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Morire di lavoro, in Calabria la prevenzione resta una chimera

Circa 5mila incidenti registrati e 15 morti in 7 mesi. Meno di un quarto delle ispezioni riguarda la sicurezza. Fortunato: «Innalzare la formazione»

Pubblicato il: 25/09/2023 – 20:38
di Roberto De Santo
Morire di lavoro, in Calabria la prevenzione resta una chimera

LAMEZIA TERME Un attimo di distrazione, un malfunzionamento di un macchinario, la scarsa preparazione o semplicemente un evento imprevisto. Dietro ogni incidente che avviene sul posto di lavoro si celano tante troppe spiegazioni che si riducono ad un’unica certezza la scarsa sicurezza in cui sono costretti ad operare coloro che lavorano per portare a casa un salario, spesso anche mal pagato.
E diviene ancor più duro accettarlo quando quell’incidente si tramuta in tragedia. «Le morti sul lavoro feriscono il nostro animo. Feriscono le persone nel valore massimo dell’esistenza, il diritto alla vita. Feriscono le loro famiglie. Feriscono la società nella sua interezza. Lavorare non è morire», ha detto il Capo dello Stato Sergio Mattarella in un messaggio inviato alla ministra del Lavoro Elvira Calderone. Una constatazione che diviene ferita viva per le famiglie che vengono investite da questo dramma.
Anche la Calabria sta pagando a caro prezzo sull’altare di questa guerra non dichiarata, ma subita. Le chiamano “morti bianche” anche se il colore di chi ci rimette la vita resta sempre rosso intenso come il sangue. Quello che rimane impresso sul loro posto di lavoro: un cantiere, una strada, un terreno agricolo o una fabbrica. L’ultima vittima calabrese è stato il quarantottenne Antonio Mastroianni volato giù dal tetto di un capannone dell’area industriale di “Benedetto XVI”, a San Pietro lametino. Era lì a lavorare per conto di una società di telefonia, ma ha trovato la morte ad attenderlo. E a far piangere la moglie ed il figlio appena maggiorenne.
Pochi giorni prima era toccato ad Antonio Ciambrone, 35enne operaio di una ditta di manutenzione stradale a cui l’Anas aveva commissionato lavori. Per lui la morte è stata ancor più beffarda: ha perso la vita per aiutare gli altri. Era intervenuto per segnalare un incidente sulla rotatoria che dalla statale 280 dei “Due Mari” porta all’aeroporto internazionale di Lamezia Terme quando è stato travolto e scaraventato a metri di distanza da un’auto. Anche per lui, come per tante, troppe vittime di questa battaglia quotidiana non c’è stato nulla da fare. A piangerlo, la madre con cui conviveva.
Storie di vite spezzate come quelle di tanti che in questi anni sono morti o sono rimasti coinvolti in incidenti, nell’adempimento del loro dovere.

I numeri della “guerra” combattuta in Calabria

Fonte: Inail

E come tutte le guerre, questa battaglia lascia sul terreno morti e feriti ogni anno.
In Calabria dall’inizio del 2023 fino a luglio scorso (ultimo dato censito dall’Inail) ci sono stati 15 morti e ben 4.915 infortuni denunciati in gran parte sui posti di lavoro. Stando ai numeri crudi offerti dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), tra gennaio e luglio, degli incidenti segnalati ben 4.292 si sono verificati mentre i lavoratori stavano operando.
Gli altri sinistri (esattamente 623) sono stati denunciati, in questo lasso di tempo, mentre le persone si stavano recando sui vari posti di lavoro in Calabria. Numeri pesanti ma “anonimi” dietro ai quali si celano volti, storie e vite reali spesso spazzate via in pochi secondi. E che restituiscono il quadro d’insieme della vastità del dramma. 
Gran parte degli incidenti avvenuti in questi primi sette mesi in Calabria si sono verificati nel comparto dell’industria e dei servizi. I numeri indicano, infatti, che il 67,6% dei sinistri sono avvenuti sotto questa classificazione. Si tratta del mondo produttivo che raccoglie settori importanti e al tempo stesso delicati come quello delle costruzioni, del commercio e dei trasporti. Ma anche quelli legati alle attività di servizi di alloggio e ristorazione. In ognuno di questi settori, in questo lasso di tempo si sono registrati il maggior numero di incidenti sui posti di lavoro in Calabria.
Conseguentemente sono anche i settori che hanno visto il maggior numero di morti sul lavoro: 8 dei 15 decessi tra gennaio e luglio scorso.
E poi c’è il tributo pagato da quanti stavano lavorando per conto dello Stato, oltre un quarto degli incidenti nella regione si sono registrati in questo ambito. In numeri assoluti 1.266. Infine 325 sono stati i sinistri avvenuti nel settore dell’agricoltura.
Ma è anche il settore che in sette mesi ha totalizzato 6 lavoratori deceduti mentre erano impegnati a svolgere la propria attività agricola.
Un dato che fa comprendere come questo segmento produttivo – che resta centrale nella dinamica economica della regione – resti esposto ad incidenti mortali.
Numeri e dati che sono finiti nel report dell’osservatorio “Vega” e che ha indicato come la Calabria per tasso di incidenza di “morti bianche” sul numero di occupati medi annuali resti decisamente al di sopra della media nazionale: 24,6 contro il 18,6 italiano. Un tasso che fa balzare a luglio la Calabria, al quarto posto assoluto nella triste classifica di casi di morti sul lavoro.

I controlli che latitano

Fonte: Ispettorato nazionale del lavoro

Se sinistri e morti hanno questa alta incidenza nella regione, più di una domanda sorge sui controlli per prevenire questi incidenti. E a restituire qualche risposta soccorre l’ultimo report dell’Ispettorato nazionale del Lavoro. Nel “Rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale” pubblicato su dati 2022, emerge che meno di un quarto delle ispezioni effettuate in Calabria hanno riguardato temi come la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Esattamente il 22,85% dei “blitz” effettuati nel corso dello scorso anno, hanno accertato se c’erano le condizioni per lavorare in sicurezza.
Ad essere passati a controlli soprattutto le aziende edili, visto che su 919 ispezioni, 630 hanno riguardato questo comparto (68,55%). Segue il terziario (22,85%), l’industria (4,57%) e poi l’agricoltura (appena il 4,03% del totale). Soltanto 37 ispezioni hanno infatti riguardato imprese che operano nel comparto primario nonostante sia tra quelli a maggior rischio decessi, visti i risultati.
L’altro elemento che si evince da quel rapporto che su 1.223 violazioni delle norme sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori gran parte riguardano il settore delle costruzioni: 799 in un anno pari al 65,33% staccando di gran lunga il terziario (281 irregolarità) e l’agricoltura (89 violazioni). Dati che però vengono in parte falsati dalla quantità di “blitz” effettuati dagli ispettori del lavoro e che vedono appunto il settore primario tra quelli meno vigilati.
Mentre il numero di ispezioni resta decisamente basso per quantità, l’altro tema che rischia di compromettere ancor di più la precaria attività di prevenzione è legato alla decisione, ventilata dall’esecutivo Meloni, di tagliare le ore obbligatorie di formazione. 
Infatti la bozza finale del nuovo accordo Stato-Regioni le riduce di un terzo: da 16 a 10 le ore di formazione per i lavoratori dei settori a rischio alto. Una decisione che suona come una sonora sberla alla prevenzione.

Fortunato: «Occorre diffondere la “cultura della sicurezza”»

Non basta la tecnologia, per prevenire gli incidenti occorre formazione, incentivi e una «nuova cultura». Ne è convinto Vincenzo Fortunato, professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Unical, nonché coordinatore del corso di Studi triennale e Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni all’interno dell’Università della Calabria. Il docente dell’Università della Calabria segnala la specificità del sistema produttivo regionale caratterizzato da piccolissime realtà in cui a mancare sono quelle professionalità deputate a gestire la sicurezza. Fortunato invita inoltre tutti gli attori del mercato del lavoro a «fare rete» per combattere la battaglia degli incidenti sui posti di lavoro.

Vincenzo Fortunato, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Unical

Professore nonostante le normative e la tanta tecnologia presente nei processi produttivi, continuano incessantemente a registrarsi incidenti sul lavoro. E la Calabria resta tra le regioni con un’alta incidenza di esiti fatali. A cosa imputare questo fenomeno?
«La sicurezza sul lavoro rimane tristemente uno dei problemi che, ancora oggi, non trova una soluzione adeguata. Le nuove tecnologie disponibili e l’adeguamento della normativa agli standard europei rappresentano solo un aspetto del fenomeno che – come evidenziano le ultimissime notizie sui decessi degli ultimi giorni – hanno a che fare prevalentemente, se non esclusivamente, con “errori umani” ovvero, inosservanza delle norme anti-infortunistiche, deficit di comunicazione e scarsa attenzione da parte di manager e supervisori alle condizioni di lavoro, i vincoli di tempo e la natura spesso emergenziale degli interventi, la mancanza di controlli e di sanzioni efficaci da parte dei soggetti preposti istituzionalmente a tale compito.Non esiste tecnologia o intelligenza artificiale, per quanto avanzata, in grado di escludere da sola e a priori possibili incidenti».

Quali sono le principali criticità in materia di sicurezza nel sistema produttivo calabrese?
«Un aspetto importante da considerare riguarda, innanzitutto, la peculiarità della struttura produttiva della nostra regione che si basa essenzialmente sulla diffusione del settore delle costruzioni, dell’agro-industria, dei servizi, inclusi quelli in ambito socio-sanitario e assistenziale che, con la pandemia, hanno visto negli ultimi due anni una crescita esponenziale degli incidenti sul lavoro. Proprio in questi settori (oltre ai trasporti) aumentano gli incidenti, tra cui quelli mortali. Le piccole o piccolissime dimensioni delle imprese, spesso a conduzione familiare, rappresentano un’ulteriore criticità, poiché si traducono in una elevata flessibilità che concentra il potere decisionale e di controllo sull’imprenditore-proprietario, laddove sarebbe invece necessaria una figura dedicata e competente in materia di gestione della sicurezza sul lavoro. La limitata diffusione della cultura manageriale nelle imprese meridionali è, a mio avviso, un altro aspetto da tenere in considerazione».

Mattarella al Macfrut, visita agli stand con le eccellenze della Calabria
Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella ha lanciato un monito agli imprenditori sulla sicurezza sul lavoro

L’appello del presidente Mattarella agli imprenditori per garantire sicurezza sui posti di lavoro apre anche una questione “culturale” del problema. Secondo lei c’è dunque poca sensibilità tra gli imprenditori anche calabresi?
«Diffondere la “cultura della sicurezza” è l’altro grande problema. Su questo, come sappiamo bene, i cambiamenti culturali richiedono tempo, formazione, risorse, coinvolgimento di una pluralità di soggetti. A volte sono le nuove generazioni a determinare un salto di qualità anche su questi temi.Non è comunque un problema che si risolve demandando la ricerca di soluzioni esclusivamente agli imprenditori. Né tantomeno è un problema che riguarda specificatamente la Calabria e il Mezzogiorno. Si tratta di una questionale nazionale».

Fonte: Inail

Il sistema dei subappalti e delle gare a ribasso in questo senso può far scemare quel livello di attenzione?
«Certamente, dal momento che tutto ciò determina l’effetto perverso del contenimento/riduzione dei costi e il passaggio ad imprese sempre più piccole e meno strutturate, anche sul piano della gestione della sicurezza. Queste imprese – a volte – si avvalgono, inoltre, di personale non regolarizzato e di lavoratori immigrati e ciò determina una ulteriore criticità su cui si dovrebbe intervenire.

Cosa è possibile fare per limitare il susseguirsi di incidenti in Calabria?
«Come dicevo prima, non esiste un unicum per la Calabria. E dunque occorrerebbero interventi su base nazionale. Penso ad incentivi selettivi ma anche alla formazione continua,  non solo quella obbligatoria, come anche alla definizione di progetti pilota sulla sicurezza con la socializzazione di buone pratiche. Sarebbero utili interventi per facilitare la creazione di reti tra imprese, organizzazioni datoriali e sindacali, ispettorato del Lavoro, Inail, e gli altri soggetti attivi nel mondo del lavoro. Sono misure che possono dare un contributo fondamentale per accrescere la sensibilità degli imprenditori e ridurre l’incidenza degli incidenti sul lavoro».

Il settore edile è tra quelli che hanno registrato maggiori incidenti sul lavoro

Una corretta formazione del mondo imprenditoriale calabrese potrebbe alzare la qualità della risposta in termini di prevenzione?
«Decisamente sì. È necessario investire nella formazione mirata, sistematica, di qualità, coinvolgendo – perché no – le Università, i centri di ricerca specifici che hanno competenze inter e multidisciplinari su questi temi. Le organizzazioni degli imprenditori e quelle sindacali possono fare molto, lavorando insieme per definire progetti sperimentali, socializzare esperienze tra imprese su tutto il territorio regionale e nazionale. Uscire dal perimetro della propria impresa e andare a vedere cosa fanno altrove, dove si sperimentano soluzioni virtuose, è sempre una esperienza positiva. In generale, occorre una visione nuova, partecipata rispetto al tema della sicurezza. Attualmente l’approccio è prevalentemente sanzionatorio (laddove si riesce ad intervenire) e questo continua a dimostrare la sua inefficacia. Da qui l’enfasi sulla prevenzione che deve precedere e non sostituire i controlli, comunque necessari e da potenziare».

Il comparto agricolo calabrese ha registrato sei morti nei primi sette mesi del 2023

E la Regione può attivarsi con misure specifiche?
«Anche su questo, la Regione e le istituzioni locali (penso anche alle amministrazioni comunali) più in generale, hanno un ruolo assolutamente fondamentale e su più livelli. Lo dimostrano i provvedimenti recenti in altri ambiti: dalla tutela dell’ambiente alla formazione e promozione dell’occupazione. La Regione, infatti, può intervenire, nell’ambito delle proprie competenze, in termini di risorse da investire nella formazione sulla sicurezza, la creazione di partenariati, ma anche provvedimenti specifici dal momento che, in base al nuovo articolo 117 della Costituzione, in materia di lavoro e politiche del lavoro, alle Regioni è attribuita anche la tutela relativa alla sicurezza e alla salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro. È importante, tuttavia, che la Regione non si muova da sola, in modo autoreferenziale. A mio avviso, per ottenere risultati importanti e a breve medio termine, occorre un lavoro di squadra in cui tutti i protagonisti del mondo del lavoro, le Università e le strutture come la Scuola Superiore di Scienze delle Amministrazioni Pubbliche (Sssap) preposte all’alta formazione e le istituzioni, cooperino sinergicamente per il raggiungimento di un obiettivo comune: la tutela dei lavoratori in tutti gli ambiti lavorativi, pubblici e privati». (r.desanto@corrierecal.it)

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