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L’Aquila con le ali tarpate, la “lezione” di Bisoli e la Fenice infelice

Il Catanzaro torna sulla terra, la “crisi di abbondanza” del Cosenza, la Reggina di Bandecchi e le magie d’argento di Daniele Lavia

Pubblicato il: 18/09/2023 – 9:10
di Francesco Veltri
L’Aquila con le ali tarpate, la “lezione” di Bisoli e la Fenice infelice

Il crollo del Catanzaro, i passi indietro del Cosenza, Bandecchi, la Reggina, anzi, no, “La Fenice Amaranto”, che poi diventa “Lfa Reggio Calabria” e si iscrive al campionato di serie D senza avere una squadra, una preparazione, un campo. E poi Daniele Lavia da Rossano, il fuoriclasse della nazionale di volley protagonista assoluto dell’Europeo che ha visto l’Italia conquistare una medaglia d’argento.
Sono stati giorni intensi per lo sport calabrese. Con i soliti palloni gonfiati e sgonfiati in primo piano e sullo sfondo la più elegante e colta pallavolo che da anni ha tanto di Calabria al suo interno, eppure in pochi a queste latitudini ne parlano. Sì, perché, se Lavia fosse un calciatore, a quest’ora sarebbe un divo di prim’ordine. E invece in Italia è solo un talento come tanti di “altri sport”, termine abusato persino nei giornali di settore in cui “gli altri” sono sempre i fratelli minori del calcio che, anche quando non ha granché da raccontare, viene trattato con i guanti. E quindi, stavolta, aprirò questa rubrica con lo schiacciatore di Rossano, scoperto nel 2010 da un altro calabrese, l’allenatore (e docente) Giacomo Bozzo. A quell’epoca Daniele Lavia aveva appena 11 anni e Bozzo un paio di anni fa mi ha rivelato che parlando con i componenti dello staff giovanile della Pallavolo Rossano, disse: «Abbiamo in casa un talento più unico che raro e se non riusciremo a farlo arrivare in nazionale, dovremo strappare tutti il tesserino di allenatore». Aveva ragione e alla fine il “suo” campioncino in nazionale c’è arrivato davvero, fino a conquistarla del tutto. Grazie soprattutto alle sue magie, l’Italia di recente ha vinto un Europeo, un Mondiale e ora può sognare l’oro Olimpico, un traguardo più volte sfiorato e mai raggiunto.

Daniele Lavia

L’Aquila con le ali tarpate

Il Catanzaro è tornato sulla terra. Sarà pure un modo di dire poco originale, una frase retorica, ma non mi viene di meglio per raccontare il crollo casalingo (0-5) dell’ormai ex capolista contro il Parma (neo capolista). Una partita che alla vigilia, veniva definita equilibrata e combattuta da diversi addetti ai lavori di fama. Invece no, dopo appena 40 minuti di gioco, tutto era già compiuto. A dire il vero, nel primo tempo la squadra di Vivarini era apparsa propositiva e spavalda (forse troppo) come sempre: tante belle trame di gioco, occasioni mancate e applausi scroscianti. Il guaio è che in contropiede ha lasciato agli emiliani spazi enormi, preoccupanti per un campionato tosto qual è quello di B. Se si è trattato di incidente di percorso, ancora non è dato sapere. Certo è che se da una parte si costruisce tanto e l’attacco (a parte ieri) appare attrezzato a dovere, il reparto arretrato qualche lacuna di troppo l’ha evidenziata, e non soltanto ieri. I nove gol subiti in cinque gare (seconda peggiore difesa del torneo) ammettono pochi alibi e consigliano, guardando avanti, un atteggiamento meno da spacconi e un po’ più umile. Da salvare, del pomeriggio amarissimo del “Ceravolo”, resta l’entusiasmo mai sopito del pubblico giallorosso che ha continuato a sostenere la propria squadra fino alla fine. Da buttare, oltre al risultato, c’è l’infortunio di Situm, uscito dal campo con le mani nei i capelli. In bocca al lupo.

L’esultanza dei giocatori del Parma a Catanzaro

Le abbondanze e le mancanze del Cosenza contro Bisoli

Dell’attuale Cosenza calcio, volendo essere buoni, si potrebbe dire che è una squadra da lavori in corso per via dei tanti volti nuovi e di gran qualità arrivati in riva al Crati nel mercato estivo. Un mercato grazie al quale il direttore sportivo Gemmi e il presidente Guarascio sono riusciti a migliorare le rispettive reputazioni anche fuori dai confini regionali. Poi, però, può capitare che il passaggio dalle parole ai fatti sia meno gradevole. Contro il Sudtirol dell’ex Bisoli (due anni fa trattato in malo modo dal patron silano dopo una salvezza insperata) i Lupi hanno trovato il pareggio al 99′ con un guizzo di un altro ex entrato a gara in corso: Mazzocchi, di cui probabilmente non si dovrebbe mai fare a meno. Il punto, che pare quasi un paradosso se si pensa alle recenti annate rossoblù, è che l’abbondanza in attacco sta rischiando di trasformarsi in un problema per il tecnico Caserta. Per esempio, la sostituzione di Marras – il migliore in assoluto – a inizio secondo tempo con Canotto, al di là delle fragili giustificazioni di Caserta («era ammonito»), conferma che i due sono doppioni che difficilmente riusciranno a giocare spesso e bene insieme. E questo rischia di levare a entrambi lunghi spazi e serenità. A ciò vanno aggiunti tre problemini di non poco conto: il gioco, la cattiveria agonistica e l’organizzazione difensiva. Da un paio di partite, ma forse anche di più, se n’è persa traccia. Confusione, poche idee degne di nota e la sensazione che il gruppo non sia ancora unito come nel passato quando la mancanza quasi totale di talento veniva compensata con tanto sacrificio e un cuore enorme. L’unica cosa da fare, per adesso, è attendere che i lavori in corso e il recupero lento di Florenzi possano essere messi alle spalle rapidamente.
Tornando a Bisoli, forse della gara di sabato, più che i gol, resteranno le sue parole finali. Eccole: «Io il Cosenza ce l’ho nel cuore, però non sono ipocrita come molte persone che fanno calcio. Se voi mi chiedete chi devo tifare tra mio figlio (calciatore del Brescia, ndr) e il Cosenza durante la finale playout dell’estate scorsa, secondo voi per chi faccio il tifo? Se avessi detto che tifavo Cosenza, era un prendere in giro i cosentini. Credo sia una cosa naturale fare il tifo per il proprio figlio». E poi ancora: «Se devo perdere una vittoria al 95′, preferisco che accada proprio contro il Cosenza come oggi».

Donata Bergamini e il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio

La sportività di Bandecchi

Probabilmente mancava ancora qualcosa per concludere in grande stile quest’estate reggina di paradossi ed esclusioni, di cambi di proprietà e ritorni scarsamente ufficiali, di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Mancava un ultimo scatto, un’ultima follia, un colpo di scena definitivo che offuscasse tutti gli altri. Insomma, mancava lui (anche se nessuno ci aveva ancora pensato prima), Stefano Bandecchi da Terni e da Livorno. Il sindaco ricchissimo che fa pedinare i giornalisti di “Report” che indagano su di lui, litiga con le opposizioni del Consiglio comunale e viene indagato per minacce e oltraggio a pubblico ufficiale. L’ex presidente della Ternana che sputa in faccia ai tifosi che osano contestarlo. Il proprietario dell’università telematica Unicusano che viene coinvolto in una maxi evasione fiscale. Il fondatore di “Alternativa popolare” che prima o poi marcerà su Roma per conquistarla.

Stefano Bandecchi

Sì, mancava solo un personaggio così all’appello del grande caos del calcio Reggino, la ciliegina su una torta alla crema e all’amarezza, come questa rubrica un po’ seria e un po’ no. Una scelta d’amore per la città, al 50 per cento e solo fino alla serie C (dato che il calcio – ha detto – non è il suo core business), che avrebbe certamente divertito il pubblico da casa e non quello pagante che, però, in buona parte pare lo volesse fortemente, lo vorrebbe ancora, perché i soldi che ha valgono molto di più di quello che fa.
E invece niente, nonostante le proteste, alla fine il comune di Reggio Calabria Bandecchi lo ha bocciato, gli ha preferito una cordata di imprenditori siculo-reggini dal profilo basso e al momento indefinito, anche loro provenienti dal mondo delle università telematiche che, evidentemente, guardano al pallone come un corso di laurea virtuale. Come ha reagito Bandecchi alla sconfitta? Con la solita sportività che lo contraddistingue: «Non scegliere Stefano Bandecchi (discorso in terza persona e sorriso sarcastico da attore poco consumato) richiede almeno un’enciclopedia per spiegarlo».

La Fenice infelice

Finale di rubrica dedicato a chi ha ucciso i sogni di gloria di Bandecchi: “La Fenice Amaranto“, “camuffatasi”, dopo qualche protesta di troppo della tifoseria, in una “Lfa Reggio Calabria” meno imbarazzante. Ma perché quel nome iniziale? La risposta dovrebbe essere la seguente: la Fenice (da non confondere con Felice) è un uccello sacro della mitologia greca-egizia simile a una grossa aquila (da non confondere con quella catanzarese) con piumaggio multicolore, quindi, suppongo, anche amaranto. Si narra che, morto bruciato dai raggi del sole dopo una vita di 500 anni, fosse stato in grado di rinascere dalle proprie ceneri dopo appena tre giorni. Ecco quindi spiegato, almeno credo, il senso del nome con cui la squadra di calcio di Reggio Calabria voleva ripartire dalla serie D.

Il presidente della Lfa Reggio Calabria Virgilio Minniti e il tecnico Brunello Trocini

Ora, per rivedere il marchio storico della Reggina al posto dell’attuale Lfa, bisognerà attendere un po’, così come ci sarà da aspettare prima di ammirare la squadra al completo, insieme al tecnico Brunello Trocini, allenarsi al centro sportivo Sant’Agata, in cui fino a stamattina mancava la luce per le bollette dell’Enel non pagate dalla precedente gestione. L’augurio è che l’operazione di rinascita possa attuarsi in meno di cinque secoli. Il pericolo è che qualche cacciatore-tifoso, spazientito dalla lunga attesa, colpisca a morte l’uccello (Lfa) e la sua leggenda. (redazione@corrierecal.it)

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