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Il rancore di Ciccio Tabacco nei confronti di Accorinti e Totò Yoyò: «Gli faccio vedere io come si agisce»

Il collaboratore di giustizia Pasquale Megna racconta che Francesco Mancuso riteneva i due «responsabili del suo ferimento»

Pubblicato il: 20/08/2023 – 15:00
di Alessia Truzzolillo
Il rancore di Ciccio Tabacco nei confronti di Accorinti e Totò Yoyò: «Gli faccio vedere io come si agisce»

CATANZARO Sono ancora parecchio imbiancati di omissis i verbali resi da Pasquale Alessandro Megna, 38 anni, figlio di Assunto Megna e nipote di Pantantaleone Mancuso detto “Luni Scarpuni”, componete di vertice del clan Mancuso di Limbadi.
Da febbraio scorso, quando si indaga sulla ‘ndrangheta del Vibonese e sui Mancuso gli inquirenti fanno ricorso anche ai ricordi del neo collaboratore di giustizia.
Ad ascoltarlo, lo scorso 14 aprile, c’erano il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il sostituto Annamaria Frustaci. Il verbale, finito nei faldoni dell’inchiesta Maestrale-Carthago, è omissato per parecchie pagine, fino a quando non si parla della vicenda di Francesco Mancuso, detto “Ciccio Tabacco”, zio della moglie del collaboratore.
Ciccio Mancuso è stato vittima di un attentato, il 9 luglio del 2003 a Spilinga, nel quale perse la vita Raffaele Fiamingo, all’epoca 43enne, pluripregiudicato di Zungri.
Colpito al torace, all’addome e al braccio sinistro, Ciccio Tabacco riuscì a salvarsi dopo un intervento chirurgico all’ospedale di Vibo e una degenza di un mese e mezzo al Policlinico di Messina.

«Gli faccio vedere io come si agisce»

Pasquale Megna ricorda di avere sentito parlare Francesco Mancuso dell’accaduto. Una battuta al vetriolo nei confronti di due soggetti nei confronti dei quali covava rancore anche a causa dei problemi di salute che aveva riportato. «Qualche giorno – avrebbe detto – gli faccio vedere io come si agisce a Peppone e a Jojò». “Peppone” è Giuseppe Antonio Accorinti, boss di Zungri, mentre “Jojò” (in realtà l’alias è Yoyò) è Antonio Prenesti. Secondo il collaboratore, Francesco Mancuso «pronunciò queste parole perché li riteneva responsabili del suo ferimento».
Lo scorso 18 aprile la Corte d’Assise di Catanzaro – presidente Alessandro Bravin – ha assolto tutti gli imputati per non aver commesso il fatto: Cosmo Michele Mancuso, 74 anni, detto “Michelina”, Domenico Polito, 59 anni, di Paradisoni di Briatico, e Antonio Prenesti, 57 anni, di Nicotera. Il pm Romano Gallo aveva invocato tre ergastoli. Per quanto riguarda Accorinti, la sua posizione è stata stralciata e non è stata mai esercitata l’azione penale.
Secondo l’accusa l’agguato nasceva dal fatto che Tabacco e Fiamingo avevano chiesto il pizzo al gestore di un panificio di Spilinga, ma tra i proprietari di quel negozio c’era anche il fratello di Antonio Prenesti, ritenuto braccio destro del boss Cosmo “Michelina” Mancuso. Dopo la richiesta estorsiva, i gestori del panificio, sentendosi forti del sostegno dei boss locali, avrebbero chiesto a Fiamingo e a “Tabacco” di tornare dopo un’ora. Nel frattempo il gestore del panificio e il fratello di Prenesti si sarebbero recati da Cosmo Mancuso a Limbadi, assieme a Polito, per chiedere al boss il placet per l’agguato. E “Michelina” Mancuso avrebbe dato l’ok a sparare anche contro il nipote Francesco detto Ciccio. Così, una volta tornati al panificio, “Tabacco” restò in auto mentre Fiamingo scese ed entrò nel negozio, ma si ritrovò davanti due persone che gli spararono contro, lo inseguirono all’esterno e lo finirono in una via vicina. Anche Ciccio Mancuso venne colpito, però riuscì a fuggire in auto e ad andare a casa di una persona dove avrebbe ricevuto le prime cure da un medico.

Discordie tra fratelli Mancuso

Pasquale Alessandro Megna ha lasciato agli inquirenti della Dda di Catanzaro degli appunti manoscritti. Li ha consegnati come promemoria da approfondire. Tra le altre cose, parla dei pessimi rapporti tra Francesco Mancuso e suo fratello Pantaleone detto “l’Ingegnere”. I due, ricorda il collaboratore, non erano in buoni rapporti da circa 15 anni.
Era “l’Ingegnere” – spiega Megna – a manifestare ogni tanto l’intenzione di fare pace. Così «quando mi chiamava suo fratello Ciccio Tabacco per prendere del pesce (attività che avevano i Megna, ndr)» Pantaleone Mancuso chiedeva di mandargli l’imbasciata per riappacificarsi: «Mi chiedeva di dire a “Tabacco” di andare da lui a parlare».
Ma “Tabacco” non voleva saperne: se il fratello voleva parlare doveva andare a trovarlo «senza mandare imbasciate con altri». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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