COSENZA Gli omicidi colmano la sete di vendetta dei malandrini cosentini. Il sangue lava via gli sgarri, ma non riempie da solo il vuoto di potere creatosi dopo la morte di Luigi Palermo alias “U Zorru”. Quando il commando chiamato a farlo fuori porta a termine la missione, si assume la responsabilità di una faida che segnerà, per anni, la storia criminale cosentina. Un delitto che – come già ribadito nel precedente articolo (leggi qui) – ha sparigliato le carte, esacerbato ulteriormente l’astio fra fazioni contrastanti e stravolto la narrazione storica. I nuovi gruppi criminali si riorganizzano e scelgono di abbandonare le attività illecite come lo sfruttamento della prostituzione, aborriti dall’onorata società, e pian piano le regole “istituzionali” della ‘ndrangheta penetrano nel costume delinquenziale della città dei bruzi, nell’attuazione di una precisa strategia di predominio sul territorio.
Il carcere diventa luogo ideale per scambiare informazioni, ripercorrere carriere criminali e programmare futuri impegni illeciti. All’interno delle celle e durante l’ora d’aria, i detenuti chiacchierano ed alcuni paiono piuttosto interessati a stringere alleanze in vista di un progetto comune fatto di guadagni illeciti e commistione di reati. E’ quanto accade ad alcuni dei personaggi di spicco della mala cosentina, che negli istituti penitenziari avrebbero avuto modo di incontrare e incrociare esponenti di realtà criminali diverse insediate sul territorio meridionale: «camorra e ‘ndrangheta, dalla cui esperienza consolidata si mutuavano i modelli organizzativi». In tale contesto, «la presenza di una struttura organica di tipo verticistico, l’esigenza di controllo maniacale del territorio ed il numero di delitti compiuti e tentati omicidi, la diffusione del battesimo di mafia e il racket delle estorsioni» rappresentano elementi caratterizzanti la nuova criminalità bruzia pronta ad estendere i tentacoli anche nel settore degli appalti pubblici, «anche in zone originariamente sottoposte al controllo di altre cosche».
Il gruppo Sena-Pino, «grazie ad una serie di alleanze strette anche al di fuori della città bruzia e quindi con la camorra cutoliana, con le famiglie mafiose della piana di Gioia Tauro, con la cosca Muto di Cetraro, con quella di San Lucido» riesce a colmare il gap con il clan rivale dei Perna conducendo «la guerra di mafia per un lungo periodo che ebbe come teatro non solo Cosenza, ma anche l’intera provincia con grossi riflessi sulla costa tirrenica». A cristallizzare eventi e circostanze determinanti nello scoppio del sanguinoso conflitto tra clan rivali, è l’ex collaboratore di giustizia Edgardo Greco, negli scorsi mesi catturato in Francia dopo anni di latitanza.
Sulle spalle di Greco pende un mandato di arresto europeo emesso dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro il 16 maggio 2014, in relazione all’ordine di carcerazione, datato 4 aprile 2014, per l’esecuzione della pena dell’ergastolo per il duplice omicidio di Stefano Bartolomeo e Giuseppe Bartolomeo avvenuto a Cosenza il 5 gennaio 1991. L’ex latitante è accusato anche del tentato omicidio di Emiliano Mosciaro avvenuto a Cosenza il 21 luglio 1991, maturato nell’ambito della guerra di mafia fra la cosca “Pino-Sena e “Perna-Pranno”. Edgardo Greco, dunque, non è un picciotto qualsiasi, ma un soggetto consapevole del contesto criminale di quel determinato periodo storico. E’ il 1997, quando confessa che «la guerra tra i due gruppi aveva inizio all’incirca nel 1977 dopo che Franco Pino e Pietro Pino, Lorè Antonio e Muto Franco fecero una riunione al carcere di Cosenza vecchio.. per far sì che eliminassero Palermo Luigi». Tanto ha riferito di aver appreso da Bevacqua Armando. Ha specificato che quest’ultimo «era stato arrestato e in carcere aveva visto insieme tutte le persone sopra citate che “brindavano, che era successo qualcosa..” (…) vide in una cella che i più grossi capi stavano brindando…Lorè Antonio, Pietro Pino e Muto Franco e, se non erro, c’era Sena Antonio, ma non vorrei sbagliarmi (…) stavano brindando “a ciò che doveva succedere“».
Da soli non si vince, si rischia una guerra di logoramento. Nessuno dei due gruppi coinvolti nella cruenta faida cosentina aveva intenzione di cedere o indietreggiare. Il gruppo Pino-Sena «manteneva legami con il Muto, noto boss della zona tirrenica e con Cirillo Giuseppe di origine Campana, trapiantatosi nella piana di Sibari, ai vertici della malavita». Dall’altra parte dello schieramento, il gruppo “Perna” non rimane a guardare e «già forte delle alleanze strette con il gruppo dei fratelli Pranno e Vitelli, poteva contare su gruppi delinquenziali del crotonese, sulla numerosa cosca dei Serpa di Paola e quella facente capo agli Africano di Amantea».
(redazione@corrierecal.it)
x
x