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verso il processo

Un anno dall’inchiesta “Reset”. Il colpo alla mala cosentina e il terremoto giudiziario a Rende

La fine dell’era Manna al comune rendese, sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta. La dura relazione del ministro Piantedosi e i nuovi pentiti

Pubblicato il: 01/09/2023 – 7:46
di Fabio Benincasa
Un anno dall’inchiesta “Reset”. Il colpo alla mala cosentina e il terremoto giudiziario a Rende

COSENZA È trascorso un anno da quando (il primo settembre 2022) la Dda di Catanzaro ordinò il “Reset” della ‘ndrangheta confederata di Cosenza. Quel blitz concluso dai Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza, dal personale della Squadre Mobili delle Questure di Cosenza e Catanzaro, dal Servizio centrale Operativo di Roma, dai Finanzieri del Comando Provinciale di Cosenza, del Nucleo di Polizia Valutaria di Reggio Calabria, con il Gico del Comando Provinciale di Catanzaro e lo Scico di Roma, coinvolse 202 indagati. Tutti, a vario titolo, accusati di associazione di tipo ‘ndranghetistico, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravato dalle modalità e finalità mafiose, associazione a delinquere finalizzata a commettere delitti inerenti all’organizzazione illecita dell’attività di giochi – anche d’azzardo – e di scommesse, delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di beni e valori, nonché in ordine ad altri numerosi delitti, anche aggravati dalle modalità e finalità mafiose. Una inchiesta che assestato un durissimo colpo ai clan cosentini consentendo di disvelare attività e business illeciti dei diversi gruppi autonomi ma organicamente confederati e «riconducibili al vertice rappresentato da Francesco Patitucci». Per anni reggente del clan degli “Italiani”, secondo l’accusa, rappresenterebbe «l‘autorevole ed indiscusso riferimento per tutti gli associati alla confederazione di ‘ndrangheta operante nella città e nell’hinterland cosentino, avendo assunto nel tempo le doti di ‘ndrangheta più elevate e corrispondenti a quella di “capo società”». Una figura cardine e capace di fare da collante tra i vari gruppi, da mediatore nelle questioni più spinose e pronto a delegare quando necessario al suo «delfino», Roberto Porcaro.

I nuovi pentiti

Quella di Roberto Porcaro è diventata una figura cardine dell’inchiesta e le sue dichiarazioni, seguite alla volontà di collaborare con la giustizia, saranno fondamentali per l’accusa nel processo che prenderà il via il prossimo 31 ottobre 2023 per gli indagati che hanno optato per il rito ordinario. La decisione dell’ex reggente degli “Italiani” di saltare il fosso era stata prima “annunciata” da ignoti con uno striscione apparso a Rende (qui la notizia) e poi confermato qualche ora dopo quando il Corriere della Calabria aveva dato notizia dell’avvio della collaborazione con i magistrati della Dda di Catanzaro. Una decisione che ha sparigliato le carte e aperto nuovi scenari investigativi: i primi verbali di Porcaro hanno già portato ad alcuni approfondimenti di indagine. Prima di Porcaro, altri due indagati nell’inchiesta “Reset” avevano deciso di saltare il fosso: il primo è stato Danilo Turboli, «luogotenente di Porcaro», seguito da Ivan Barone, vicinissimo e uomo di fiducia degli “Zingari”. Turboli però dopo le prime confessioni ha annunciato, in aula, il clamoroso dietrofront (qui la notizia).

Il “Reset” della politica

Non solo l’azione dei malandrini, nella maxi inchiesta della Dda di Catanzaro sono finiti pezzi importanti della politica rendese e cosentina. In primis, l’ex sindaco di Rende ed ex presidente di Anci Calabria, Marcello Manna. E poi l’assessore alla manutenzione e decoro urbano di Cosenza, Francesco De Cicco e l’ex assessore ai lavori pubblici di Rende, Pino Munno. Il terremoto giudiziario ha spinto la prefetta di Cosenza, Vittoria Ciaramella ad inviare una commissione d’accesso al Comune di Rende. Un lavoro certosino di verifica di atti e documenti che ha convinto i tre commissari a richiedere lo scioglimento del consiglio comunale di Rende, ritenuto macchiato da relazioni pericolose sull’asse ‘ndrangheta-politica. Da quanto emerso nella successiva relazione, firmata dal ministro Matteo Piantedosi, «parte del consenso del sindaco Marcello Manna sarebbe legato a scambi di favori con personaggi legati alle cosche rendesi» (leggi qui). Oggi a guidare l’Ente è la triade composta dai commissari Santi Giuffré, Rosa Correale e Michele Albertini.

Le nuove accuse ai boss

Con la chiusura dell’inchiesta è emersa una nuova contestazione ai boss ergastolani Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni, accusati di favoreggiamento nei confronti del capo delle cosche “confederate” Francesco Patitucci. Ruà e Bruni avrebbero reso, secondo l’accusa, in Assise, lo scorso anno, false dichiarazioni sul duplice omicidio di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti, avvenuto nel febbraio del 1985 a Rende. Ruà e Bruni, «nel corso del processo», avrebbero resto «dichiarazioni escludenti la responsabilità» di Patitucci, aiutandolo a «eludere le investigazioni circa il suo coinvolgimento nella vicenda omicidiaria». In particolare, Ruà in una udienza del marzo 2021, «in sede di confronto» con l’altro imputato Franco Pino, ex capomafia di Cosenza, avrebbe reso «dichiarazioni mendaci». Pur autoaccusandosi, «per la prima volta dopo la sua condanna in primo grado», di aver partecipato al duplice omicidio, avrebbe alterato «la ricostruzione dei fatti e l’individuazione dei soggetti coinvolti» per «accapponare «dalla medesima accusa Francesco Patitucci». Altra novità rispetto al quadro iniziale dell’inchiesta è la contestazione a Roberto Porcaro. La vicenda riguarda la partecipazione all’omicidio di Giuseppe Ruffolo, nel settembre del 2011, in pieno centro, a Cosenza. Sarebbero state le dichiarazioni di Danilo Turboli a indirizzare le indagini verso il contesto mafioso.

Verso la prima udienza

I 245 indagati hanno preso parte all’udienza preliminare celebrata nell’aula bunker di Lamezia Terme. Il gup Fabiana Giacchetti ha deciso di rinviare a giudizio gli indagati che hanno optato per il rito ordinario. (Qui i nomi) (redazione@corrierecal.it)

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