CATANZARO La morte di Maria Chindamo, l’imprenditrice rapita e fatta sparire il 6 maggio 2016 dinanzi alla sua tenuta agricola di Limbadi (Vibo Valentia) «ci ha impressionato, perché questa donna dopo il suicidio di suo marito, avvenuto un anno prima rispetto alla scomparsa della donna avvenuta a maggio 2016, ha pensato di diventare imprenditrice, di curare gli interessi della terra, di curare i figli e affrancarsi da quel modus operandi e quella mentalità mafiosa, si era anche iscritta all’università, ma non le è stata perdonata questa sua libertà, questa sua voglia di essere indipendente, di essere donna». Lo ha detto il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, nella conferenza stampa sull’esito dell’operazione “Maestrale-Carthago” contro le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese. Gratteri ha poi aggiunto: «Due-tre giorni dopoche aveva postato sui social il nuovo compagno, questo nuovo amore, è scomparsa. Ci sono due aspetti su questa morte: non le è stata perdonata questa libertà, la gestione di questi terreni che ha avuto in eredità, questo nuovo amore, e gli interessi, gli appetiti di una famiglia di ‘ndrangheta su quel territorio, su quei terreni. Tutto questo messo insieme ha portato a essere uccisa in modo straziante: è stata data in pasto ai maiali, e i resti dei maiali sono stati poi macinati con un trattore cingolato. Questo vi dà il senso, la misura della rabbia che chi ha ordinato l’omicidio aveva nei confronti di questa donna, il risentimento nei confronti di questa donna che non si poteva permettere il lusso di fare quello che ha fatto, cioè di rifarsi una vita, gestire in modo imprenditoriale quel terreno, poter curare e far crescere i figli in modo libero uscendo dalla mentalità mafiosa. Il fratello e la famiglia Chindamo sono stati sempre dalla parte della legalità, senza sé e senza ma, non ha mai tentennato sulla voglia di capire e di avere giustizia e nei abbiamo apprezzato questo nel corso degli anni. Noi qui abbiamo avuto gli specialisti del Ros, che nel corso di questi anni ha martellato e sviscerato tutto lo scibile umano, tutto quello che era possibile dal punto di vista tecnologico. Non dimentichiamo – ha spiegato il procuratore capo della Dda di Catanzaro – che in questa indagine, oltre alle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali abbiamo 18 collaboratori di giustizia che anche sull’omicidio Chindamo hanno avuto dichiarazioni univoche e concordanti e ci hanno detto delle cose inedite che non potevano non conoscere ma che già il Ros aveva già incamerato come indizi o come elementi di prova». Gratteri ha poi ricordato che le cosche del Vibonese «a dimostrazione della forza e del controllo del territorio, erano capaci di imporre il prezzo minimo del pane, meno di 2,5 euro non si poteva scendere, e questo dà la misura del controllo del respiro, del battito cardiaco del territorio, dà la misura di come le imprese mafiose controllavano gli appalti dell’Asp di Vibo per quanto riguarda le mense, controllavano la tangente su tutte le attività di ristorazione e gli alberghi della Costa degli dei, per non parlare delle armi ritrovate. La droga e le altre attività estorsive». (redazione@corrierecal.it)
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