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l’agguato

«Dopo mio figlio volevano uccidere anche me». Quando la (mancata) vendetta dei Crea ha raggiunto Inzitari

Il racconto della vittima ai carabinieri. La vita guardinga, la moto e la pistola viste nello specchietto, le gomme spaccate per fuggire ai killer. «Dopo la denuncia il mondo si è rivoltato contro …

Pubblicato il: 11/08/2023 – 18:53
di Alessia Truzzolillo
«Dopo mio figlio volevano uccidere anche me». Quando la (mancata) vendetta dei Crea ha raggiunto Inzitari

CORIGLIANO ROSSANO Aveva testimoniato contro la cosca Crea di Taurianova. E doveva morire. A dicembre 2009 gli avevano ammazzato il figlio Francesco, un ragazzo di appena 18 anni falciato da colpi di pistola esplosi quasi tutti contro il suo volto. Era appena uscito da una pizzeria alla periferia di Taurianova.
Il 25 luglio 2017, a Corigliano Rossano, i proiettili fischiano feroci contro il padre, Pasquale Inzitari, che scampa all’agguato perché, dopo una rocambolesca fuga, si rifugia in un negozio. La sorte è dalla sua parte poiché l’arma dei sicari si inceppa e quelli sono costretti a una repentina ritirata a bordo della moto con la quale erano arrivati.

Pasquale Inzitari

Se l’omicidio del giovane Francesco Inzitari è ancora senza colpevoli, i carabinieri, coordinati dalla Dda di Catanzaro, questa mattina hanno messo le manette ai polsi ai quattro presunti autori dell’attento a Pasquale Inzitari: Gianenrico Formosa, Antonio Domenico Scarcella, Francesco Candiloro e Michelangelo Tripodi.
L’omicidio sarebbe stato programmato da Scarcella e Candiloro in quel di Brescia. I due avrebbero offerto 2mila euro a Formosa perché accompagnasse Candiloro a compiere l’omicidio in Calabria dove li aspettava Michelangelo Tripodi.
Arrivati a Corigliano Rossano, dopo un primo sopralluogo davanti al centro commerciale in cui lavorava Inzitari, Tripodi si presenta con un furgone bianco. Dentro c’è lo scooter, destinato a un raid veloce e destinato a tornare dentro il furgone, lontano da occhi indiscreti. A raccontare come sono andate le cose quel giorno, dopo molti anni, è stato Gianenrico Formosa divenuto collaboratore di giustizia. Prima di questa testimonianza fondamentale c’era il racconto della vittima.

«Dopo la denuncia il mondo si è rivoltato contro di me»

Il giorno del suo mancato omicidio, Pasquale Inzitari parla coi carabinieri.
Racconta ai militari di lavorare nel centro commerciale di Schiavonea, in un attività di cui era proprietaria la moglie. Dice che la società si trova in amministrazione giudiziaria da quando «abbiamo denunciato presso la Dda di Reggio Calabria un tentativo di estorsione ai nostri danni attuato da una famiglia mafioso locale i “Crea” che nel momento in cui stavamo realizzando il centro commerciale in Rizziconi, abbiamo ricevuto una richiesta estorsiva pari a 800mila euro».
La sua denuncia porta all’arresto di Domenico Crea, figlio del capo cosca Teodoro Crea, da parte della Squadra Mobile di Reggio Calabria.
«Sta di fatto che dopo questa mia denuncia, il mondo lentamente si è rivoltato contro di me. Infatti nel mese di maggio 2003 sono stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa perché avevo ceduto l’otto percento della mia quota societaria, relativa alla società del centro commerciale in costruzione a Rizziconi denominata Devin spa e quindi l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, esattamente la Dda, aveva avuto il sospetto che tale cessione fosse stata determinata dal fatto che, malgrado avessi denunciato i miei estorsori, comunque avevo soggiaciuto alle loro richieste poiché, mio cognato che si chiama Antonino Princi era sposato con la figlia di Domenico Rugolo elemento di spicco della criminalità organizzata a Castellace». C’è da specificare che, nel 2008, Antonino Princi fu vittima di un attentato: la sua auto venne fatta esplodere e lui morì dopo una straziante agonia.

La seconda accusa di concorso esterno

Assolto dalla prima accusa di concorso esterno nel 2010, Pasquale Inzitari viene condannato dal Tribunale di Reggio Calabria da una seconda accusa «a seguito dell’approvazione di due delibere del consiglio comunale del Comune di Rizziconi, ove io ho ricoperto la carica di assessore ai Lavori Pubblici e quella vicesindaco fino all’anno 2000. A seguito di questa condanna ho subito il sequestro preventivo dei nostri beni che sono consistiti proprio nell’esecuzione dell’amministrazione giudiziaria della società Nifral sviluppo srl, nonché della società Indefin sas corrente in Rizziconi i cui soci siamo io e mia moglie al 50 percento, nonché alcuni beni immobili sia miei che di mia moglie». Il 23 ottobre 2016 gli è stato notificato, proprio a Corigliano, l’atto di dissequestro di questi beni immobili mentre, per quanto riguarda le due società che erano sono state confiscate, a luglio 2016 la Cassazione ha annullato il provvedimento di confisca.

Le testimonianze contro i Crea

Pasquale Inzitari testimonia contro i Crea e la Suprema Corte condanna a nove anni Teodoro Crea e a sette anni i figli Giuseppe e Domenico Crea. «Ovviamente – riporta il verbale dei carabinieri – è stata una grande soddisfazione ma nel contempo ho anche testimoniato in un altro processo quel mese di settembre 2009 presso il Tribunale di Palmi per un’associazione mafiosa in quanto la famiglia Crea era unita in un contesto territoriale ad altre famiglie le quali hanno riportato sia in primo che in secondo grado, essendo il processo ancora in itinere, condanne a vent’anni sempre per i componenti della famiglia Crea. Quindi la prima condanna riguarda solamente l’estorsione, la seconda riguarda l’associazione mafiosa».
Il prezzo che paga la famiglia Inzitari è salato e terribile.
«Purtroppo, in data 5 dicembre 2009 mio figlio Francesco Inzitari è stato vittima di un agguato mafioso a Taurianova». Un frase breve, fredda, nel burocratese di un verbale. Un particolare che nasconde un dolore indicibile. Una vita stravolta, trasferita a Corigliano dove, dice Inzitari, «vivo da solo e saltuariamente faccio ritorno a Rizziconi nei periodi di festa e di riposo»

L’agguato, la fuga, il panico tra la folla

L’uomo sa di essere in precarie condizioni di sicurezza – «evito di essere abitudinario, cambio sempre gli orari, sia di entrata che di uscita e non faccio mai la stessa strada» – ma il giorno dell’agguato è arrivato, inesorabile, il 25 luglio 2017.
«Sono uscito da una parte secondaria posta sul retro del punto vendita ho acceso il motore della mia vettura di colore nero e tranquillamente mi sono avviato per immettermi nella circolazione del parcheggio del centro commerciale. Quindi andavo tranquillamente in prossimità dell’uscita quando ho notato dallo specchietto retrovisore interno che due persone su una motocicletta, muniti di casco, si, erano messi dietro di me all’improvviso ed il passeggero reggeva una pistola che aveva puntato, contro di me. È stata una pura causalità aver guardato nello specchietto retrovisore. Preso dal panico, invece di seguire il normale flusso della circolazione stradale che in quel punto mi obbligava ad andare alla mia destra, ho tagliato completamento il parcheggio, senza rispettare la segnaletica, inseguito da questa motocicletta».
Inzitari, nella fuga, taglia le piazzole in cemento, spacca i pneumatici, molla il fuoristrada e si butta dentro un negozio. Gli spari continuano, la moto si avvicina, la gente fugge impazzita e spaventata.
All’interno del negozio l’uomo chiede aiuto «e fortunatamente l’impiegata che mi ha ricevuto ha avvisato il titolare che ha subito avvisato voi carabinieri ed ha chiuso immediatamente le porte evitando l’entra e l’uscita di chiunque. A distanza di pochi minuti siete intervenuti sul posto voi carabinieri». 

«Dopo mio figlio volevano uccidere anche me»

«In precedenza, non ho mai ricevuto attentati di questo genere ma sono rimasto comunque vittima di danneggiamenti, furti e rapine, senza dimenticare la morte di mio figlio», racconta Pasquale Inzitari.
«Nei giorni precedenti non ho notato nessun segno premonitore, né un qualcosa che potesse far presagire quando stava per accadere. Probabilmente i miei attentatori mi stavano aspettando proprio all’incrocio tra il retro del punto vendita e la strada posta nel parcheggio del centro commerciale. Non ho potuto vedere da dove sono sbucati né da dove sono scappati. Non sono in grado di poter fornire ulteriori indicazioni relative all’identificazione dei miei due aggressori in quanto erano seduti entrambi sulla moto, muniti di casco e non sono in grado di indicarvi nemmeno il colore della motocicletta sulla quale stavano viaggiando. Posso affermare che il punto vendita di Corigliano sta andando molto bene e le vendite sono costanti, non devo del denaro ad alcuno e tale gesto è sicuramente rivolto alla mia persona da parte di coloro che sono i miei nemici e che dopo aver ucciso mio figlio vogliono uccidere anche me». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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