispongono una serie di contratti fittizi tra società coinvolte nell’operazione che a volte vengono appositamente costituite. (…) In pratica si costituisce una sorta di Joint Venture, detta JVA, in cui le parti coinvolte nell’operazione si mettono d’accordo per sviluppare piani contrattuali che giustificano l’emissione della garanzia e in cui a volte compare il conferimento di titoli azionari o numismatici, quali Won coreani. In tal senso una volta ricevuta questa documentazione, il direttore di banca compiacente predispone la garanzia bancaria». In questo tipo di operazioni, «tutti i componenti dell’operazione ricevono una remunerazione in percentuale, tra cui anche i direttori bancari». È in questo schema che «spesso si scelgono o si costituiscono fittiziamente (…) delle fondazioni a scopo benefico e/o Onlus, e ciò per due scopi principali: il primo perché la fondazione è un ente anonimo e il secondo perché la movimentazione di denaro da parte delle fondazioni non suscita sospetto in quanto viene fatta non a fini di lucro».
Il pentito usa parole precise: le fondazioni possono essere costituite ad hoc per la frode oppure essere già attive e messe a disposizione della cosca. Le indagini della Dda di Catanzaro esplorano entrambi gli scenari, per puntare su una trama internazionale che vede collegati settori vicini alla ‘Ndrangheta e insospettabili imprenditori, secondo uno schema ormai (purtroppo) consolidato. 

I "giochi" milionari della 'Ndrangheta sulle piattaforme finanziarie illegali

Le piattaforme finanziarie e l’aiuto dei due generali sudamericani

Consolidato anche il dato investigativo che vede la ‘Ndrangheta fare esperienza delle cosiddette “piattaforme finanziarie”. Il quadro offerto da Valerio le descrive come strutture «clandestine gestite, a livello mondiale, da un ristretto gruppo di investitori ed istituti bancari».
«All’interno di tali piattaforme – racconta il pentito – venivano effettuati, a scopo d’investimento, conferimenti di enorme valore (oggetti preziosi, prodotti e strumenti finanziari, titoli di stato, ecc.). In particolare, per quanto atteneva i Titoli di Stato, il conferimento poteva riguardare titoli storici (ad esempio i “Black Eagles” statunitensi, risalenti ai primi anni del ‘900), che la cosca cutrese aveva la possibilità di ottenere anche attraverso entrature con alti gerarchi militari sudamericani».
«Come cosca cutrese – riferisce Valerio – avevamo in animo di investire in tali piattaforme, io stesso ero venuto a conoscenza di due generali, uno venezuelano ed uno cileno, che erano capaci di procurare titoli storici di tale valore». Di più il pentito non può dire, perché «dopo la conoscenza con quei generali venni arrestato».
L’accesso a queste piattaforme, secondo Valerio, sarebbe riservato a investitori facoltosi. La ‘ndrangheta sarebbe, comunque, “autorizzata” ad investire «in quanto univocamente riconosciuta come organizzazione criminale dalle enormi potenzialità economiche».

La speculazione immobiliare a Crotone con un faccendiere, un commercialista e un politico

La speculazione immobiliare a Crotone con un faccendiere, un commercialista e un politico
Punta Scifo nel Crotonese

Se le speculazioni tentate per ottenere guadagni milionari hanno come scenari i mercati globali, «la creazione di garanzie bancarie e false fidejussioni – dice ancora Valerio – è vicenda che ha riguardato più da vicino il territorio crotonese». A questo punto il collaboratore di giustizia parla di una convocazione in Calabria (la base di Valerio era Brescello, in Emilia Romagna) per discutere di «una pluralità di affari immobiliari». Il know how del tecnico al servizio dei Grande Aracri avrebbe stimolato l’interesse di un faccendiere, un commercialista e un politico, nessuno dei quali risulta indagato nell’inchiesta “Glicine Acheronte”. I tre, dice Valerio, «mi convocarono in Calabria per parlare di una pluralità di affari immobiliari, cercando di utilizzare le mie entrature anche bancarie al fine di ottenere le relative garanzie». I progetti? «La creazione di un campo da golf» e «investimenti immobiliari che da Capo Colonna fino a Le Cannelle dovevano interessare diversi terreni. Tenete conto – continua il collaboratore – che io stesso possiedo diversi terreni in località “Scifo”, donatimi da mio nonno».
In quest’operazione immobiliare sarebbero stati coinvolti anche un imprenditore che avrebbe avuto interesse ad acquistare il terreno di Valerio per la realizzazione di un villaggio turistico «e alcuni fondi d’investimento esteri». «Mi riservo – continua il racconto – di consegnarvi la documentazione di questi investimenti, perché gli stessi erano giunti a una quasi definizione tanto è vero che per alcuni investimenti ci siamo recati in banca ad Isola Capo Rizzuto». Dal globale delle piattaforme finanziarie al locale del turismo in un’area protetta. Un altro filone d’inchiesta nel romanzo criminale delle cosche crotonesi. (p.petrasso@corrierecal.it)

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