SAN LUCIDO La chiacchierata comincia con il più banale degli argomenti: il tempo. E la curiosità per lo strano infuso verde che sorseggia mentre è in attesa del suo turno, davanti all’ufficio anagrafe del municipio. «Anche se fa così caldo non rinuncio mai al mate bollente» dice sorridendo. Nella mano destra tiene la classica zucchetta con la cannuccia e sotto il braccio stringe un thermos con la foto di Messi da cui continua a versare acqua fumante a piccole dosi. Tradito dal suo inconfondibile accento sudamericano, è un attimo e la conversazione vira sulle sue origini e su questi ricci neri, chissà che non siano un’eredità tramandata dal suo avo. «Vengo dall’Argentina, ma il mio trisnonno era calabrese. È partito da qui alla fine del 1800 e io porto il suo cognome. Non sapevo quasi nulla dell’Italia e della Calabria ma tornare qui è stato un po’ come ritrovare le mie radici recise e capire tante cose anche su di me».
Lucas ha 23 anni, una laurea in psicologia e un progetto per il suo futuro ben chiaro in testa ma quando le domande si fanno più specifiche i dettagli diventano sfumati. «Vivo qui, per ora. Domani chissà».
Sono così tanti, i giovani sudamericani in attesa di cittadinanza italiana, che il Comune di San Lucido – centro turistico del Tirreno cosentino – ha dovuto stabilire che un giorno a settimana, il venerdì, l’ufficio anagrafe si occupi esclusivamente delle loro pratiche. Hanno tra i 20 e i 30 anni, arrivano prevalentemente dall’Argentina, dal Brasile, dal Perù, dalla Colombia e – anche se non lo dicono apertamente – sono in Italia “di passaggio”, per il riconoscimento del possesso iure sanguinis dello status di cittadino italiano concesso a chiunque sia discendente da un avo italiano emigrato in Paesi dove vige lo ius soli. L’obiettivo è rimanere il tempo necessario per ottenere la cittadinanza per poi muoversi liberamente in Europa.
Centinaia di giovani da qualche anno (dal 2020 gli ingressi sono molto aumentati) arrivano in Italia dal Sudamerica per sfuggire alla povertà, alla corruzione e all’instabilità politica ed economica dei loro Paesi e cercare opportunità in Europa. Scelgono soprattutto il sud Italia e non necessariamente perché da qui sono partiti i loro avi (la legge li lascia liberi di scegliere un comune qualsiasi sul suolo italiano), attratti soprattutto da un costo della vita più basso e dalla disponibilità di alloggi abbordabili e impieghi occasionali. L’importante è avere una casa da prendere in affitto per poter ottenere la residenza nel comune. Gli appartamenti solitamente destinati ai villeggianti ora sono abitati tutto l’anno e si fa quasi fatica a trovarne di liberi.
A San Lucido se non è un record poco ci manca: circa quattrocento nuovi residenti negli ultimi cinque anni, basta fare una passeggiata in paese per capire la portata del fenomeno. In giro ovunque si sente il tipico accento sudamericano. Il turn over è continuo: un giro vorticoso di arrivi e partenze. Mentre alcuni di loro preparano le valigie, nuovi gruppi sono già in arrivo per avviare le pratiche. Una bella gatta da pelare per i Comuni che devono gestire questo flusso continuo di nuovi residenti e vigilare che il fenomeno non abbia risvolti in chiaroscuro legati al giro di affari che inevitabilmente ruota intorno ai migranti sudamericani. Nell’ombra, infatti, ci sono anche organizzazioni che, muovendosi sul filo della legalità, gestiscono il transito di questi giovani con manovre non sempre cristalline.
I sindaci sono divisi sulla linea da tenere. Alcuni, più diffidenti, hanno stretto così tanto le maglie dei controlli da disincentivare nuove richieste di residenza, altri hanno dovuto prendere atto di un fenomeno che, oltre ad essere regolamentato dalla legge, ha comunque ricadute positive sui territori. Come il sindaco di San Lucido, Cosimo De Tommaso, che in questi giorni di fine estate si gode il bilancio più che positivo della stagione turistica. «Io all’inizio ho fortemente contrastato questo flusso di arrivi – dice perentorio. – C’era qualcosa che non mi convinceva dietro a un numero enorme di richieste di residenza. Spesso questi giovani non hanno nessun legame con il nostro comune e anche quando lo hanno, molti di loro non riescono a rintracciare nessun lontano parente. Ho subodorato che potesse esserci un mercato nero a gestire questi trasferimenti dal Sudamerica e ho voluto stroncare subito qualsiasi tentativo di agire illegalmente. I controlli sono diventati strettissimi – continua – ho preteso che i sopralluoghi nelle case in cui si trasferiscono i migranti venissero effettuati con puntualità e senza deroghe. Ma soprattutto – aggiunge De Tommaso – ho obbligato a venire in Municipio a chiedere personalmente la residenza, laddove capitava che qualcuno provasse a farlo per conto terzi. Oggi negli uffici del Comune accogliamo questi giovani, dialoghiamo con loro, ascoltiamo le loro storie, ci accertiamo delle loro reali intenzioni. Questo ci ha consentito di avere un altro occhio sul fenomeno, più indulgente: nella maggior parte dei casi sono laureati, spesso vengono sostenuti economicamente, con grandi sacrifici, dai loro genitori, cercano in Europa un futuro migliore perché scappano da paesi in cui lo stipendio medio è l’equivalente di 250 euro». De Tommaso non nasconde che questa invasione sudamericana ha anche delle ricadute positive sull’economia del comune. «C’è da dire che lavorano, producono e spendono tutto o quasi tutto all’interno del territorio – spiega il sindaco. – Molti di loro hanno meno di 30 anni, giustamente hanno le esigenze e la voglia di divertirsi tipica di questa età. Ma nella maggior parte dei casi cercano subito di rendersi indipendenti. Lavorano nei pub o nelle pizzerie, ma si adattano a fare un po’ di tutto», lo scorso anno hanno sopperito al vuoto di manodopera a basso costo conseguenza del reddito di cittadinanza. C’è poi un altro non trascurabile indotto legato al flusso di migranti sudamericani: il business degli affitti. «I nostri concittadini avevano decine di appartamenti che rimanevano chiusi, sfitti. Adesso sono abitati tutto l’anno. È una buona cosa per tutti», dice il primo cittadino.
Il venerdì mattina, anche prima che gli uffici aprano, c’è già la fila di aspiranti cittadini italiani ed è necessario distribuire i numerini per non creare disordine. Negli zainetti hanno documenti, i nomi e le date di nascita di antenati di cui non è rimasta traccia a parte un nome, un cognome e la destinazione del loro viaggio della speranza. Quello che oggi fanno – in direzione opposta – i loro trisnipoti.
Sfogliare queste carte provoca un brivido, si precipita in tempi lontanissimi. «Le faccio vedere una cosa» sussurra una ragazza brasiliana mentre cerca il foglio giusto nella sua cartellina. Poi mi mostra alcuni nomi in colonna. «Questo era il padre del mio bisnonno, partito nel 1870 da Belluno per Urussanga, in Brasile. Questo invece è mio nonno, si chiamava come lui. Quest’ultimo nome invece è quello di mio padre». Nel passaggio da una generazione all’altra il cognome ha perso una L, insieme – probabilmente – a ogni traccia di identità italiana. «La lingua la sto imparando qui – confessa – non conoscevo neanche una parola».
Intanto allo sportello si avvicendano uno dopo l’altro tutti gli utenti in fila. Ci sono problemi di comprensione, ogni tanto qualcuno si offre di tradurre. Da questa parte c’è la fretta di avere i documenti validi per la residenza, dall’altro ci sono i tempi della burocrazia.
È un super lavoro piombato sui dipendenti degli uffici comunali che tra organici insufficienti e lungaggini burocratiche fanno fatica a gestire faldoni su faldoni di alberi genealogici, documenti, carteggi con i consolati e con le Prefetture. Poi c’è la questione non meno impegnativa delle liste elettorali, perché i nuovi residenti hanno diritto di voto ma quando si aprono le urne spesso sono già ripartiti.
«Parliamoci chiaro: è una situazione giocata tutta sulla pelle dei Comuni» sbotta un funzionario dell’ufficio. «Siamo pochi, non eravamo attrezzati per affrontare una tale mole di lavoro, ma facciamo il possibile per dare risposte a tutti anche per evitare che spendano soldi cercando intermediari per avere ciò che invece possono avere gratuitamente: i nostri sportelli offrono ogni tipo di informazione».
C’è anche un aspetto sentimentale, che va oltre l’apparente rigidità dei colletti bianchi. «Noi parliamo con questi ragazzi, ascoltiamo spesso storie molto toccanti». Per mandare i loro figli in Italia i genitori devono impiegare i risparmi di dieci anni di lavoro. «Argentini, peruviani, brasiliani: sono oggi – dice ancora il dipendente comunale – quello che siamo stati noi e chi ha dei nonni che sono partiti dalla Calabria per cercare fortuna altrove sa bene cosa questo significhi. Il loro bisogno incontra il nostro». (redazione@corrierecal.it)
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