REGGIO CALABRIA Cercavano esplosivo, armi e bazooka per uccidere Rodolfo Ferraro, ex affiliato del clan Crea. Un «regalo di Natale» per il boss in carcere. Le chat criptate a disposizione di quattro procure antimafia aprono un fronte inquietante nell’inchiesta sulla latitanza del boss Domenico Crea. Soprattutto nella parte delle indagini che si concentra sulle attività del commando che si sarebbe macchiato dell’omicidio di Marcello Bruzzese, fratello del collaboratore di giustizia Girolamo. Le ombre aumentano quando Philip Spinel, accusato di aver collaborato al tentativo di omicidio di Ferraro nel Bellunese, decide di raccontare agli inquirenti quello che sa. È il neo collaboratore di giustizia a sottolineare che il gruppo sarebbe capace di «localizzare collaboratori e “testimoni di giustizia”» e svela «la programmazione di ulteriori assassinii dei quali lui e Gianenrico Formosa (altro complice poi divenuto collaboratore, ndr) sarebbero stati incaricati una volta concluso il “lavoro” di Canale d’Agordo», cioè l’attentato a Ferraro.
Spinel apre l’interrogatorio del 12 settembre 2020 spiegando di non aver parlato di un episodio riportato nelle chat intercettate «in quanto ho molta paura per me e per i miei famigliari». La paura riguarda proprio il suo status di collaboratore: «Temo – dice – che ci siano persone che siano in grado di conoscere dove vivono i collaboratori di giustizia e, quindi, potrebbero scoprire dove trovare me anche adesso che ho deciso di collaborare». Nel mese di marzo 2021, Spinel approfondisce: «Questo mio terrore era dovuto affatto che sapevo benissimo che i soggetti calabresi erano in grado di scoprire dove vivono i collaboratori di giustizia, come, peraltro, mi è stato confermato dallo stesso Formosa sia con riferimento all’omicidio del fratello del collaboratore di giustizia avvenuto nelle Marche che con riguardo al progetto di attentato del presunto collaboratore di giustizia a Canale d’Agordo (Ferraro, che in realtà non risculta essere un collaboratore di giustizia, ndr)».
Lo stesso Formosa – le cui dichiarazioni aiuteranno la Dda di Catanzaro a ricostruire il contesto del tentato omicidio di Pasquale Inzitari – avrebbe detto all’allora complice che «dopo quello di Canale d’Agordo avremmo dovuto fare anche altri attentati, senza però entrare nel dettaglio». Formosa racconta «di essere stato cooptato nelle dinamiche criminali da Natale Ursino, soggetto contiguo alla famiglia Cordì di Locri» e «ammette di essere stato affiliato alla ‘ndrangheta durante il periodo di detenzione presso la Casa Circondariale di San Vittore da Angelo Campanile e Vittorio Farao tra il 14 maggio 2005 e il 17 novembre 2005». Per quell’attentato nel Bellunese, Francesco Candiloro, il pasticcere-killer emigrato a Brescia, avrebbe proposto a Formosa «per l’esecuzione dell’attentato 20mila euro dicendomi che sarei dovuto andare a prendere la mia parte di soldi vicino a Vibo Valentia». Lo stesso Candiloro non avrebbe «prospettato ulteriori azioni omicidiarie da compiere sebbene mi disse, genericamente, che c’erano molte azioni delittuose da realizzare anche ai danni di collaboratori di giustizia. Ricordo che mi disse che erano numerosi gli attentati da compiere». Organizzati e capaci di reperire armi pesanti. Determinati alla vendetta in nome della ‘Ndrangheta e capaci, secondo due collaboratori di giustizia, di scovare i pentiti in località protette. La storia del commando che i magistrati ritengono vicino al clan Crea forse non è ancora stata scritta del tutto. (p.petrasso@corrierecal.it)
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