GIOIA TAURO Per qualcuno è stato un “colpo di mano” per strappare il controllo delle risorse, per altri una soluzione per accelerare investimenti e rilancio economico del Mezzogiorno. Di certo c’è che la misura – contenuta nel decreto “Sud” licenziato dal Governo Meloni giovedì 7 – rivoluzionerà la governance di uno degli strumenti ritenuto fondamentale per lo sviluppo dei territori: le Zone economiche speciali.
Si tratta di zone geograficamente delimitate che presentino un nesso economico funzionale e comprendano almeno un’area portuale con determinate caratteristiche stabilite dall’Unione europea.
All’interno di queste aree sono previste per chi vi opera – ad iniziare dalle imprese – una serie di agevolazioni fiscali aggiuntive oltre ad alcune procedure amministrative rafforzate e semplificate. Nate a seguito del decreto legge n.91 del 2017 (convertito poi in legge ad agosto di quell’anno), le Zes sono state istituite per attrarre grandi investimenti in queste aree così come per favorire la crescita delle imprese già operative o la nascita di nuove realtà industriali nelle aree portuali e retroportuali. Ma anche per potenziare le piattaforme logistiche, collegate da intermodalità ferroviaria.
Otto le Zone economiche speciali presenti in Italia, tutte collocate nelle aree in via di sviluppo del Paese. Quella calabrese è stata tra le prime due Zes, assieme a quella campana ad aver approvato il piano attuativo. Ma nonostante quell’accelerazione, lo strumento ancora non ha dispiegato tutti gli enormi benefici sul territorio.
Finora le otto Zes erano rette da altrettanti commissari – gli ultimi nominati dal precedente Governo Draghi – ora dopo la “svolta” impressa dal nuovo esecutivo quelle governance spariranno per far posto ad un unico centro decisionale che sorgerà a Roma all’interno della Presidenza del Consiglio dei ministri. Dunque sotto il controllo “diretto” del premier.
Ma il provvedimento licenziato dall’esecutivo Meloni prevede anche una massa enorme di risorse da destinare alla nascente Zes unica del Mezzogiorno. Si tratta di 4,5 miliardi di euro spalmati in tre anni, pari cioè ad 1,5 miliardi l’anno. Somme che dovrebbero arrivare, secondo le intenzioni del Governo, in parte dalle risorse del Fesr (pari a 500mila euro l’anno) e la restante dalla rimodulazione dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il Governo inoltre ha messo sul piatto, l’assunzione di 2.200 esperti di fondi europei da distribuire sulle 8 realtà geografiche coinvolte (2.129 assunzioni saranno sulle 8 regioni coinvolte e 71 per il Dipartimento politiche di coesione)
E restano confermate le agevolazioni fiscali previste per le imprese che opereranno o lavorano già nelle Zes così come anche le misure di facilitazione e snellimento delle procedure amministrative. Su questo fronte il decreto ha introdotto uno sportello digitale unico per tutte e otto le regioni, chiamato Sud Zes, gestito dal Dipartimento della Coesione di Palazzo Chigi. Uno strumento che nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe velocizzare ancora di più gli investimenti.
La rivoluzione che manderà in soffitta gli otto “vecchi” apparati decisionali avverrà dal prossimo anno. Dal primo gennaio la Zes unica prenderà vita comportando novità profonde anche per la Calabria che nel porto di Gioia Tauro possiede il suo maggior punto di forza.
Lo scalo della Piana macina record a ritmi sempre più serrati. A partire dalla movimentazione merci che ne fa uno degli approdi più importanti del Mediterraneo. Nel 2022 la movimentazione di container è cresciuta di oltre il 7 per cento sfiorando i 3,4 milioni di Teus, l’unità di misura del trasporto marittimo per i container, ed anche quest’anno i numeri sono del tutto ragguardevoli. «Nei primi sette mesi dell’anno – annotava qualche settimana addietro, la port authority presieduta da Andrea Agostinelli – ha registrato un ulteriore incremento del 2,5% rispetto allo stesso periodo del 2022, riconfermando così il primato nazionale del porto di Gioia Tauro nel settore del transhipment».
Un risultato importante garantito dalle caratteristiche proprie del porto, fondali profondi e centralità sulle tratte mediterranee, che lo hanno collocato tra i primi 4 scali per movimentazioni di merci nel Mediterraneo.
Numeri di un successo che però non riescono ancora a tramutarsi in un volano per la Zona economica speciale calabrese. Restando ancora una volta una grandissima potenzialità per il territorio. Ora “la svolta” per la Zes Calabria si attende da Roma per una struttura affidata da poco più di un anno al commissario Giosy Romano subentrato al dimissionario Federico D’Andrea.
Un ennesimo “stop and go” che rallenterà l’operatività delle Zone economiche speciali. Una forma di “appiattimento” che azzererà i vantaggi competitivi delle singole realtà. Un meccanismo che potrebbe penalizzare un territorio come quello calabrese poco “attrezzato” a reggere la sfida. Non risparmia critiche alla normativa sulla Zes unica del Sud introdotta dall’esecutivo Meloni Rosanna Nisticò, classe 1964 e docente di Economia applicata, al Dipartimento di economia, statistica e finanza “G. Anania” dell’Università della Calabria. Una voce, la sua altamente qualificata, visto che nel 2020 era stata chiamata dall’allora premier Giuseppe Conte alla guida del Comitato di indirizzo della Zona economica speciale della Calabria.
Professoressa dal prossimo anno entrerà in vigore la Zes unica, quali ricadute si avranno per la Calabria?
«Si tratta di un nuovo radicale cambiamento nel disegno di una politica industriale che nelle intenzioni del policy maker vorrebbe accelerare la realizzazione di investimenti industriali e l’attrazione di nuove imprese nel Mezzogiorno, ma di fatto interrompe la sua operatività perché subentrano riforme normative. È successo con vari governi da quando tale politica è stata introdotta in Italia, nel 2017: ciascun esecutivo ha rilanciato questo intervento come un provvedimento rilevante per il sistema produttivo del Mezzogiorno, introducendo cambiamenti nella governance, con l’esito di un ricorrente “stop and go” che ne è divenuto ormai il tratto caratterizzante. La ricaduta immediata per la Calabria, come per le altre regioni del Mezzogiorno sarà un nuovo rallentamento dell’operatività dello strumento nel suo insieme, le disattese delle aspettative delle società locali, confuse da un disegno della policy che appare ancora meno chiaro di prima e privo di una visione d’insieme delle direttrici di sviluppo del Mezzogiorno e dei singoli territori».
Secondo le intenzioni del Governo, l’istituzione di una sede unica dovrebbe velocizzare l’iter degli investimenti. Ritiene che il provvedimento porterà reali benefici per quanti decideranno di investire nella nostra regione?
«Credo che per la Calabria non vi saranno particolari benefici. Elevando tutto il Mezzogiorno ad area Zes, la natura di questa politica subisce un mutamento genetico: non più misura incentrata sulla discontinuità spaziale dei benefici localizzativi all’interno delle regioni meridionali, finalizzata a creare solo in alcune aree condizioni insediative particolarmente attrattive in termini di agevolazioni fiscali e finanziarie, infrastrutture, iter e tempi autorizzativi, economie di agglomerazione. Il Mezzogiorno diventa uniformemente la Zes d’Italia. Di conseguenza, dato che in tutto il territorio meridionale i vantaggi localizzativi creati attraverso le Zes sono identici, saranno altri fattori a determinare le relative spinte attrattive degli investimenti. Presumibilmente, dato che il Mezzogiorno non è un tutt’uno indifferenziato, il vantaggio attrattivo sarà maggiore, a parità di altre condizioni, nelle aree meridionali già più sviluppate: dove le economie di agglomerazione consentono competitività di costi, dove il capitale umano specializzato e altamente formato è più facilmente reperibile, dove la qualità istituzionale è più elevata e le diseconomie ambientali sono minori. La Calabria non è purtroppo tra queste. Molte aree industriali calabresi soffrono di degrado urbanistico, infrastrutturale e sociale e sono ben lontane dal poter attrarre autonomamente imprenditori e lavoratori, per non parlare della modestia dei tessuti imprenditoriali locali. La riformulazione della governance riduce le Zes a intervento indifferenziato, con la conseguenza di renderla neutrale rispetto all’obiettivo della riduzione dei divari territoriali all’interno del Mezzogiorno, al contrario è molto alto il rischio che la Zes-Sud aggiunga ulteriori squilibri spaziali».
Con questa nuova realtà, perché secondo lei una azienda dovrebbe scegliere la Calabria rispetto alle altre aree Zes?
«La costituzione della Zes unica non creerà particolari vantaggi competitivi per la Calabria. I fattori di attrazione, in relazione alle altre aree del Mezzogiorno, dovranno andare oltre, essere aggiuntivi a quelli vigenti in quanto parte della Zes unica. Questo richiede un impegno maggiore, uno sforzo ancora più incisivo da parte delle forze di governo e degli attori dello sviluppo regionale per catturare nuove domande di localizzazione o intercettare le tendenze al re-shoring di fornitura e di produzione. Le azioni per lo sviluppo e per la crescita del tessuto imprenditoriale locale non sono però l’esito di volontà estemporanee: necessitano di una visione di sviluppo e di politiche mirate. Verso quale modello di sviluppo produttivo si vuole tendere? Quali imprese si vogliono attrarre? In quali settori si vuole investire? Come intensificare i legami produttivi a monte e a valle? Come connettere atenei, centri di ricerca, istituti di formazione al sistema delle imprese? Esistono agenzie in grado di fare scouting per nuovi investimenti esterni e per accompagnare le imprese nelle fasi che precedono e seguono la localizzazione? Sono solo alcune delle domande preliminari alle azioni per l’espansione del potenziale produttivo regionale».
La norma prevede una dotazione di 4,5 miliardi, ma restano vincolati alla rimodulazione del Pnrr. Ritiene che sono risorse sufficienti per far decollare anche la Zes calabrese?
«Le esperienze pluridecennali delle Zes in altri Paesi testimoniano che il successo di questo strumento di intervento non è assicurato dallo stanziamento di fondi pubblici, che sono necessari, ma non sufficienti: un ruolo decisivo giocano le politiche di accompagnamento e di sostegno alle imprese, che devono essere coerenti con il modello di sviluppo che si vuole seguire. Le Zes della Cina sono i casi più studiati al mondo e sono anche tra quelli di maggiore successo. L’insediamento delle nuove imprese in quel Paese è stato accompagnato da politiche che forzavano le unità produttive insediate a instaurare legami a monte con le imprese locali, ovvero ad approvvigionarsi di inputs e materie prime da imprese locali che, in questo modo, potevano contare su una domanda in espansione in grado di guidare la crescita dimensionale delle imprese esistenti e, successivamente, il decentramento produttivo e la divisione sociale del lavoro. Strategie mirate caratterizzano anche la scelta della specializzazione delle singole Zes in alcuni settori produttivi rispetto ad altri, a seconda se il contesto di riferimento sia maggiormente permeabile all’intensificazione di settori high-tech o di quelli tradizionali. A seconda dei punti di forza e di debolezza dei territori si possono guidare il consolidamento di modelli organizzativi deverticalizzati o a rete,il trasferimento tecnologico, la domanda e il potenziamento di offerta formativa alta in collaborazione con centri di ricerca e università. Accanto allo stanziamento di risorse monetarie, sarebbe necessario uno “stanziamento” di risorse progettuali, intellettuali, di esperti in grado di apprendere dalle esperienze passate e da quelle internazionali, di disegnare scenari di sviluppo. Le riforme, da sole, non bastono e quando poi esse sono puntualmente “riformate” alla nascita di ogni nuovo esecutivo, azzerano fiducia e mortificano le aspettative».
Le opposizioni hanno fatto rilevare che questa scelta abbia avuto il solo scopo di accentrare su Roma i poteri e di esautorare i commissari nominati da Draghi. Secondo lei, c’era bisogno di questo provvedimento per accelerare le procedure anche in Calabria?
«La riforma Zes del 2021 era in qualche misura necessaria. Purtroppo, come molte decisioni che hanno accompagnato il PNRR non è stata discussa, non si è attivato un dibattito e una riflessione che consentisse di colmare i deficit normativi senza creare ulteriori distorsioni. Non credo che questo nuovo impianto normativo di una Zes unica sia stato mosso dalla mera volontà di azzerare i commissari nominati dal precedente governo. Credo che vi sia stata una distorsione nella definizione delle strutture dei Commissari che sono passati dall’assenza completa di personale e sedi di supporto a un sovradimensionamento, che poteva arrivare fino a dieci unità di personale per ogni Commissario. Accanto a questo, rimaneva il deficit di un coordinamento centrale, di una visione di insieme delle finalità strategiche delle zone in un’ottica di cooperazione tra territori e complementarità di azioni per l’attrazione degli investimenti. La Cabina di Regia Nazionale, pure normativamente prevista, non ha di fatto svolto questo ruolo, mentre poteri decisionali, autorizzativi e di definizione delle strategie venivano accentrati nelle figure di otto commissari, ciascuno dei quali concentrato su una specifica zona; al contempo, l’Agenzia per la Coesione Territoriale, cui pure era demandato un compito, oltre che di supporto ai Commissari, di coordinamento tra le diverse Zes e di interfaccia tra soggetti per l’amministrazione delle zone e il Governo, veniva smantellata e azzerata. In tutto questo non vi è una specificità della Calabria: il problema per questa regione è piuttosto l’assoluto bisogno di politiche industriali, credibili e non predatorie, perché più debole di altre per quantità, dimensione e diversificazione delle attività produttive, per gli urgenti problemi, percepiti o reali, di criminalità e degrado delle istituzioni locali, di più ridotte possibilità occupazionali, vivibilità e qualità della vita e dei servizi pubblici essenziali, che determinano spopolamento e abbandono dei luoghi». (r.desanto@corrierecal.it)
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