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la riflessione

«Stupri e femminicidi, è ora di intervenire»

Ma cosa succede a tutti noi? E, in particolare, cosa succede agli italiani? Perché è così difficile estirpare la irruente piena di stupri e femminicidi di tutti i tipi che sta inondando l’Italia?Q…

Pubblicato il: 31/08/2023 – 9:17
di Giovanni Mazzei*
«Stupri e femminicidi, è ora di intervenire»

Ma cosa succede a tutti noi? E, in particolare, cosa succede agli italiani? Perché è così difficile estirpare la irruente piena di stupri e femminicidi di tutti i tipi che sta inondando l’Italia?
Queste sono le domande a cui dobbiamo rispondere nell’attualità e a cui non ci rimane che aggrapparci, dopotutto, per cercare di individuare rimedi a tutto ciò, sempre che ce ne siano. Sul piano anche solo statistico, del resto, attualmente la piaga sociale di specie  vede una  ‘escalation’ senza confini, con ben otto casi nell’ultimo mese, fra stupri e femminicidi, addirittura fra i più eclatanti degli anni recenti, in termini di modalità di azione e, persino, di età dei protagonisti  negativi  degli efferati fatti e delle stesse vittime.
Dallo stupro di Palermo a quello di Caivano, dal femminicidio di Impagnatiello, all’uccisione di Vera Schiopu a Caltagirone o di Anna Scala a Piano di Sorrento, ad esempio, sono tutti fatti veramente clamorosi, quanto a crudeltà ed efferatezza.
Basti pensare al ‘coronamento’ comunicativo, poi, che i protagonisti negativi hanno saputo intessere a margine delle vicende da loro stessi messe in atto, piuttosto che dalle parole allucinanti proferite dalle mamme dei minorenni di Caivano, queste  ultime  poste quasi a simbolo di premiale virilità dei loro figli, senza rendersi conto della tribalità della situazione.
I social network  si sono, per il resto, sbizzarriti nella descrizione dei  fatti in oggetto con particolari virali o, perlomeno, viraleggianti ‘a mille’, quanto a particolari e dettagli addirittura raccapriccianti, contornate da variegate didascalie e commenti consoni ed indubbiamente pertinenti nei casi in parola, ma che rischiano di diventare sterili e persino impotenti di fronte a tutto ciò. E allora, in che modo intervenire nella così imperante necessità di una svolta, o quantomeno  un serio ripensamento delle priorità sociali?
Si perché, a quanto pare, sembrano proprio le priorità che risultano errate nell’interpretazione della vita e della stessa sintassi del nuovo verbo moderno (o modernista?), tutto volto ad una classificazione dei criteri di ‘positività’ sociale che, forse, andrebbero un tantino ridiscusse nelle stanze che contano.
I ministeri statali è da molto tempo che cercano rimedi, soprattutto nelle istituzioni extrafamiliari, atte alla riparazione, non si sa quanto efficace, dei danni recati dalla fenomenologia sociale in parola, ma forse senza andare alle cause, quelle vere e profonde, del disagio dei giovani in particolare, ma delle nuove generazioni in generale.
Fanno bene, a mio avviso, le istituzioni a vedere nella scuola e realtà formative in generale  uno dei punti fondamentali di snodo culturale e sociale in tema di risoluzioni dell’ allucinante fenomeno.
Si parla, più o meno variamente di programmi per la  ‘sensibilizzazione sull’ abuso’ , piuttosto che per la ‘cultura del rispetto e della paritarietà’ nell’ambito della scuola da parte di recenti esternazioni pubbliche come quelle del Ministro Valditara o del Prefetto di Napoli, e tutto questo non può che far piacere, anche se appare come una ‘pezza’  messa disperatamente su una ferita ormai putrescente.
Resta infatti l’amaro in bocca per l’enorme perdita di tempo che le istituzioni nel suo insieme hanno accumulato negli anni e, nondimeno, a causa dell’inefficienza reale che il sistema scolastico in particolare ha sempre dimostrato nel tempo, anche nei pur  timidi e limitati rimedi che si sono di volta in volta intravisti e, purtroppo, parimenti inapplicati – hainoi – con puntualità disarmante.
E’ ora di capire, ad esempio, che gli Istituti scolastici preposti all’esecuzione dei dettami ministeriali non possono limitarsi all’ovvio, o peggio, all’esibizione ‘narcisistica’ che la legge sulle autonomie gli concede, ma che debbono concretamente realizzare quella sorta di nucleo sociale dirimente  cui il senso etico e persino ontologico del diritto, più che la legge stessa, gli affida. Non che si debba comunque rimanere al solo sistema-scuola oppure alla mera applicazione delle recenti idee, ancora molto limitate, di sensibilizzazione sociale sul vasto tema dell’abuso. Perché, infatti, sempre i Ministeri e, comunque sicuramente quelli preposti alla cultura e alla socialità, ancor prima che quello prettamente scolastico, devono inserire meccanismi di ricerca per pervenire a quella idea-genetica, quanto alle profonde cause fenomenologiche, che porti alla vera risoluzione dell’annoso problema. E quindi, non già rispetto ai soli effetti sintomatici che ricadono sulla società, ma sulle cause originarie e profonde del fenomeno nella sua vastità bisogna intervenire; anche in sintonia con le nuove microfenomenologìe sociali, come ad esempio, i vari social-business a sfondo sessuale esplicito o implicito, come ad esempio quello della prostituzione online o al merchandising di video amatoriali, o ancora il sempre più  gettonato ‘sexting’ a pagamento. Ci si deve, in sostanza, rendere conto che, al di là degli effetti sociali ed economici ‘latu sensu’ dei business sessuali, l’incidenza negativa è enorme a carico dei singoli individui e della loro corretta crescita personale, laddove la vita virtuale nel sesso ormai si vive di più a danno di quella concreta e reale, con l’aggravio che, al centro, vi è sempre e solamente la donna come oggetto di mercificazioni, talvolta nefande. Allora addio alle nuove leggi sul femminicidio (o violenza di genere che dir si voglia) se tutto sarà sempre vanificato dalle mode del momento piuttosto che dai falsi miti di una società allo sbaraglio!
Andiamo, perciò, alla radice del male  e non soffermiamoci alla mera superficialità delle cose, domandandoci innanzitutto come mai così tanti giovani non comprendano che stuprare non vuol dire nemmeno fare sesso e procacciarsi piacere, quanto piuttosto prevaricare, attuare una prepotenza e, in fin dei conti, una vera e propria  autocondanna del proprio stato di essere umano e della stessa propria dignità di persona.
Così come  ci si deve domandare se non si comprenda che uccidere una fidanzata che non vuole più stare con una persona non è amore, non è frutto, per quanto malato, di sentimento, desiderio e passione, ma solo arroganza, arbitrarietà e disumanità immonda e nulla più. C’è qualcosa che non va in tutto questo.
Non siamo stati capaci di guidare la nuova generazione verso lidi di positività, questa è l’amara realtà e, purtuttavia, è venuta l’ora di ribellarsi a questo ingorgo, violento ed incessante come un incubo senza fine. Insegniamo ai ragazzi, innanzitutto, quale sia la differenza fra essere umano e ‘bestia’ insensibile, partendo però dalle basi sostanziali, quelle del mondo delle emozioni, vere ed autentiche della vita e dell’interiorità umana, a cui intere generazioni non sono state adeguatamente educate. Il controllo delle emozioni non è materia di studio, men che meno nella scuola dell’obbligo, ma forse è il caso di iniziare, cioè, a comprendere cosa sono le emozioni e i sentimenti e perché sono importanti; perché e in che modo regolano nel profondo la vita dell’individuo, e come incidono sui comportamenti delle singole persone e, di conseguenza, della collettività sociale.
Tale educazione emozionale dovremmo fare in modo che spettasse a tutti noi, alle famiglie, alla scuola, a tutti gli aggregati sociali; e non solo per la nuova generazione, ma rappresentandoci un compito assoluto ed indipendente dal tempo e dallo spazio, così da fungere da volano per le generazioni future.
E’ chiaro come un tale orientamento della società, non di meno, farebbe conseguire un abbattimento dei costi sociali delle povertà, che per la maggior parte dei casi vivono e si nutrono  di atavica ignoranza ed indifferenza sociale, soprattutto sul tema della psicologia e dell’ educazione emozionale, oltre che civica e giuridica.
In caso contrario, ove cioè non si recepisca l’impellente necessità di una svolta etica  – che non deve essere moralistica, beninteso – tutto sarà sempre inutile.
Saranno, come detto, infruttuose persino le Leggi sulla violenza ‘di genere’ e tutti gli sforzi che il legislatore ha sempre dimostrato di poter fare in nome della crescita sociale (come dimostrato dalle ultime novelle del codice penale sul ‘codice rosso’ e norme collegate) anche nel campo della prepotenza e manipolazione  fisica e mentale ‘tout court’, se non si andrà alla radice autentica del problema della consapevolezza dell’individuo verso se’ stesso e verso gli altri.
Così come del tutto infruttuosamente gli avvocati, i giudici e gli operatori del diritto si proporranno di restituire, attraverso le medesime o nuove leggi, alla società degli uomini che possano garantire la cura adeguata dei propri figli, se si avrà sempre un approccio del tutto superficiale  e limitato ai problemi attualmente oggetto di vivida discussione, ma che domani verranno come sempre seppelliti nel dimenticatoio sociale.
Non è persino giusto che gli stessi operatori giuridici possano illudere la società che, in virtu’ delle recenti, pur pregnanti leggi, possa avvenire una significativa risoluzione, o addirittura prevenzione dei casi delittuosi di cui si tratta, se dovesse ancora mancare un approccio autentico alla problematica.
Non lasciamo, in particolare, che questi ultimi fatti che l’attualità crudelmente ci offre, vengano posti nel macero della pura dissertazione temporanea o di comodo, secondo gli sterili criteri che la vita di oggi continua a dettarci a nostro stesso danno, ma facciamo in modo che tutto questo apra la strada a nuove, decisive consapevolezze per avviare  e, possibilmente, assicurare nel tempo una svolta.
Una svolta  che riveli l’intenzione finale della società di concepire la vita della persona umana come un dono, in cui al centro viene posto il senso del bello, cosmico più che terreno, interiore più che meramente superficiale, per un senso di costruttività che ci è dovuto, non da Dio, ma da noi stessi, per noi stessi.

*Giurista Avvocato  

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