CROTONE Per mettersi in contatto con il gruppo di “trader” e partecipare a un’operazione che avrebbe fruttato 120 milioni di euro, la cosca dei Papaniciari avrebbe effettuato un investimento iniziale di 130mila euro. La quota, necessaria per entrare nel mondo della finanza occulta, avrebbe messo il faccendiere del clan Salvatore Aracri in contatto con una rete di broker capaci di «creare, alterare e utilizzare a proprio piacimento, codici “TRN” da associare ad altrettante operazioni bancarie illegali». Questi tecnici sarebbero a disposizione del miglior offerente. Il metodo utilizzato, senza successo, dal clan Megna sarebbe stato «sfruttato da molteplici organizzazioni criminali, in una sorta di “mercato nero dei codici bancari falsi”». Se il know-how del gruppo di facilitatori è indispensabili, anche la cosca – lo abbiamo visto negli approfondimenti dedicati all’inchiesta “Glicine Acheronte” – ha i propri hacker e contatti con funzionari e dirigenti di banche internazionali. Proprio l’hacker Marc Ulrich Goke, sintetizzano i pm Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, viene «individuato come il fulcro internazionale di queste operazioni miliardarie, capace di coordinare l’operato clandestino di banchieri tedeschi della Deutsche Bank e di imprenditori miliardari: proprio Goke che per lungo tempo era stato in Italia, alle dipendenze della cosca Megna e che, anche dopo la sua partenza verso la Germania, stava continuando a essere sostenuto economicamente dal clan “papaniciaro”». Fili che si intrecciano nella trama del crimine globale. E portano in Germania.
A Dusseldorf si svolge una delle riunioni chiave tra le parti che cercano di realizzare la maxi operazione di riciclaggio tra Estremo Oriente ed Europa. Accade nell’ottobre 2019, dopo che la prima tranche della transazione – valore 49 milioni di euro – è andata in porto ed è poi stata cancellata per paura che la controparte europea truffasse quella asiatica. Gli investigatori monitorano l’incontro. E prendono nota della partecipazione di una società tedesca e del «coinvolgimento nell’operazione di importanti personalità del mondo arabo, come il principe del Bahrein». Gli interlocutori sono preoccupati per la presenza dei tedeschi: la controparte araba potrebbe chiedere un controllo sulla società europea e decidere che non è un “socio” del tutto presentabile. Perché questi dubbi? Il primo è legato all’amministratore della compagine tedesca, «gravato in Germania da pregiudizi per rapina, frode, infrazione contro le normative tributarie, falsificazione di documenti, bancarotta e false dichiarazione in luogo di giuramento». Il secondo problema porta gli investigatori negli Stati Uniti: la ditta tedesca è, infatti, referente di una banca d’affari con sede a Las Vegas guidata da un finanziere di origine sarda legato da una storia – lontana nel tempo – di riciclaggio con la ‘ndrangheta sullo sfondo.
Il finanziere ha sul groppone una vecchia condanna a tre anni per riciclaggio: avrebbe aiutato il clan Morabito a ripulire i proventi del narcotraffico. Incidente di percorso che non ha impedito alla sua merchant bank di espandersi e ottenere contratti addirittura con la Banca mondiale attraverso progetti umanitari. Nota a margine: uno dei meccanismi di riciclaggio illustrati nell’inchiesta della Dda di Catanzaro si basa proprio sull’utilizzo di una Fondazione o di un ente benefico per mettere su carta progetti sanitari nel Terzo mondo e ottenere garanzie bancarie utili a ripulire enormi quantità di denaro sporco. Si lanciano grandi piani, soprattutto umanitari, che vengono utilizzati come strumento di accreditamento con istituti finanziari. Lo stratagemma funziona – anche se poi i progetti tramontano – per aprire conti puliti sui quali far transitare soldi. È una delle procedure delle quali anche le cosche del Crotonese avrebbero provato a servirsi nel corso degli anni, come raccontano i pentiti. Tra gli ingredienti necessari a chiudere il cerchio c’è, spesso, una Fondazione da affiancare alla merchant bank. Elemento che spunta anche in questo caso. Secondo quanto risulta al Corriere della Calabria la banca d’affari statunitense ha un legame diretto con un ente benefico basato in Sri Lanka. Le due strutture, infatti, condividono buona parte dei team. È per i nomi delle persone coinvolte e i metodi utilizzati che i “broker” erano preoccupati durante il loro briefing a Dusseldorf?
In questo giallo finanziario internazionale, gli investigatori riescono a trovare una “velina” bancaria che mette nero su bianco quali siano le connessioni cercate dal gruppo dei “Papaniciari” per rimettere in circolo il denaro dopo il primo intoppo della transazione. Data l’abilità dei broker nel falsificare i documenti, anche l’autenticità di questo contratto va presa con le pinze. È un documento, emesso dalla “Deutsche Bank” il 9 ottobre 2019, che prevede una transazione da quasi 21 milioni di euro. A spedire il denaro sarebbe la società tedesca di cui i trader si preoccupano, a riceverlo una banca di Dubai su un conto che – così ricostruiscono gli inquirenti – potrebbe essere riconducibile alla famiglia reale del Bahrein. È la destinazione che preoccupa i broker in contatto con il clan Megna. Il rischio è che salti tutto proprio perché sul versante tedesco si è scelta una società dal passato non proprio cristallino. La scelta spericolata potrebbe far saltare per la seconda volta l’operazione. È dura trovare professionisti “immacolati” che si prestino a certe transazioni. Lo spiegano i magistrati della Dda: quei tecnici offrono servizi a «molteplici organizzazioni criminali» e i loro curriculum ne portano i segni. (p.petrasso@corrierecal.it)
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