CATANZARO Il filo d’Arianna che ha portato all’operazione “Karpanthos” (nome in codice che nasce dall’antica denominazione del Comune di Petronà) è l’omicidio, nel 2015, del macellaio Francesco Rosso. «Subito dopo l’omicidio – ha detto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri in conferenza stampa – c’è stato un dichiarante, Danilo Monti, che era un aspirante collaboratore di giustizia poi dissuaso dal suo proposito” le cui dichiarazioni, confutate dalle indagini, hanno fatto imbattere gli investigatori “nella cosca che controlla Petronà». Un’inchiesta importante, ha detto Gratteri, «perché da tantissimo tempo non si toccava quell’area, un’area sconosciuta, di serie B, perché spesso si è portati a dare una valutazione sulla pericolosità o meno della presenza mafiosa su un territorio a seconda del numero degli arresti. Non è così. Perché se tu non vai su quel territorio sei portato a pensare anche che su quel territorio non c’è nulla, che sia un’isola felice, come si diceva di Catanzaro nel 2016 quando io sono arrivato. Poi abbiamo visto che la Storia ci ha raccontato un’altra cosa».
Per quanto riguarda la caratura criminale del locale di Petronà, ove nasce la cosca Carpino, il procuratore informa che su quest’area è nato «Franco Coco Trovato, uno dei mafiosi più importanti nella storia della ‘ndrangheta, soprattutto in Lombardia, in provincia di Lecco. Stiamo parlando di soggetti che discutevano alla pari con i De Stefano di Reggio Calabria. Soggetti che avevano rapporti diretti con i più grossi narcotrafficanti sudamericani. Dunque, per noi è stata una scoperta sul piano investigativo su questo territorio perché poi abbiamo visto come controllavano il Comune di Cerva. Comune che era controllato da questa ‘ndrangheta».
Come ha specificato il procuratore vicario Vincenzo Capomolla, «ad alcuni soggetti viene contestato lo scambio elettorale politico mafioso».
Il comandante del reparto operativo provinciale, Roberto Di Costanzo, parla di «permeabilità delle consorterie negli enti locali».
Dai brogliacci dell’inchiesta si può appurare che lo scambio elettorale politico-mafioso viene contestato a Fabrizio Rizzuti, Raffaele Scalzi e Raffaele Borelli che si erano candidati alle elezioni comunali del 2017 con la lista civica “Progetto Futuro” guidata dal futuro sindaco Fabrizio Rizzuti (oggi ai domiciliari). Gli indagati, grazie all’intermediazione del fratello di Fabrizio Rizzuti, Massimo Rizzuti, dipendente comunale, si erano rivolti a Tommaso Scalzi, già condannato per associazione mafiosa e considerato vicino a Franco Coco Trovato, affinché procurasse loro dei voti promettendo in cambio una somma di denaro e una percentuale sugli appalti pubblici aggiudicati dal Comune.
Tra l’altro tra gli attinti dalla misura cautelare ci sono soggetti con legami di parentela con Franco Coco Trovato.
I carabinieri – coordinato dal sostituto procuratore Veronica Calcagno – hanno documentato, ha detto Di Costanzo, «danneggiamenti, incendi, la costrizione a vendere autovetture a prezzi bassissimi». Un autentico controllo del territorio che abbraccia un decennio circa.
Agli indagati vengono contestate, a vario titolo, sia l’associazione di tipo mafioso che l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Come ha sottolineato il colonnello Giuseppe Mazzullo, comandante provinciale di Catanzaro, le indagini abbracciano un territorio-cerniera tra le province di Catanzaro e Crotone. Territori solo apparentemente calmi e tranquilli.
Una cosca che aveva esteso i propri tentacoli nelle province di Lecco, Genova e Torino. L’indagine ha permesso di documentare l’esistenza della cosca di ‘ndrangheta “Carpino” di Petronà, coinvolta negli anni duemila in una sanguinosa faida, operante nella presila catanzarese e con ramificazioni in Liguria e Lombardia, nonché dell’alleato gruppo criminale di Cerva, detto dei Cervesi, con estensioni in Piemonte e Lombardia, entrambi ora ricadenti sotto l’influenza del locale di Mesoraca, dediti principalmente alle estorsioni in danno degli imprenditori edili e dei commercianti della presila catanzarese attuate mediante incendi e danneggiamenti, alle rapine a mano armata, al riciclaggio e all’intestazione fittizia di beni, al traffico di cocaina e marijuana con differenti canali di approvvigionamento, riconducibili comunque a soggetti operanti nei territori di Cutro o Mesoraca.
È emersa anche la possibilità della cosca di Petronà di avere a disposizione entrature nella pubblica amministrazione. Nel caso di specie, un dipendente dell’Agenzia delle Entrate aveva messo la propria funzione a disposizione di un affiliato, manifestando la propria disponibilità a ricevere dei falsi, riguardanti proprietà di quest’ultimo, per evitare che costui incorresse in sanzioni o che dovesse pagare l’Imu e ottenendo, in cambio la promessa di favori di varia natura. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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