COSENZA «Si è parlato della strategia processuale di far dichiarare a Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni, la loro responsabilità anche con riferimento al duplice omicidio escludendo la responsabilità di Francesco Patitucci, con l’obiettivo duplice di determinare l’assoluzione di Patitucci nel processo e di mostrare l’avvio di una rivisitazione critica da parte di Ruà e Bruni che avrebbe consentito loro di accedere ai benefici penitenziari». A parlare è Roberto Porcaro, ex pentito che ha recentemente interrotto la propria collaborazione con la giustizia, sul duplice omicidio di Francesco Lenti e Marcello Gigliotti, due uomini legati alla mala cosentina uccisi nel 1985. La confessione resa dai due boss e richiamata dall’ex pentito, tuttavia, non ha convinto i giudici di Cassazione e la condanna all’ergastolo nei loro confronti è passata in giudicato.
Il processo in primo grado si era concluso con la condanna a 30 anni di reclusione per Gianfranco Ruà (difeso dall’avvocato Marcello Manna) e Gianfranco Bruni (difeso dall’avvocato Luca Acciardi). A seguito del giudizio di primo grado, sia la procura antimafia che i legali degli imputati decisero di presentare appello. La procura, infatti, riteneva più giusta la pena dell’ergastolo. Nel corso del dibattimento sono state ascoltate le confessioni sia di Ruà che di Bruni in merito alle modalità di esecuzione dell’omicidio e alla partecipazione allo stesso. La Corte d’Assise, invece, aveva dichiarato Gianfranco Bruni e Gianfranco Ruà colpevoli dei reati a loro ascritti ma riconosciute le attenuanti generiche sulle aggravanti confessate aveva rideterminato la pena in 20 anni di reclusione.
Il racconto dei delitti di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti è stato stravolto, sicuramente rispetto a quanto riportato dalle cronache quel febbraio del 1986. Gianfranco Bruni, nel corso del procedimento, ha raccontato una nuova versione dei fatti. «Io di questo duplice omicidio non ne ho mai parlato con nessuno» ha ribadito più volte ai due avvocati dell’imputato Francesco Patitucci, i legali Marcello Manna e Luigi Gullo, ribadendolo con forza ai giudici togati. E così per Gianfranco Bruni – come sostenuto e dimostrato dall’avvocato Acciardi – i due ragazzi, non morirono a casa di Francesco Patitucci durante un pranzo dopo l’uccisione del maiale ma lungo la vecchia strada che collegava l’area urbana di Cosenza con Paola, passando per Falconara Albanese.
«Ero uscito da poco dal carcere – racconterà Bruni nel corso del processo – venne da me Demetrio Amendola e mi disse che dovevamo fare una cortesia ad Antonio Sena». Lo storico boss della ’ndrangheta cosentina reggente della cosca che ne porta il nome insieme a quello di Franco Pino era stufo delle scorribande di Marcello Gigliotti. Lo sgarro per cui avrebbe pagato con la vita è una rapina ad un caro amico di Sena. «Io rispondevo solo agli ordini di Franco Pino – aggiunse Bruni -. Per questo, durante un’udienza del processo “Tre Provincie” al tribunale di Palmi andai da lui per vedere se fosse d’accordo con l’uccisione di Gigliotti. Non ne parlammo apertamente, non avremmo potuto dato il livello di sorveglianza, ma seppure non mi disse in modo esplicito di procedere io capii che il delitto poteva essere compiuto». All’epoca Gianfranco Bruni aveva 23 anni. «Gigliotti si fidava di me, lo stesso Lenti – continuò nel racconto – per questo decidemmo che io ero la persona deputata a chiedergli un appuntamento». La scusa sarebbe stata quella di fare un sopralluogo per mettere a segno una rapina. E quindi Bruni avrebbe così dato appuntamento a Francesco Lenti il quale poi avrebbe avvisato anche Marcello Gigliotti. È così che i due sanno che dovranno percorrere gli ultimi chilometri della propria vita prima di arrivare all’appuntamento con la morte.
(redazione@corrierecal.it)
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