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processo “bianco e nero”

Estorsioni a Cosenza, Lamanna: «Un carabiniere chiamò Franco Bruzzese»

Il pentito cita anche un altro episodio con un imprenditore che «non voleva pagare». «Piazzammo una bomba a mano, ma non è esplosa»

Pubblicato il: 21/09/2023 – 7:21
di Fabio Benincasa
Estorsioni a Cosenza, Lamanna: «Un carabiniere chiamò Franco Bruzzese»

COSENZA In una lunga testimonianza resa dinanzi al tribunale di Cosenza, il pentito Daniele Lamanna narra episodi legati al suo passato criminale. Racconti inediti su alcuni fatti sangue (leggi qui), sulla nascita della “Confederazione” di ‘ndrangheta a Cosenza (ne abbiamo parlato qui) e su uno dei core business della mala bruzia: le estorsioni.

La telefonata di un carabiniere a Franco Bruzzese

Sollecitato dalle domande del pm, chiamato a rappresentare l’accusa nel corso del procedimento scaturito dall’inchiesta “Bianco e Nero” – condotta dalla Dda di Catanzaro -Lamanna cita alcuni episodi con al centro richieste di denaro. «Conosco il proprietario di una sala bowling o scommesse che fu oggetto di una estorsione fatta da Franco Bruzzese». Il collaboratore di giustizia ricorda «una telefonata di una persona che intervenne e si parlò di una estorsione, l’imprenditore pagava a Tonino Abbruzzese detto “Strusciatappine” e non si capiva perché Bruzzese volesse questi soldi. Si parlava di 30mila o 50mila euro, adesso non ricordo la cifra esatta». Lamanna poi introduce un particolare di rilievo. «Un maresciallo dei carabinieri intervenne a favore dell’imprenditore vessato nel senso che disse a Bruzzese di non andare oltre». La comunicazione avvenne per telefono e «Bruzzese mi disse che non sapeva come il carabiniere avesse avuto il suo numero».

L’imprenditore che non voleva «mettersi a posto»

Il collaboratore, in passato uomo del clan Bruni, impreziosisce la sua confessione e cita un altro episodio. «C’era un grosso imprenditore di Cosenza. Parlai della situazione, con Francesco Patitucci e Michele Bruni». L’imprenditore in questione lavorava «nella zona di Rende dove c’era un suo cantiere, ma non riuscimmo a trovarlo. Dovevamo chiedergli l’estorsione, di mettersi a posto come si dice in gergo criminale». L’imprenditore è reticente, non ne vuole sapere di pagare il pizzo a Lamanna e soci perché «pagava il gruppo Perna». Il pentito racconta di un tentativo di intimidazione. «Si organizzò una bomba a mano, che poi non è esplosa, per fargli capire che doveva pagare noi e non il gruppo Perna, parlo di Marco e Franco Perna». L’imprenditore «diceva pago solo Franco Perna, il mio compare» ed allora «cercammo di metterlo in difficoltà parlando con Alfonsino Falbo, ma non ne voleva sapere di pagare noi». Chi era stato incaricato di piazzare la bomba? chiede il pm. «Adolfo Foggetti accompagnato da Roberto Porcaro», risponde Lamanna. Che precisa: «Si trattava di una bomba classica, un’ananas e fu procurata da Franco Tundis». (redazione@corrierecal.it)

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