Parlerò solo all’inizio di quanto sta accadendo al Napoli, la squadra campione d’Italia. Vince un meraviglioso scudetto dopo 33 anni, sfiora l’ingresso in semifinale di Champions e poi cambia tutto.
Lo fa attraverso il suo presidente, Aurelio De Laurentiis, che è un uomo di grande talento. Bravo, capace, in grado di conciliare risultati sportivi con una tenuta di bilancio ineccepibile. Però, dopo quello scudetto, De Laurentiis si fa prendere dalla tentazione di essere tutto. Certo, egli è il proprietario di una società privata ma pensare di essere tutto è stato un grave errore.
Questa metafora del calcio si applica benissimo alla politica che è dominata da troppi personalismi e egoriferimenti. La concezione di poter essere e rappresentare tutto attraversa anche la società in ogni sua espressione.
Eppure i meccanismi funzionano se vanno messi in un’organizzazione in cui ognuno esprima il meglio e nessuno pensi di vicariare gli altri.
La personalizzazione o la presunzione di capire tutto può portare dai trionfi alle sconfitte nel giro di pochi mesi.
Il narcisismo non è una condizione minoritaria. Nel caso di De Laurentiis può essere giustificato dalla troppa euforia ma in generale è la differenza che fanno i collaboratori ad ogni livello ad emergere. Soprattutto sul lato umano. La sindrome del Re Sole consente spesso di avere intorno a sé compiacenze ben pagate che non portano frutti. L’umiltà e essere invece parte di un’organizzazione che per funzionare bene ha bisogno del conforto e del confronto sembra appartenere al passato.
La grandezza di un leader è il suo carisma ma soprattutto la capacità di ascolto. Chi pensa di essere Dio, e stavolta è accaduto al pur bravo presidente del Napoli, dovrebbe sapere che il posto è già occupato.
*giornalista
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