BOLOGNA Uno scambio di persona, un pestaggio «diabolico e disumano», un ragazzo di 21 anni tenuto in vita solo dai macchinari. Un anno dopo la drammatica aggressione subita da Davide Ferrerio, giovane bolognese in vacanza a Crotone, tornano a parlare i genitori. Lo fanno esprimendo tutto il loro dolore e la rabbia per le condizioni in cui è stato lasciato il figlio. Tutto parte da un messaggio, inviato la sera dell’11 agosto. «Ho una camicia bianca» scrive Alessandro Curto, 32 anni e vero obiettivo del raid organizzato da Nicolò Passalacqua. Sarà quest’ultimo, insieme alla fidanzata allora minorenne, alla madre di lei e al suo compagno a ridurre in coma Davide. Una violenza «diabolica», come la definisce il padre di Davide, Massimiliano Ferrerio, in un’intervista a Repubblica. «Il dolore per quello che è accaduto, per certi versi, è cresciuto. La ragione è che non esiste una spiegazione, se non la follia di questi esseri, che per me sono diabolici, perché diabolico è quello che hanno fatto. Per chi commette atrocità come questa non dovrebbe essere previsto nessuno sconto di pena». Curto, l’autore del messaggio alla base dello scambio di persona, è stato prosciolto dalla Procura di Crotone, decisione impugnata da quella di Catanzaro. Per lui Massimiliano Ferrerio spera in una nuova incriminazione e «di poterlo guardare in faccia».
Sulle pagine di Repubblica sfoga tutto il suo dolore, ricordando «quella data terrificante in cui si è varcato il confine». Quell’11 agosto «la mia vita, ma anche quella della mia famiglia e ovviamente quella di Davide si è trasformata in un incubo. A volte, quando vado a letto, mi dico chissà, magari è tutto un incubo, una distorsione della mia mente». Ma tutto, purtroppo, è reale. «Poi mi sveglio, vedo le cose nella stanza di Davide come lui le aveva lasciate, le sue scarpe ai piedi del letto… e ho la consapevolezza che è tutto vero, per quanto assurdo. È un’assurdità che un ragazzo nel pieno della sua vita, che stava scoprendo ciò che avrebbe voluto diventare, sia ridotto in un letto di ospedale. Non ha senso».
Anche Giusy Orlando, madre di Davide, ricorda con rabbia e dolore quel giorno. Lo fa parlando al Resto del Carlino di un figlio «ucciso senza che neanche potesse parlare». Anche lei, come il marito, parla di violenza disumana: «mio figlio era sceso a Crotone semplicemente per farsi un po’ di mare e invece ha incontrato la fine della sua vita. Vederlo così, fermo in un letto di ospedale, è straziante. All’inizio pensavamo si potesse riprendere, ma dopo un anno abbiamo acquisito tutti la consapevolezza che non succederà mai. Io non ho più un figlio e non so perché». Un pestaggio che non ha distrutto solo la vita di Davide, ma anche quella di tutta la famiglia, costretta a fare i turni per stare con lui in ospedale: «facevamo tantissime cose insieme, dalle vacanze alle passeggiate. Con Davide avevo un rapporto stupendo, lui era legatissimo a me. In questi giorni mi capita spesso di ripensare a come passavamo le sere d’estate, tra un’uscita per un gelato o una pizza. Passavamo anche molto tempo in una baracchina qui vicino casa nostra. Ora invece io, mio marito e l’altro mio figlio Alessandro facciamo i turni per andare a trovare Davide in ospedale»
Una vita appesa a dei macchinari, mentre Nicolò Passalacqua ad aprile è stato condannato a vent’anni, non sufficienti per la madre di Davide: «Passalacqua non doveva avere la possibilità di accedere al rito abbreviato, che gli ha permesso uno sconto di pena. Vent’anni per quello che ha fatto a Davide sono pochi». Soprattutto, non sembra esserci stato pentimento da parte degli aggressori, come racconta al Resto del Carlino: «Non hanno dimostrato alcun tipo di pentimento finora e non lo dimostreranno mai. Anzi, Passalacqua dopo l’aggressione è andato prima a prendere da bere al bar e poi a pescare. Quando ci ha visti in aula ha riso, con scherno». Atteggiamento condiviso anche dai parenti di Passalacqua quando all’uscita da un’udienza a Crotone «siamo stati minacciati dai familiari di quel mostro. È mai possibile, dopo tutto quello che abbiamo passato, essere costretti ad avere la scorta perché queste persone ci minacciano? È una follia. Mi sono sentita dire che mi avrebbero ammazzato anche l’altro figlio. Queste non sono persone e io non le considero tali».
I ricordi non riescono a sanare il dolore provocato dall’assenza del figlio: «Era un ragazzo buono, generoso, altruista. Un ragazzo che non amava discutere e che non avrebbe mai fatto male a nessuno. Di lui mi manca tutto». La valigia, preparata per quella vacanza, è ancora chiusa, ferma in un angolo della stanza. Quella camera in cui Davide non ha più fatto ritorno, a causa di una violenza inaudita che ha distrutto la vita di Giusy Orlando: «Davide era casa, il collante di questa famiglia. Mi manca mio figlio, la persona che ho messo al mondo. Mi alzo la mattina e vedo il suo letto vuoto, apro l’armadio con tutti i suoi vestiti e so che non li indosserà più. È un dolore inspiegabile, che non passerà mai, che nemmeno tutto il tempo del mondo riuscirà a lenire. La valigia che aveva fatto prima di andare a Crotone è ancora chiusa, ferma in un angolo della casa. E non abbiamo mai trovato il coraggio di aprirla».
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