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La ricetta di Ichino: «Il salario minimo va bene, ma la paga in Calabria sia più bassa che al Nord»

Il giuslavorista: «I livelli retributivi vanno riferiti al costo della vita. Quello che va bene in Lombardia non vale per il Sud»

Pubblicato il: 21/08/2023 – 11:34
La ricetta di Ichino: «Il salario minimo va bene, ma la paga in Calabria sia più bassa che al Nord»

LAMEZIA TERME Il salario minimo va bene, ma – una volta stabilito il valore medio – in Calabria dovrebbe essere inferiore rispetto al resto d’Italia. Pietro Ichino, giuslavorista, ex sindacalista ed ex senatore Pd, viene intervistato da “La Stampa” e nel dibattito sul salario minimo legale introduce una variabile: «La paga oraria andrebbe modulata in base al diverso costo della vita nelle regioni, da aggiornare periodicamente». 
In sostanza, Ichino si dice favorevole alla misura ma «a condizione che la retribuzione minima sia determinata secondo criteri corretti, sulla base dei dati disponibili su domanda e offerta di lavoro». Questo perché «se si stabilisce lo standard minimo a un livello troppo basso non serve a niente o addirittura fa danni, avendo un effetto depressivo sui livelli retributivi effettivi; se lo si stabilisce a un livello troppo alto produce disoccupazione o lavoro nero. Lo standard retributivo minimo universale non può essere stabilito “a occhio”».

La ricetta di Ichino: «Il salario minimo va bene, ma la paga in Calabria sia più bassa che al Nord»
L’intervista di Ichino a La Stampa

L’ex parlamentare dem entra nel dettaglio: «I contratti dei principali settori manifatturieri sono stipulati guardando soprattutto al Centro-Nord del Paese, dove la manifattura è fiorente e diffusa. Ma quello che va bene per il Centro-Nord non va bene al Sud, dove oltretutto il costo della vita è mediamente più basso ed è mediamente più bassa pure la produttività del lavoro, anche a causa di gravi difetti delle infrastrutture. Uno standard minimo universale non può non tenere conto di squilibri interregionali forti come quelli che si registrano in Italia». 
Davanti all’obiezione che questo approccio vedrebbe ritorno alle “gabbie salariali”, Ichino risponde così: «Basta stabilire il salario minimo in termini di potere d’acquisto della moneta. Si tratterebbe di affidare all’Istat il calcolo e l’aggiornamento periodico del costo della vita medio nelle regioni e su questo valore modulare i compensi. Il rischio è altrimenti di stabilire uno standard troppo basso per la Lombardia e troppo alto per la Calabria. Se si stabilisce a 9 euro il dato medio nazionale, il minimo salariale potrebbe essere del 20 per cento più alto a Milano e del 10 per cento più  basso a Cosenza». (redazione@corrierecal.it)

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