CROTONE Francesco Oliverio, ex capo del “locale” di Belvedere Spinello, non è un esperto di economia. Non nega che la sua cosca abbia effettuato operazioni finanziarie, ma spiega che sarebbe stato suo cugino Sabatino Marrazzo ad avere il controllo degli affari in quel settore. Il suo racconto a Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, pm che hanno condotto l’inchiesta Glicine-Acheronte, non entra in dettagli tecnici. Descrive le pratiche del clan per ottenere denaro con operazioni fittizie e tratteggia uno scenario che mette insieme cosche e servizi segreti deviati nelle pratiche per la movimentazione dei fondi dall’estero. Stesso know-how per diverse centrali operative occulte.
Oliverio, oggi pentito, riferisce che «tutte le operazioni finanziarie, interpolate anche con alcune ramificazioni bancarie in Svizzera, erano gestite proprio da Sabatino Marrazzo il quale, di comune accordo con lo stesso Oliverio, si approvvigionava del denaro della cosca per investirla, appunto, in strumenti finanziari». L’ex boss parla ai magistrati antimafia dell’apertura di società offshore all’estero e in Inghilterra. E dei propositi di acquisto di una petroliera. «Sabatino – mette a verbale – si recava spesso anche in Svizzera, unitamente al fratello Agostino, per impiegare i capitali della cosca».
Marrazzo è una delle figure più complesse tra quelle legate alle cosche del Crotonese. Coinvolto nel processo “Six Towns”, ha rimediato una condanna a otto anni in primo grado, poi l’assoluzione in Appello dall’accusa di associazione mafiosa e, in Cassazione, un annullamento che ha rimandato gli atti ai giudici di secondo grado. La Cassazione ha giudicato «carente e illogica» la sentenza dei giudici di Appello e ritiene che Marrazzo, detto “il massone”, abbia partecipato a una riunione con Nicolino Grande Aracri. Un summit nel corso del quale «furono affrontate tematiche inerenti settori vitali delle cosche di riferimento quali l’infiltrazione mafiosa nei settori dell’economia e la spartizione degli affari tra le famiglie di ‘ndrangheta». Per questo motivo «non pare logicamente congruente che un soggetto estraneo alle dinamiche associative sia messo nelle condizioni di interloquire su tematiche di rilievo con un esponente apicale quale Grande Aracri ovvero di proporre soluzioni operative come fatto dal Marrazzo nel corso dell’incontro del settembre 2012, stante il livello di riservatezza che contraddistingue il funzionamento delle cosche calabresi».
Del cugino, l’ex capoclan dice che «era considerato la “faccia pulita” del “locale” di Belvedere Spinello, per cui si tentava di tenerlo occulto all’interno della struttura di ‘ndrangheta». A dire di Oliverio, Marrazzo avrebbe cercato di fargli conoscere direttori di istituti bancari e imprenditori ma lui «proprio per preservarne la figura pulita», avrebbe sempre declinato. Il collaboratore di giustizia spiega ai magistrati della Dda di Catanzaro di non essere mai stato a conoscenza «non solo delle procedure ma anche delle conoscenze utilizzate da Marazzo nelle operazioni finanziarie».
C’è, però, un episodio che gli inquirenti decidono di riportare nei faldoni dell’inchiesta Glicine-Acheronte, nella quale Sabatino Marrazzo non è indagato. È un fatto accaduto attorno al 2004-2005, anni nei quali il boss sarebbe riuscito a entrare – tramite «un faccendiere napoletano legato alla camorra» – in una società di Sarno, «gestita o di proprietà di un soggetto campano chiamato “Gigino”». «Fornimmo il denaro per acquistare un capannone da 20 milioni di euro – spiega – e diventammo soci occulti al 30%». “Gigino” avrebbe chiesto a Oliverio «se avesse conoscenze in ambito bancario, per trasferire dei fondi». E il boss avrebbe organizzato un incontro tra il socio e Sabatino Marrazzo «per discutere della vicenda». Il cugino, nei mesi successivi, si sarebbe presentato a Oliverio per riferirgli che «da lì a breve, presso un conto corrente acceso presso un istituto bancario crotonese e con l’intercessione del direttore di banca amico, sarebbero giunte delle somme quantificate in 500mila euro attraverso un bonifico presso un conto corrente fasullo». Questa movimentazione economica – spiega ancora il pentito – «aveva un range temporale dopo il quale non era possibile procedere all’operazione di scarico del conto corrente fasullo messo in piedi da Marrazzo e dal soggetto napoletano, atteso che, al termine del range temporale, veniva emesso un “alert” dall’istituto bancario».
«Quello che vi dico – chiarisce l’ex reggente del clan – non so spiegarlo in altri termini. Fatto sta che Sabatino Marrazzo poteva disporre della compiacenza di più direttori di banca, anche grazie alle sue entrature massoniche». Il tentativo messo in atto assieme a “Gigino” non sarebbe andato a buon fine ma, secondo Oliverio, la cosca avrebbe portato a compimento altre operazioni simili. In un altro interrogatorio del settembre 2020 (il primo risale al febbraio dello stesso anno), Oliverio approfondisce alcuni aspetti riguardanti gli investimenti finanziari di Marrazzo. «Quali ulteriori dettagli – continua – posso dirvi di aver compreso come parte dei soldi che arrivavano presso i conti correnti fittiziamente aperti dai direttori compiacenti, provenissero da fondi esteri, sui quali operavano servizi segreti esteri ed italiani». Una circostanza che «mi venne confermata sia da Sabatino che da “Gigino”». In particolare, Marrazzo avrebbe presentato all’allora “capo” «un altro soggetto di origine campana, con il quale spesso si recava a Roma, presso uffici ministeriali, per far arrivare denaro sui conti correnti di cui vi ho parlato. In quella occasione mi parlarono di Paesi arabi come la Libia e Dubai, accennandomi a fondi neri che dovevano rientrare».
Inutile chiedere a Oliverio «ulteriori particolari», le operazioni gli venivano raccontate «in termini di percentuale di guadagno per la consorteria, ma circa le modalità tecniche e i personaggi coinvolti, non ne volevo sapere nulla». Il pentito aggiunge soltanto un’ulteriore passaggio: «Diverse famiglie di ‘Ndrangheta conoscevano e avevano direttori di banche compiacenti, nella predisposizione delle operazioni di cui ho riferito. Fra queste proprio i Papalia, i quali mi confidavano di sapere che dietro l’attivazione di false operazioni bancarie per il rientro di capitali esteri, spesso risultano coinvolti i servizi segreti». Scenario, quello descritto nel verbale di Oliverio, che mette in relazione – come avvenuto per altri pentiti – i clan con pezzi dei servizi deviati. Un racconto inquietante e tutto da verificare. (p.petrasso@corrierecal.it)
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