Comunicare con gli animali è un’arte, ricorda la letteratura insieme al cinema. Nel romanzo “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, poi trasposto per il grande schermo, il protagonista Tom Booker guarì il destriero Pilgrim e la padrona Grace, vittime di un incidente molto grave. Nel film “Balla coi lupi”, tratto dall’omonimo racconto, il tenente John Dunbar ammansì un lupo, divenne suo amico e lo nominò «Due calzini». Anche in ambito religioso ci sono vicende simili, di affezione reciproca. Il mite Francesco d’Assisi chiamava «frate» il lupo di Gubbio e, secondo una leggenda, l’abate Gioacchino da Fiore, confessore dell’imperatrice Costanza d’Altavilla, ascoltava e capiva i propri buoi.
Nel 2018, l’ambientalista Kevin Richardson, capace di parlare con i leoni e di abbracciarli come figli, creò una fondazione per proteggere e studiare vari felidi. In contrada San Lorenzo di Caccuri, nei pressi di Cerenzia, il trentenne Giandomenico Oliverio, massiofisoterapista, ospita una quarantina di cani randagi che ha salvato da fame, freddo e malattie. Il giovane li ha raccolti per strada o per boschi, valli, dirupi. Li ha trovati smagriti, spaventati, confusi; talvolta sospettosi, pieni di pulci, ferite, vermi delle mosche. Allora li ha presi con sé, ha dato loro cure, cucce e libertà, nella sua dimora di campagna che sovrasta i ruderi di Acheronthia e affaccia sullo Ionio crotonese. Il ragazzo conosce carattere, abitudini e bisogni dei suoi amici a quattro zampe, cui assicura cibo, acqua ed assistenza, anche dal veterinario.
Nella proprietà della famiglia, Giandomenico abita da solo. La sua vita domestica si svolge in pochi metri quadri, in una roulotte attrezzata davanti a una colonica che ha riscattato dai parenti e sta ristrutturando con i propri risparmi. «Sto qui – dice – dal 2021. Durante la pandemia non potevo muovermi, non riuscivo più a occuparmi dei cani abbandonati dai rispettivi padroni e quindi mi sentivo perduto, spento, impotente. Scelsi di trasferirmi in questo posto e mi rimboccai le maniche. Grazie all’aiuto di papà e mamma, realizzai spazi adeguati e una recinzione a prova di cinghiale. Con tanto sacrificio, creai le condizioni per rimanere a San Lorenzo insieme ai cani, una decina, che custodivo nel garage della casa dei miei genitori. Poi ne ho accolto molti altri. Da me è un viavai di cani, tra quelli che ricevo, quelli che recupero in giro e quelli che dono a persone sensibili. Credimi, sento di avere tutto: la gioia, la terra, un compito definito e una pienezza indescrivibile».
Giandomenico lavora in una clinica privata dalle ore 9 alle 17. La mattina, spiega, si alza alle 5, va a salutare i cani, verifica se stanno bene, li abbevera e ci dialoga. Ne ha imparato il linguaggio e si rapporta con gli sguardi, i gesti, i toni giusti. Sa capirli e farsi comprendere. Gli basta poco per interagire con loro, per intuirne stati d’animo e necessità. Dopo carica la macchinetta del caffè e si sistema per uscire. Al suo ritorno, verso le ore 18,30, il giovane ricontrolla i cani e interviene, se occorre, con antiparassitari e trattamenti di primo soccorso. Poi li fa mangiare e in seguito prepara la cena per sé. «Vado a dormire più o meno a mezzanotte, perché – precisa Giandomenico – i cani sono parecchi e non posso trascurarli. Nel tempo residuo, mi dedico alla coltivazione di ortaggi e consumo ciò che produco. Spendo i miei soldi per quest’opera del cuore e per ricuperare la colonica qui accanto. Nei fine settimana parto spesso per il Nord. In diverse città calabresi prelevo dei cani da affidare in adozione. Arrivo la domenica mattina a Bolzano, a Genova, a Milano e non solo. È la staffetta cui partecipo con altri volontari: viaggio con un camioncino, consegno i cani al nuovo padrone, rientro in Calabria, riprendo il mio furgone e rincaso. Sono almeno 2500 chilometri ogni volta».
La vita di Giandomenico è fatta di rinunce: agli amici, a una compagna, alle serate in comitiva, al successo, al denaro, al senso di vuoto. Il giovane preferisce la natura, l’agricoltura, un lavoro per campare e il servizio gratuito insieme ad altri volontari cinofili, pure di altre regioni. «Abbiamo costituito una grande rete di solidarietà. C’è chi mi spedisce sacchi di croccantini; chi – aggiunge il ragazzo – mi rimborsa parte delle spese affrontate per il cane che ha adottato; chi, con piccole ma utili donazioni, sostiene nel silenzio i nostri sforzi quotidiani. Non faccio conti. A livello economico ci perdo sempre, ma vengo compensato dall’affetto degli animali che vedi qui attorno».
Otto anni fa Giandomenico ebbe a Montescuro, nella Sila Grande, il primo incontro con un cane abbandonato. «Facevo il cameriere – ricorda – ed eravamo in piena stagione. Una cagnetta venne da me, non so per quale motivo. Forse presagì che l’avrei aiutata. Appariva morta di fame, malconcia, triste, disorientata. Mi entrò nel cuore, le procurai del cibo e infine l’adottai. Questa è la storia di Zoe. Molto più in là, con mia madre trassi in salvo una femmina di Corso abbandonata ed irrequieta che non voleva farsi avvicinare. Con calma e pazienza la rassicurai e la tenni con me. Dopo qualche mese, la portai in provincia di Bolzano, da una famiglia stupenda cui era morto un cane. Questi signori non volevano un sostituto, ma dopo un po’ si innamorarono della povera sventurata, la vollero a casa e la chiamarono Karma, non a caso. Ogni tanto vado a trovarli ed è una festa bellissima: loro sono felici, Karma fiuta il mio arrivo e comincia a correre ed abbaiare come se stesse ballando e cantando. È incredibile il sesto senso degli animali e ci fa riflettere su come siamo ormai ridotti, chiusi nella mondanità, nell’egoismo e nell’indifferenza del presente».
C’è ancora un’umanità da riscoprire, a portata di mano: al di là delle convenzioni e delle abitudini dominanti; appena fuori dal mercato, dai consumi, dagli inganni del mondo virtuale. (redazione@corrierecal.it)
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