Riceviamo e pubblichiamo
Chiedo cortesemente alla direttrice, Paola Militano, dopo la mia intervista data sul suo giornale a Paride Leporace, di lasciarmi replicare ad una nota critica di Mario Campanella anche se non priva, in più punti,di stima nei miei confronti. Primo punto. E’ vero, io credo di essere stato un presidente e ho spesso corretto chi mi definiva governatore. Sono stato presidente nel senso che ho inteso governare non da solo ma insieme alla giunta e al Consiglio regionali. Ricordo che l’esecutivo che presiedevo cominciava le sue sedute rigorosamente all’orario prestabilito, nel rispetto dell’istituzione rappresentata e che la durata della giunta, a fronte della complessità dei problemi trattati, si protraeva spesso per molte ore. Tale metodo, da quel che mi risulta, è stato raramente adottato in tempi successivi. Da presidente non mi sono caricato di deleghe. Nei primi due anni ho tenuto per me solo quella dei fondi europei sulla quale avevo fatto senza indulgenza una scommessa con me stesso. Più tardi l’ho ceduta a Mario Maiolo e sono volutamente rimasto privo di deleghe. Ricordo che in questo settore strategico quando Donata Hubner (all’epoca commissaria europea alla politica regionale e quindi ai fondi europei) nel corso della legislatura venne in Calabria, dove rimase accanto a Maiolo e a me per un paio di giorni, fummo, come regione, gratificati di un suo lusinghiero giudizio sul lavoro che avevamo svolto. La Position Paper dei servizi della Commissione, in relazione al Por Calabria Fesr 2007-2010 ha sul nostro lavoro testualmente scritto: “Si tratta di uno dei migliori in Europa per il forte e coerente disegno di sviluppo sotteso alla strategia, costruita sulla base di una serrata e puntuale analisi del contesto economico-sociale e territoriale, sostenuta da una coraggiosa intenzione riformatrice”. Ho riprodotto la dichiarazione, ripeto, in forma testuale. E’ vero che uno dei nostri punti deboli, come ho detto altre volte, fu il debito in sanità, che costituì uno dei pochi elementi di frizione con l’assessore del tempo, Doris Lo Moro. Resta comunque da sottolineare che il commissariamento della sanità, con una figura diversa dal sottoscritto, su cui puntava il governo del tempo, presieduto da Silvio Berlusconi, fu da me scongiurato. Per una volta parlo al singolare. Nel Consiglio dei ministri dove fui convocato, l’obiettivo del governo era quello di nominare un commissario alla sanità con una figura diversa dalla mia. Non era mai capitato prima. Erano in genere i presidenti a svolgere il ruolo di commissario. La Calabria, com’era già altre volte (e su temi diversi) capitato, si accingeva a fungere da cavia sperimentale. La tattica in quel Consiglio dei ministri mi apparve subito evidente. Fui duramente attaccato dal ministro della sanità, Sacconi, e dai suoi colleghi della Lega, ma devo per onestà dare atto a Berlusconi di avermi lasciato un ampio spazio di difesa che esercitai con tutto il vigore mentale di cui disponevo. Il Consiglio fu sospeso, fui pregato di attendere e dopo 30 minuti fui invitato a rientrare. Fu quindi proposto a me il ruolo di commissario. Ma io non solo rifiutai ma aggiunsi che mi sarei dimesso da presidente della regione in quella stessa sede se il Consiglio dei ministri avesse proceduto in quella direzione. Non potevo accettare la proposta perché la delibera avrebbe comportato per la mia regione un notevole incremento automatico delle aliquote fiscali di Irap e Irpef. Un fardello che non intendevo propinare ai calabresi. Parimenti non potevo accettare che il nome del commissario fosse liberamente scelto dal governo magari attraverso una figura avulsa dal settore della sanità, che aveva ed ha invece, proprio in questo specifico comparto, un bisogno disperato di specialisti, non di liberi pensatori. Per la cronaca aggiungo che la figura del commissario, con tutti gli oneri e le insufficienze che comporta, la Calabria ce l’ha sul groppo da 14 anni, senza che alcuna significativa protesta politica si alzi indignata. Concludo ricordando per la storia che Berlusconi, il quale intendeva scongiurare il mio eclatante gesto, ritirò la proposta per proporla con successo al mio successore. Ammetto che l’abolizione del ticket, deciso all’inizio della legislatura fu un errore. Anzi un errore ed insieme una mia debolezza. D’altra parte errori ne ho fatti tanti. Ma abbiamo fatto anche, a sentire la gente, molte cose buone che in genere non amo elencare. Campanella, se vuole,può però trovarle in dettaglio nel volume “Le cose fatte” (l’editore è Rubbettino) che ho nel 2010 presentato agli elettori che non mi hanno evidentemente creduto. La verità – e concludo davvero – è che per tentare di cambiare le cose in una regione complicata come la nostra, bisognerebbe guidarla con una buona squadra per almeno dieci anni, non ritirarsi dopo i primi cinque, come afferma Campanella. Io avevo provato a farlo ma sono stato sconfitto.
Agazio Loiero
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