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Cauteruccio: «Sempre più urgente un lavoro culturale di senso, radici e prospettiva»

Intervista al registra teatrale. La proposta di «definire una rete di grandi teatri». E di celebrare Strati nel 2024. Il «dolore» per i paesi che «da ottobre finiscono nel vuoto». E quel progetto p…

Pubblicato il: 18/08/2023 – 6:59
di Emiliano Morrone
Cauteruccio: «Sempre più urgente un lavoro culturale di senso, radici e prospettiva»

LAMEZIA TERME Oggi con Giancarlo Cauteruccio, famoso regista teatrale che avevamo già intervistato in occasione della tragedia di Steccato di Cutro, parliamo di arte, spettacolo e cultura nella regione Calabria, che in estate si riempie di festival e premi, spesso caratterizzati dalla presenza di vip e dall’ossessione del numero degli spettatori. Tuttavia, osserva Cauteruccio, che conosciamo da molto tempo e cui diamo perciò del Tu, borghi e capoluoghi di provincia tendono, con l’arrivo dell’autunno, a rintanarsi nel silenzio, spesso accompagnato da mancanza di progettualità. Eppure, sottolinea il regista, ci sono una lingua, una storia e una gioventù da valorizzare, ma bisogna costruire un progetto di senso e profondità, senza fretta, con pazienza, audacia e lungimiranza.

Come è andata la performance dello scorso 26 marzo a Steccato di Cutro?
«Molto bene. C’è stata anche una notevole risonanza mediatica:diverse testate regionali e nazionali si sono interessate, il Corriere della Sera ha fatto una diretta web, Rainews24 ha seguito l’iniziativa e siamo finiti addirittura sull’Osservatore Romano, che ha pubblicato un interessante articolo al riguardo. Ciò significa, di là dal risultato espresso dalla relativa rassegna stampa, che i calabresi si muovono e riescono a creare dei fatti con le loro energie. Questo dato è molto importante e andrebbe compreso anche dalle istituzioni, che dovrebbero stimolare gli artisti della nostra regione ad entrare più potentemente nei territori».

A che punto siamo riguardo allo spettacolo?
«In estate la Calabria diventa una sorta di spettacolo continuo, come del resto altrove. Da giugno sino a settembre, qui arrivano grandi nomi internazionali e la regione sforna centinaia di premi. Tuttavia, non ne capisco poi la funzione: se sia solo un aspetto di superficie oppure se ciò favorisca la crescita turistica. Insomma, vorrei capire se, finiti i grandi festeggiamenti estivi, nel resto dell’anno la Calabria riesca ad attivare una propria vita culturale; se, ai vari livelli, le politiche culturali aiutino gli abitanti dei singoli luoghi a guardarsi dentro; se ci siano iniziative od eventi che possano indurre riflessioni sull’identità individuale e collettiva; se vi siano richiami culturali che ci permettano di valutare il nostro modo di esistere anche guardando al passato, ai secoli di civiltà e grandi scambi che ci hanno preceduto».

Che cosa si potrebbe fare?
«Se dovessi pensare ad un progetto per la Calabria, partirei dall’idea che la regione potrebbe attivarsi iniziando dai territori e dalla valorizzazione dei grandi teatri, cioè quelli delle città capoluogo, purtroppo fermi anche se spesso tecnicamente ben attrezzati. Allora si potrebbe intraprendere un percorso importantissimo, nel senso di definire una rete di grandi teatri, ciascuno dei quali sappia mettere in primo piano la creatività degli artisti calabresi. Così facendo, potremmo determinare una crescita personale e professionale delle nuove generazioni. Insomma, è tutto un discorso sul quale bisognerebbe meditare sul serio».

Giorni addietro ho discusso con un importante musicista classico calabrese, fra l’altro autore di colonne sonore per il cinema e la tv. Mi ha espresso il proprio scetticismo sul fatto che in Calabria si riescano ad avviare i percorsi culturali cui hai accennato; intanto a causa della diffusa volontà, indipendentemente dalle possibilità economiche, di non spendere in consumi culturali. Condividi questo tipo di scetticismo o nutri delle speranze?
«Se noi consultiamo la geografia degli appuntamenti estivi, vediamo che ogni luogo ha un evento in cui è sempre presente un personaggio di richiamo. Da calabrese vivo con sofferenza questo fatto, perché poi mi rendo conto che vi sono borghi bellissimi, penso per esempio nell’area arbëreshë del Cosentino, che da ottobre finiscono in una sorta di silenzio, di vuoto, di attesa dominante. Ecco, ciò mi provoca dolore. Anni fa sono rientrato dalla Toscana proprio con l’idea di poter mettere in moto meccanismi capaci di attivare l’interesse delle persone che abitano questi luoghi della Calabria. Da noi anche le città capoluogo risentono di questo vuoto progettuale, chiamiamolo così. Quando c’è un vuoto progettuale, ne discende un vuoto creativo. Ho notato, per esempio, che la maggior parte delle compagnie teatrali calabresi, in genere abbastanza giovani, si sono spostate verso la logica del piccolo prodotto vendibile. Bisognerebbe allora riflettere su come riuscire a portarlo in giro, a presentarlo in qualsiasi luogo: dal piccolo teatro all’auditorium scolastico, piuttosto che all’aula consiliare del municipio. Si tratta in prevalenza di monologhi con un linguaggio appetibile per il pubblico. Ma allora perché non proporre con grande energia qualcosa che abbia da fare con le tradizioni, con la storia, con l’identità della Calabria?».

Quindi sei ottimista?
«Vi sono tutti i requisiti e le materie prime per mettere in moto meccanismi creativi e linguistici che possano generare opere utilissime alla Calabria e non solo. Per esempio, nel campo del teatro e dell’arte in generale dovremmo metterci a confronto con le altre regioni del Sud, nelle quali si è in qualche modo verificata la crescita di una identità teatrale molto forte, riconosciuta anche a livello nazionale. In Calabria, se si escludono pochissime realtà, non si proietta nulla all’esterno. E proiettarsi all’esterno significa anche ampliare il campo d’azione degli stessi cittadini».

Lo impediscono radicate limitazioni culturali?
«L’altro giorno sono stato molto male, dopo aver letto un articolo di critica severa, per niente argomentata, nei riguardi di un recente concerto a Catanzaro di Sergio Cammariere. Nel pezzo si sosteneva che il pianista avesse deluso, ma è assurdo. Forse Sergio è l’unico artista calabrese che cerca di andare in profondità, che non ha mai creato musica e canzoni di vasta popolarità ma ha sempre mostrato di essere un grande musicista e perfino, di suo, un abile paroliere. Ecco, quel tipo di linguaggio che probabilmente Cammariere cerca e trova nelle sue origini, nella sua e nostra terra, non ha trovato riscontro. Evidentemente, il pubblico calabrese è stato formato a cercare in altre direzioni».

E cioè?
«Intendo dire che in Calabria quando non fai evento non sei riconosciuto, specialmente se sei calabrese. Questi sono aspetti che potrebbero diventare patologici, sino al punto da non riuscire a trovare più delle terapie culturali. Ecco perché si fa sempre più urgente, secondo me, un lavoro culturale di senso, radici e prospettiva. Sono rimasto sorpreso dal fatto che proprio la Regione Calabria, con uno dei bandi sul teatro, abbia investito per un triennio ben nove milioni di euro, quindi tre milioni di euro all’anno che vanno a coprire l’attività di un certo numero di compagnie, neanche tantissime. Poi sono andato a vedere i dati della Toscana e dell’Emilia-Romagna, rendendomi conto che in questo settore particolare la Toscana investe 740mila euro e più o meno la stessa cifra l’Emilia-Romagna, in cui poi si creano appuntamenti straordinari come il festival di Sant’Arcangelo, di livello nazionale e internazionale».

E allora?
«È come se in Calabria non tornasse qualcosa, come se si vivesse una sorta di realtà non ben organizzata, non ben progettata. Io credo che costruire il futuro della Calabria significhi mettere in relazione tutta l’energia in campo e ottimizzarne i risultati senza pensare alle grandi folle di pubblico. Andrebbe fatto un lavoro certosino, persona per persona, anno per anno. Il lavoro è lungo, ma va avviato ed affrontato il prima possibile, in modo da creare presupposti di crescita culturale ed economica».

Giancarlo Cauteruccio

Su quali basi?
«Io avevo lanciato questo tipo di idea, una volta ritornato in Calabria. Poi non ho trovato risposte da parte dei vari enti pubblici. Nello specifico, il progetto si chiamava “Nei borghi dell’avvenire”, proprio perché pensavo che proprio nelle piccole realtà – dopo l’emergenza pandemica, dopo l’esplosione di una guerra assurda e la radicalizzazione di una condizione geopolitica molto discutibile – si potesse lentamente costruire una nuova visione artistico-culturale, per esempio inquadrando in modo diverso il rapporto uomo-natura. Lo penso ancora e ritengo che la Calabria possa e debba approfondire questo specifico punto, perché è una regione con una natura selvaggia, anche se ha subito disastri paesaggistici, inquinamenti ambientali e tanto altro. La Calabria ha potenzialità straordinarie che altre regioni non hanno. È su questo specifico che bisognerebbe puntare, per costruire lentamente un nuovo gusto, una nuova sensibilità, una nuova estetica, una nuova poetica fatta di qualità e lontana dall’ossessione dei numeri, che hanno condizionato, impoverito e frantumato le comunità locali. Attraverso il lento recupero della qualità, credo che si riesca a nascere, non a rinascere. Qui non c’è nulla che deve rinascere, ma c’è tanto che deve nascere».

Su questa linea di ragionamento, che cosa senti di dire ai vertici della Regione Calabria?
«Intanto il presidente Roberto Occhiuto si sforza, almeno da quello che vedo, di affrontare i paradossi e gravami della regione. L’ho visto una sola volta in pubblico, ad un mese dalla tragedia di Cutro, nella chiesa madre della stessa cittadina. C’erano le autorità in mezzo ai cittadini che partecipavano. Lì c’era un’orchestra sinfonica che poi si esibì in concerto davanti a tutti i sopravvissuti della tragedia di Cutro, in prevalenza giovanissimi. All’ultimo il presidente Occhiuto fece un discorso senza fronzoli, orpelli, retorica: disse a quei ragazzi che era pronto ad accoglierli. Allora colsi un’umanità limpida. Poi ho pensato che se Occhiuto, peraltro ancora giovane, riuscisse a trovare intorno a sé una serie di convergenze, potrebbe favorire molto la crescita culturale».

Non c’è in giro troppa retorica sui giovani?
«Senza dubbio».

Sempre a proposito di giovani, si è spesso sentito dire per esempio al Garante regionale dell’infanzia, Antonio Marziale, che le città capoluogo di provincia hanno situazioni di emarginazione e di esclusione minorile piuttosto sottovalutate. Nei progetti culturali e teatrali si potrebbero coinvolgere minorenni emarginati ed esclusi, in modo da farli lavorare sulle grandi risorse culturali della Calabria? Al riguardo penso, per esempio, a figure come Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella.
«Sì, di sicuro. Io ci avevo provato, accusando successiva stanchezza per via della poca considerazione ricevuta dopo l’entusiasmo iniziale con cui erano stati salutati i miei progetti. Dico che in Calabria non si dovrebbe più tanto pensare all’audience o al grande personaggio vivente da utilizzare come calamita di spettatori. Al contrario, occorrerebbe avviare un discorso di contenuti, prospettive e valore aggiunto in una terra ricca, insieme, di grandi tesori e limiti culturali. Non ci servono appuntamenti culturali di superficie, abbiamo bisogno di profondità e senso. Prima hai citato Tommaso Campanella, pensa quanto potrebbe essere importante studiare “La città del sole” anche in termini scenico-architettonici o iconografici. Pensa quanto potrebbe giovare costruire un progetto culturale ed artistico a partire da quel testo, dall’idea che le mura della città portino informazioni, scienza e conoscenza».

Che cosa suggerisci?
«L’anno prossimo avremmo una grande opportunità, ma ancora non sono riuscito a parlarne con nessuno. Potremmo celebrare lo scrittore Saverio Strati, che nel 2024 avrebbe compiuto 100 anni. Saverio Strati mi interessa particolarmente. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, di frequentarlo. Si era trasferito infine a Scandicci, a pochi metri dal teatro da me diretto per 25 anni. Con alcuni amici tipo Vincenzo Ziccarelli o il giornalista Matteo Cosenza, mettemmo in moto un meccanismo per cui riuscimmo a fare ottenere a Strati il riconoscimento dei benefici economici della legge Bacchelli, che ne favorirono la vita negli ultimi anni. Benché fosse un grande della letteratura italiana, Strati alla fine si ritrovò da solo, tolti i pochi amici intellettuali che aveva attorno. Perciò, il 2024 potrebbe essere l’occasione per celebrarlo e dedicargli un progetto interregionale, nel senso di mettere insieme la Calabria e la Toscana, che sono state le terre della sua creatività, del suo studio e dei suoi approfondimenti».

Tempo fa mi dicevi di Gioacchino da Fiore.
«Continuo a pensare pure a lui. Sarebbe interessante mettere insieme i fili quasi invisibili ma fondamentali che ci sono stati tra lui e Dante. Ci sono tante possibilità, insomma. Però, più che avere delle idee non posso molto altro. Non ho più 40 anni, età in cui avevo tanta forza progettuale. Ora avrei bisogno di giovani talenti calabresi, al fine di attivare un laboratorio di idee per la cultura. Per me sarebbe anche una bella occasione per poter lasciare, restituire qualcosa alla mia terra. Però da solo non posso farcela, ma se le istituzioni e gli artisti vogliono accogliere questo appello, riusciremo ad attivare una sorta di centro di gravità culturale».

Di recente mi hai parlato anche di un ponte di luce sullo Stretto.
«Sì. Per esempio, un laboratorio presso il dipartimento di Architettura dell’Università di Reggio Calabria. Come sai, io ho la vecchia idea di un ponte di luce sullo Stretto. Siccome è partito il dibattito sul progetto del ponte, questa mia idea potrebbe stimolare gli studenti universitari, anche con un coinvolgimento interdipartimentale. Dunque, non solo gli aspiranti architetti, ma anche gli aspiranti letterati, matematici e fisici potrebbero essere interessati a creare un’opera estetica sull’idea del ponte. Sarebbe molto bello, aggiungo, realizzare un grande disegno di luce, che avrebbe molteplici significati, sia per la Calabria che per la Sicilia».

Hai altre idee?
«Sto lavorando ad un seminario su Brunelleschi e la divina proporzione, da tenere nel prossimo settembre insieme ad uno spettacolo sul tema realizzato con l’attore Roberto Visconti e con le musiche di Gianni Maroccolo, che spero di presentare al Teatro Cilea di Reggio Calabria. Si tratta di un’opera molto particolare, già diffusa più volte da Rai 5, diventata di videoteatro. Questo, per esempio, è un altro progetto che potrebbe svilupparsi negli anni e che, dedicato alle nuove generazioni, potrebbe offrire ai più giovani strumenti operativi per immaginare un futuro estetico della Calabria molto al di là delle presenze fugaci di star e vip nelle estati nostrane». (redazione@corrierecal.it)

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