GENOVA Il boss 82enne Francesco Nucera non si è pentito e mentre era sottoposto a sorveglianza speciale ha continuato a frequentare pregiudicati. Per questo dovrà essere sottoposto ad altri nove mesi di misura di prevenzione. Lo ha deciso il tribunale di Sorveglianza. Nucera era stato condannato a sette anni e 10 mesi per associazione a delinquere di tipo mafioso, detenzione di armi, traffico illecito di rifiuti e truffa nell’ambito dell’inchiesta della squadra mobile “I conti di Lavagna”. L’indagine aveva svelato la presenza della ‘ndrangheta nel Tigullio, coinvolgendo anche politici.
L’inchiesta aveva coinvolto anche l’ex sindaco Giuseppe Sanguineti e l’ex deputata Gabriella Mondello (uscita poi dal processo) e portò allo scioglimento dell’amministrazione comunale. Vennero sequestrati il sito di stoccaggio dei rifiuti di Lavagna, gestito dalla famiglia Nucera, e bar e chioschi gestiti da soggetti vicini agli arrestati, per irregolarità’ amministrative. Oltre a dover scontare la pena in carcere, i giudici avevano comminato anche un anno di sorveglianza speciale che scadrà a ottobre. Ma il giudice di Sorveglianza ha disposto di prolungarla per altri nove mesi.
«Le note informative delle forze dell’ordine – si legge nel provvedimento – hanno riferito che lo spessore criminale del condannato è da ricondurre ai suoi legami con la criminalità organizzata di tipo ‘ndraghetista operante nella riviera ligure di levante e con cui sarebbe tuttora collegato». Nucera, secondo il giudice, «esprime tuttora un atteggiamento di netta negazione di responsabilità in ordine ai reati contestatigli, non manifesta alcuna revisione critica, non esprime in alcun modo la propria distanza dall’associazione della ‘ndrangheta».
«L’assenza di un’effettiva resipiscenza di Nucera – concludono il magistrato – trova un ulteriore riscontro nel comportamento irrispettoso delle prescrizioni da lui tenute in due circostanze, il 4 e il 5 maggio 2023” quando è stato visto in compagnia di “una persona pregiudicata dimostrando così, de facto, non solo l’incapacità di gestirsi responsabilmente nei nuovi spazi di autodeterminazione successivi alla sua scarcerazione, ma altresì la necessità della prosecuzione del suo monitoraggio nel contesto della riacquistata libertà». sarebbe concreto, se non certo, il pericolo di reiterazione dei reati. (Ansa)
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