COSENZA C’è un prima e un dopo nella storia e nell’evoluzione della mala cosentina. A metterlo nero su bianco i magistrati che negli anni hanno coordinato alcune delle operazioni più importanti nella lotta e nel contrasto alla ‘ndrangheta a Cosenza. Nel corso dell’udienza del processo scaturito dall’inchiesta denominata “Bianco e Nero” – dinanzi al tribunale di Cosenza – il pentito Daniele Lamanna chiamato a testimoniare ha reso confessioni inedite circa la nascita della Confederazione di ‘ndrangheta, che metterebbe insieme sette gruppi criminali del cosentino e al centro dell’inchiesta “Reset“. Lamanna, affiliato al clan Bruni-Zingari, almeno fino alla morte di Luca Bruni alias “Bella Bella” ripercorre – in videoconferenza – le tappe che hanno convinto i gruppi a seppellire l’ascia di guerra e sancire la pax: preceduta da due incontri. «Ero rappresentante di quella pace», esordisce Lamanna. Che aggiunge: «Facemmo due incontri per arrivare alla “bacinella unica”. Ad un primo abbiamo partecipato io, Michele bruni, Francesco Patitucci, Franco Presta, Umberto di Puppo». Fu di Puppo «a portarci nel luogo in cui incontrammo il latitante Franco Presta». Nel corso del secondo incontro, invece, Lamanna ed altri incontrarono Ettore Lanzino. «L’obiettivo era fare pace tra i due gruppi: Bruni-Zingari e gli “Italiani».
«Per Confederazione si intende un gruppo particolare, composto da più gruppi. Erano riconosciuti i capi della confederazione, sia in ambito provinciale che regionale ed erano i rappresentanti della famiglie. Come Michele Bruni e Francesco Patitucci. Al vertice c’erano coloro che avevano un certo rilievo nel concetto ‘ndranghetistico», dice Lamanna che aggiunge: «Quando parlo di gruppi mi riferisco a Patitucci-Ruà-Lanzino e poi ai Tundis, ai fratelli Calabria, a Muto, e Maurizio Rango che era rappresentante degli Zingari». Il collaboratore di giustizia «fino al 2016» è stato affiliato agli “Zingari” dopo la fine del clan Bruni. Poi sarebbero sorti dei contrasti «tra il gruppo Rango-Zingari e Ruà-Lanzino. Tra gli Zingari e gli “Italiani”». Era il 2014, la data è importante. Quando viene sollecitato dalle domande della presidente del collegio giudicante, Carmen Ciarcia e da alcuni avvocati di difesa, Lamanna indica proprio il 2014 come ultimo anno sicuro di attività della Confederazione. Da quel momento in poi, gli attriti aumentano, «Rango da una parte e Patitucci dall’altra stridevano con i loro comportamenti. Anche alcuni “Italiani” erano d’accordo con me, questi atteggiamenti non facevano bene». Il pentito cita un incontro. «Andai a parlare con Rinaldo Gentile, Mario Gatto, Ettore Sottile e Maurizio Rango e dissi che ritornavamo a fare le cose ognuno per conto proprio. Se poi ci fosse stato qualche affare grosso allora ne avremmo riparlato». L’ultima frase suona come una sentenza: «Tentammo di fare una cosa per tutti, ma ognuno tirava dalla sua parte».
Mentre è in corso il controesame di Daniele Lamanna, un avvocato viene interrotto dall’intervento di Francesco Patitucci. Considerato per anni reggente del clan degli “Italiani”, Patitucci – oggi al 41 bis – prova a confutare la tesi di Lamanna sulla presenza della Confederazione. «Ho sentito parlare di una Confederazione, ed è la prima volta che sento questa cosa. Lamanna chiarisca se questa confederazione a Cosenza c’era e chi era il capo e chi erano i rappresentanti provinciali e regionali». Domande alle quali il pentito ha poi provato a rispondere. (redazione@corrierecal.it)
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