CATANZARO È la denatalità l’indice più chiaro dell’impoverimento di un territorio. Un fenomeno che compromette anche le aspettative di migliorare le condizioni socio-economiche future. E l’Italia con alcune aree in particolare – tra tutte la Calabria – da anni sembra aver imboccato questa strada senza ritorno. Almeno a giudicare dai dati. Nel corso dei decenni, infatti, sempre meno coppie hanno messo al mondo figli e le previsioni degli anni prossimi non fanno ben sperare. Anzi il trend, stando ai dati dei principali istituti statistici, indica un peggioramento del quadro generale.
Tanto da far affermare, in un recente commento degli analisti dell’Istat all’elaborazione del report demografico dell’Istituto statistico nazionale che «nel 2045 le coppie con figli saranno la minoranza».
Nel futuro insomma ci si aspetta una popolazione con sempre meno giovani e con più anziani da gestire. Un quadro che avrà pesanti impatti sulla tenuta del sistema assistenziale e sanitario dei territori ma anche su quelli dei conti economici degli istituti di previdenza. Su quest’ultimo aspetto anche il governo Meloni ha dovuto rallentare sull’ipotesi di riforma delle pensioni, proprio a causa del problema della bassa natalità. «Non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo – ha detto a chiare lettere il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – con i numeri della natalità che abbiamo oggi in questo Paese».
Ed i numeri indicano plasticamente come progressivamente l’Italia stia andando in quella direzione con una crescita degli over 65 stimata dall’Istat al 2030 di oltre 14 punti percentuali e 1,3 milioni di giovani under 14 in meno. E a pesare, il crollo del numero proprio dei bambini. A meno di inversioni di tendenza poco verosimili visti i precedenti, in un decennio i piccoli tra 0 e 4 anni diminuiranno di oltre 8 punti percentuali passando da 2,3 milioni del 2020 a meno di 2,1 del 2030.
Una trend che è partito da lontano e frutto di politiche poco attente a contrastare il fenomeno che rischia così di pregiudicare le aree più povere del Paese, in cui si registra già una forte erosione della popolazione a causa dell’emigrazione affatto compensata dall’arrivo di immigrati.
Una trappola demografica di cui la Calabria potrebbe essere la principale vittima. Con conseguenze ancor più devastanti sul futuro economico-sociale della regione.
E d’altronde politiche che non hanno finora favorito il sostegno reale alle famiglie calabresi, gli scarsi servizi offerti dal territorio per l’infanzia ed l’incremento dei costi per allevare piccoli ha finito per scoraggiare le giovani coppie già provate dalla difficoltà di trovare un posto di lavoro.
Così le conseguenze si sono tradotte in una perdita secca delle nascite certificate dal rapporti demografici.
Secondo i dati dell’Istat, in 22 anni in Calabria sono nati circa un terzo di bimbi in meno.
Nel dettaglio si è passato da 19.612 bambini nati nel 1999 a 13.219 del 2021.
E per il futuro il trend proseguirà, se è vero che – dalle proiezioni elaborate dall’Istituto di statistica nazionale – tutte e cinque le province registreranno nel 2030 un calo netto di piccoli residenti. Ponendo l’intero territorio calabrese tra le aree con maggiore flessione.
Stando alle elaborazioni degli analisti Istat, sarà la provincia di Cosenza nel corso del decennio a perdere più bambini. In questo territorio, tra il 2020 e il 2030 (periodo preso in esame dallo studio), gli abitanti fino a 4 anni diminuiranno del 17,1% tradotto in numeri significherà che avrà 4.535 minori in meno.
Segue in classifica, il Reggino con il 16,2% di piccoli abitanti “spariti” dall’anagrafe nel decennio: in numeri assoluti 3.595 bimbi nella comparazione tra il 2020 e il 2030.
La provincia di Catanzaro, invece, registrerà una flessione pari a 15 punti percentuali pari a 2.067 minori residenti in meno entro il 2030. E il Vibonese totalizzerà una perdita di giovanissimi residenti pari al 13,8 % che in numeri si traduce in 822 minori non più presenti sul territorio. Oltre dieci bambini su cento in meno nel Crotonese che vedrà la sua piccola popolazione ridursi di 787 minori.
Numeri che indicano come la Calabria risulterà tra le aree in Italia con maggiore perdita di piccoli residenti. Gran parte delle province italiane, infatti, registrerà una flessione della popolazione minorile in questa fascia di età inferiore al 10% e addirittura alcune, avranno nel decennio un incremento superiore al 2%: si tratta delle province di Trieste, Trento, Gorizia, Savona, Imperia e Genova.
Se poi il dato sul crollo di natalità incrocia quello sull’andamento dell’emigrazione di popolazione dalla Calabria – solo nell’ultimo anno la regione ha perso il dato record in Italia del 5,5 per mille – si può percepire come il quadro complessivo possa tingersi ancor più di nero nel prossimo futuro.
A pesare sul futuro resta anche la situazione di forte criticità in cui versa l’offerta educativa e di servizi per i bambini nella regione. Ad iniziare dalla presenza di asili nido, mense e palestre. In tutti questi aspetti la Calabria brilla in negativo.
Nella regione, ad esempio, registra appena 11,9 posti nido ogni 100 bambini contro la media nazionale del 27,2%. Un dato decisamente lontano dall’obiettivo fissato dall’Europa pari al 33%. Meno di un quarto sono le scuole calabresi dotate di mense: anche qui fissando un record negativo. Così come gli istituti scolastici calabresi sono tra quelli che hanno il minor numero di palestre.
Una situazione critica sulla quale dovevano agire in modo sostanziale le misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma con i tagli “lineari” dei fondi programmati nella rimodulazione del Pnrr da parte del governo, anche quella speranza è messa a rischio.
Questo si tradurrebbe in un’ulteriore beffa per la regione già alle prese con gli effetti della crisi demografica e con l’atavica difficoltà di crescita economica di cui la perdita di cittadini è elemento non secondario. (r.desanto@corrierecal.it)
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