REGGIO CALABRIA «…Io gli ho detto: ma tu con quello ti sei messo in società a noi; io ero agli arresti domiciliari, gli ho detto gli mandavamo lo stocco per scenderlo a Mammola, e non me lo diede; me lo diedero i siciliani: me lo hanno dato lo stocco all’epoca i siciliani; non te lo ricordi? E adesso… : ma sai, ci sono pure io qua ne mezzo…(incomprensibili a causa di rumori di fondo)». Si parla di un “carico” di stocco da scendere a Mammola, paesino della Locride e «patria del pesce stocco», ma in realtà nella conversazione fra tre soggetti – tra cui Rodolfo Scali (Capo Locale) e Damiano Abbate (Capo società) – captata dagli investigatori che hanno eseguito l’indagine “Malea”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, si parla del traffico di stupefacenti, verosimilmente cocaina, che gli esponenti della locale di ‘ndrangheta stavano organizzando da effettuare da Genova alla Locride. «Parlare a Mammola di “stocco” era un modo semplice per non destare sospetti», si legge nelle carte dell’operazione che ha portato all’arresto di dodici persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, tentato omicidio, detenzione illegale di armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e violenza privata.
L’organizzazione del traffico si evince in una conversazione nello specifico, un incontro che è stato anche immortalato dalle telecamere che riprendevano piazza Magenta a Mammola. A fugare ogni dubbio sulla natura del carico, secondo gli investigatori è il prosieguo della conversazione, dalla frase «me lo hanno dato lo stocco» si passa a «se si trova la cosa». «Se si trova la cosa; ma neanche che passino da Genova; li faccio andare direttamente da me; …(incomprensibili a causa di rumori di fondo) …. l’importante che c ‘è il prezzo; che adesso stanno lavorando molto .. albanesi con quella dell’Olanda; capisci? Ehh, va, però; la danno a quarantacinque, quarantotto; ed è molto, peccato; e non la puoi “modicare” (spostare) di niente». Dalla conversazione emergono poi altri dettagli sulla possibilità di organizzare lo spostamento: dai contatti con una “ditta del porto’” a Genova al trasporto che poteva essere organizzato con i “camion”.
Il problema – secondo quanto emerge – era trovare qualcuno che gli inviasse il carico, ecco perché Rodolfo Scali, prima di chiudere l’affare, voleva la certezza che la merce fosse reperita. In ogni caso, Scali dava la disponibilità della sua organizzazione mafiosa ed in caso positivo si doveva andare in Liguria per definire la trattativa. Viene poi fuori il nome di una ditta in provincia di Genova che si occupava di commercio di surgelati e che – scrivono gli investigatori – poteva essere usata come copertura per gestire il traffico dello stupefacente. «(parole incomprensibili).. Come ha detto pure un paesano nostro, che (‘ndavi) ha lo sbarco; comunque, o in una maniera e nell’altra lo sbarco c’è; però noi là abbiamo un po’ la ditta; capisci?».
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