VIBO VALENTIA Maturata la scelta di intraprendere la collaborazione con la giustizia, e solo dopo aver riconsiderato la propria condotta di vita, il pentito Giuseppe Corsini (qui la prima parte della storia) si presenta davanti all’allora sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, ora procuratore di Vibo Valentia, Camillo Falvo, con un lungo memoriale. Pagine e pagine su cui sono riportate tutte le attività di narcotraffico internazionale che lo avevano portato a relazionarsi con Francesco Ventrici, Vincenzo Barbieri ma anche con Domenico Campisi e i fratelli Salvatore e Roberto Cuturello. Dichiarazioni che rappresentano un punto di forza essenziale sul quale si basa l’impianto accusatorio dell’inchiesta della Dda di Catanzaro “Adelphi”.
«Ho conosciuto Francesco Ventrici nel 2009 attraverso Ciccio Criaco, ossia Francesco. Criaco è di Africo ed è vicino agli Strangio ed ai Nirta, famiglia calabrese della quale già negli anni ‘80 ho avuto modo di conoscere personalmente alcuni degli esponenti più anziani». Nella prima parte dell’interrogatorio, Corsini parte dalle origini e ricostruisce i legami costruiti nel tempo. Riferisce, quindi di aver conosciuto Francesco Ventrici, indicato da Criaco quale referente della cosca Mancuso per il settore del narcotraffico, da Leonardo Marte, quest’ultimo legato da vincoli familiari allo stesso Criaco, entrato in contatto proprio con Ventrici durante il periodo di carcerazione a Bologna, e già condannato in abbreviato a 18 anni e 20 giorni. Corsini ricorda a Falvo che Ventrici gli aveva più volte riferito di essere entrato in affari di narcotraffico con Criaco esclusivamente per lo stretto legame che aveva instaurato con Marte, personaggio di elevato spessore criminale. «Francesco Ventrici – dice Corsini nell’interrogatorio – un giorno disse a me che se non era per la conoscenza di Leonardo non avrebbe mai fatto affari con Criaco». E ancora: «Criaco in particolare mi diceva che interessati all’apertura di una linea nuova erano i Mancuso dei quali lui, attraverso il cugino Leonardo, aveva conosciuto Franco Ventrici che ne gestiva le attività di narcotraffico». Davanti a Falvo, Corsini spiega: «(…) ricordo che in quell’occasione dissi a Criaco che io non avevo mai avuto a che fare con i Mancuso in quanto avevo sempre lavorato con le “famiglie” del reggino, dalla parte tirrenica avevo conosciuto solo alcuni esponenti dei Pesce. Mi ricordo che ad ottobre passò con Leonardo e un cugino e mi disse più esattamente di “fare il bravo”».
Così come ricostruito dagli inquirenti, Francesco Criaco era effettivamente una figura di spicco di Africo, nel Reggino, inserito nel tessuto della criminalità organizzata dell’area jonico-reggina, in particolare contiguo alla cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara del mandamento Jonico-Reggino, area della Locride della provincia di Reggio Calabria, da anni stanziato a Montecchio Maggiore, nel Vicentino, dove aveva spostato i propri interessi anche nel settore degli stupefacenti. Il rapporto di conoscenza tra il pentito Corsini e Criaco – così come ricostruito dagli inquirenti – si era immediatamente consolidato grazie alle amicizie comuni vantate con personaggi di spessore delle ‘ndrine Nirta-Pelle-Giorgi alias “Cicero” di San Luca, tra i quali Bruno Giorgi (cl. ’60), tratto in arresto a Belgio nel 2005 per traffico internazionale di stupefacenti dopo 5 anni di latitanza e Sebastiano Pelle (cl. ’54) boss dell’omonima cosca di San Luca, rimasto latitante per 16 anni (dal 1995) e tratto in arresto nel 2009 per scontare una pena ad anni 14 di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti ed armi.
Oltre a Francesco Criaco, Giuseppe Corsini fa riferimento ad un’altra figura di assoluto spessore criminale, Leonardo Marte. Il classe ’59 non è un personaggio qualunque: originario anche lui di Africo, alla fine degli anni ‘70, legato da vincoli familiari a Criaco, ha riportato una condanna a 29 anni di reclusione in quanto ritenuto uno dei principali responsabili del sequestro di Carlo Celadon, rapito dall’anonima sequestri calabrese il 25 gennaio del 1988 ad Arzignano (VI) e poi trasferito in Calabria dove venne trattenuto dai suoi carcerieri per ben 831 giorni nascondendolo in vari covi tra l’Aspromonte e Pizzo. Leonardo Marte, tornato poi in libertà nell’aprile del 2013 dopo aver passato diversi anni in carcere a Bologna, è stato tratto in arresto l’1 dicembre 2015 (indagine New connection) in quanto ritenuto responsabile, unitamente a Leo Criaco, quest’ultimo in rapporto di frequentazione con Francesco Criaco, di un ingente traffico internazionale di cocaina diretto da Sebastiano Signati, anche lui arrestato in Belgio, esponente di spicco della cosca Pelle-Vottari, già latitante dal 2005 ed inserito nell’elenco dei 100 ricercati più pericolosi.
Nelle sue dichiarazioni rese al magistrato, il pentito Corsini fa così riferimento ad un episodio risalente al 2013, quando cioè si trovava ai domiciliari nella sua abitazione di Montecchio Maggiore. Corsini spiega di essere stato avvicinato da Leonardo Marte, nel frattempo tornato in libertà. Quest’ultimo, accompagnato da un cugino di Francesco Criaco, gli aveva rivolto la frase “vedi di fare il bravo che mi hai capito”, un monito che il collaboratore di giustizia aveva percepito come avvertimento per il processo che lo vedeva coimputato con Ventrici. In quel periodo Corsini aveva già iniziato la prima collaborazione con la Dda di Bologna. Ma, oltre alla velata minaccia, a Corsini dalla Calabria arriva presto un altro messaggio. Quello recapitato da Giuseppe Petullà, di ritorno da una trasferta in Calabria, che riferisce di avere discusso con un tale Angelo Mercuri (loro coimputato nel processo Due Torri Connection) della sua linea processuale. Attraverso la figura di Petullà, così come riferito da Corsini, Mercuri aveva avanzato la richiesta di seguire nel corso del processo una diversa linea strategica fondata sulla riconduzione dei fatti di narcotraffico contestati in quella sede giudiziaria ad una truffa ordita nei loro confronti. «(…) una forma di richiesta sì, che poi dovevo dire che era tutta una truffa (…) “Sai, io ti mando una mbasciata, ambasciator non porta pena…”» dice Corsini nel corso dell’interrogatorio. «Mi disse “Guarda, loro mi hanno detto così, e io te lo dico e basta, non mi interessa…”». Concetto ribadito anche il 6 maggio 2016, così come riportato nel verbale illustrativo di collaborazione. Prima la minaccia di Leonardo Marte «(…) dopo mi arrivò il messaggio da parte di Angelo, dicendo che dovevo dire al processo, cioè quando avevamo l’appello che dovevo dire che era tutta una truffa. Insomma, mi aveva mandato vari segnali come che dovevo un po’ ritrattare quello che io già avevo iniziato a raccontare». Richiesta che Corsini soddisfa a causa di periodo difficile della propria vita. «Io – spiega Corsini – in quel periodo avevo mia moglie che stava molto male e mio figlio che stava male, e non volevo che succedeva niente, e mi interessava più i miei familiari che tutto il resto, non volevo avere rogne in quel periodo».
Incalzato dalle domande di Falvo, nel corso dell’interrogatorio, Corsini delinea la figura di Leonardo Marte. «(…) io ho sempre sentito parlare di questo Leonardo e l’ho visto in alcune occasioni e poi più. Sentivo perché Ventrici parlava sempre di Leonardo, che Leonardo gli mandava dei messaggi tramite a un parente ai colloqui, insomma…» «A me lo disse Ventrici, Ventrici che mi diceva tutto quello che succedeva di qua, che lui si impegnava a fare uscire questo Leonardo perché era bravo, e di qua e di là» «Se non c’era Leonardo, non avrebbe mai fatto fare niente, mai fatto proprio…», spiega ancora Corsini riferendosi agli affari tra Ventrici e Criaco. (g.curcio@corrierecal.it)
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