REGGIO CALABRIA «Lo Stato mi ha tutelata e mi ha resa la donna che sono. Ma il passaggio dalla protezione alla vita reale è difficile, nessuno ti prepara. Sono riuscita a formarmi una famiglia, ho una bimba e lavoro. Malgrado sia passato tanto tempo ho voluto mostrare al mio compagno dove sono cresciuta e sono tornata in Calabria l’anno scorso, ma ho respirato la stessa aria. Sento di essere non accettata. C’è tanto da fare a livello culturale». La frase di Anna Maria Scarfò è riportata da l’Espresso in edicola oggi e racconta (anche) di contesti nei quali si fa fatica a cambiare. Anna Maria Scarfò viveva a San Martino, frazione di Taurianova. Si fidò di un ragazzo e quella fiducia aprì anni di violenze. «Mi hanno stuprata dodici uomini, per tre anni, quando ne avevo 13: mi hanno distrutto la vita – racconta nella rubrica di Francesca Barra –. Ho denunciato e sono stati tutti condannati, ma sono stata io a dover lasciare il mio paese per sempre». In paese trovò porte chiuse e la solita insopportabile accusa di essersi cercata quell’orrore perché andava in giro con i pantaloncini corti. Anna Maria poi affidò alla giustizia, affrontò i processi e fece condannare i suoi violentatori. «Incontrai il padre di uno di loro dopo la denuncia. Mi consegnò una lettera, mi chiedeva perdono. Ho risposto che io non devo perdonare, io non odio. Devono chiedere perdono a Dio».
Resta tanta amarezza: «Non ho realizzato i sogni che avevo, me li hanno tolti. Il diritto alla felicità che spetta a un’adolescente non tornerà più, anzi: non l’ho conosciuto. Sono passata dallo stupro all’amore e ancora oggi per chi mi sta accanto non è facile. So che la mia famiglia ha cambiato vita per me, pur non avendomelo mai fatto pesare. Oggi ho un obiettivo, però, e non me lo ruberà nessuno: vedere crescere mia figlia felice e avere un’associazione tutta mia per aiutare altre donne».
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