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Narcotraffico, il “golden boy” della ‘ndrangheta condannato a 14 anni e 6 mesi

La parabola di Vincenzo Pasquino: dagli stenti al ruolo centrale come broker della cocaina. La decisione della Corte d’Appello di Torino

Pubblicato il: 24/09/2023 – 9:27
Narcotraffico, il “golden boy” della ‘ndrangheta condannato a 14 anni e 6 mesi

TORINO La Corte d’Appello di Torino ha deciso: la condanna a 14 anni e 6 mesi fissa il livello criminale di Vincenzo Pasquino. Ad appena 36 anni La Stampa – che ha dato la notizia nei giorni scorsi – lo definisce «il ragazzo d’oro della ‘ndrangheta mandato da Volpiano sul fronte sudamericano a gestire tonnellate di cocaina per conto delle ‘ndrine di Plati». Pasquino non era in aula: è detenuto in Brasile. Per i giudici è capo promotore di un’organizzazione criminale specializzata nel narcotraffico internazionale. Ma non è “soltanto” un broker, cioè un tecnico che presta le proprie competenze in materia di narcotraffico ai clan; è anche un affiliato alle cosche, uomo di fiducia di Antonio Agresta, boss considerato il vertice delle famiglie della Locride in Piemonte.
Pasquino è, nella linea di successione dei narcos calabresi, l’uomo destinato a continuare il lavoro di Nicola e Patrick Assisi dopo il loro arresto in Brasile. Sulle sue tracce anche la Dda di Reggio Calabria.

Il “lavoro” con il Gps per monitorare la cocaina

Una volta “bucato” il sistema di server criptati utilizzato dalla criminalità di mezzo mondo, gli investigatori hanno ricostruito i traffici di “Svolato” (questo il suo nickname nelle chat anonime). È l’inchiesta “Eureka” a raccontare contatti e relazioni del golden boy. I suoi legami con il Brasile, da dove gestiva la logistica per le importazioni di droga da parte della cosca Nirta. Con qualche guizzo tecnologico inedito, come l’utilizzo del Gps per non perdere traccia dei panetti di cocaina. «Con gps sto lavorando, compa’, che sono stanco di essere rubato», dice a uno dei suo sodali. Per i magistrati della Dda Pasquino sarebbe stato pronto a far realizzare nei pressi di un’abitazione, che aveva intenzione di comprare in Brasile, un bunker e per realizzare un «posto» avrebbe chiesto alla cosca Nirta la disponibilità di inviare oltre oceano lo «specialista». «Se compriamo casa qui mi devi mandare quello che fa i posti compa’ che me ne faccio uno bello a casa», scrive Pasquino al suo interlocutore in terra Calabria ricevendo con prontezza disponibilità e rassicurazioni: «Quello subito appena serve facciamo arrivare lo abbiamo di fiducia a quello».

La lite con la moglie: «Tra te e i boss sceglierei loro, mi hanno cresciuto»

La prima traccia concreta della sua presenza in Sudamerica è un documento trovato tra la seduta e lo schienale del divano in cui sedeva Nicola Assisi al momento del blitz della Policia Federal. Dopo anni gli investigatori trovano Pasquino in un residence di Joao Pessoa, capitale dello stato brasiliano di Paraiba, nel nord del Paese. Fine della sua parabola criminale fatta di un legame profondissimo con i boss della Locride. Legame la cui solidità è superiore anche all’affetto per sua moglie. «Non mi piace fare questi discorsi – le dice durante una lite coniugale – ma sappi che se mi chiedono di scegliere tra loro e te io caccio te. Queste sono persone che mi hanno cresciuto, io un padre non l’ho mai avuto. Ero un capraro e mi hanno insegnato a leggere e scrivere. Quando puzzavo di fame non c’eri tu a portarmi 5 euro per campare e comprarmi le sigarette». (ppp)

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