COSENZA Ivan Barone e Francesco Greco sono entrambi coinvolti nell’inchiesta denominata “Reset“, coordinata dalla Dda di Catanzaro. Ed entrambi hanno deciso di avviare la collaborazione con la giustizia. Attività estorsive, spaccio di droga, stipendi per i reclusi appartenenti ai clan della mala bruzia: Barone entra in tutte le attività illecite commesse per conto degli “Zingari” di cui era un fedelissimo. Lo stesso pentito avrà modo di arricchire i verbali, resi dinanzi ai magistrati della Distrettuale, di particolari dettagli riferiti ad un segmento importante del business della mala bruzia: la gestione della security nei locali della movida.
Dell’argomento pare essere particolarmente informato anche Francesco Greco, neo pentito cosentino, che ha avuto modo di rendere (in tre distinti verbali) importanti dichiarazioni a chi svolge le indagini. «Posso riferire di tutti i dettagli correlati all’imposizione del servizio di sicurezza a tutti gli eventi organizzati nella provincia di Cosenza, nonché sul mare da San Lucido a Praia a Mare, su tutta la costa tirrenica. In alcune occasioni anche in talune località del reggino e del catanzarese», esordisce il collaboratore.
Francesco Greco tira in ballo il cugino Giuseppe Caputo (coinvolto nell’inchiesta “Reset”) «responsabile per la Calabria della società denominata “XXL Security” ha progressivamente assunto il monopolio di tale servizio grazie all’intervento di tutta l’associazione e, nello specifico, di Roberto Porcaro».
Nel periodo compreso tra il 2016 e il 2017, Giuseppe Caputo «spingeva con Roberto Porcaro per ottenere l’esclusiva di tali servizi, in tale periodo della sicurezza si occupava, con il benestare di Rinaldo Gentile, una società gestita da Ivan Montualdista (indagato nell’inchiesta “Reset”)», insieme ad altri due e prima di questi c’era un soggetto di Spezzano della Sila, «che aveva temporaneamente assunto tale servizio di sicurezza dopo il pentimento di Giuseppe Montemurro».
La questione della esclusiva sul prezioso e remunerativo servizio viene discussa in un locale a Rende. E’ lo stesso Greco ad elencare i nomi di alcuni presenti. «Partecipammo io, Mario Piromallo, Giuseppe Caputo, Ivan Montualdista» e altri due soggetti «nella quale Mario Piromallo propose che i servizi di sicurezza fossero affidati in parti uguali, tanto alla società di Giuseppe Caputo, tanto alla società di Ivan Montualdista, anche perché quest’ultimo era riconducibile al gruppo di Adolfo D’Ambrosio con il quale Renato Piromallo manteneva sempre ottimi rapporti». In quella occasione, il pentito avrà modo di apprendere da Ivan Montualdista «che questi aveva i meriti di ‘ndrangheta, ovvero era formalmente affiliato all’associazione, sebbene se io non sappia la dote specifica che gli era stata conferita».
Le cose cambiano quando Roberto Porcaro esce dal carcere. L’ex reggente del clan degli “Italiani” ed ex delfino di Francesco Patitucci, «impose direttamente l’esclusiva di tali servizi in capo a Giuseppe Caputo, scelta condivisa da tutti gli esponenti principali dell’associazione, ovvero Francesco Patitucci, Michele Di Puppo, lo stesso Mario Piromallo, Salvatore Ariello, Antonio Illuminato e i fratelli Abbruzzese». Il diktat imposto dall’alto spariglia le carte anche in relazione alla spartizione dei proventi. «Gli ingenti guadagni illeciti provenienti da questo settore venivano ripartiti tra tutti gli associati». Un affare per tutti. Da quel momento, secondo i racconti del pentito Francesco Greco «la società di Giuseppe Caputo veniva imposta ad alcuni locali e lidi di San Lucido, un lido a Torremezzo (…) un lido a Paola». La security garantita da Caputo avrebbe avuto vita facile grazie al presunto appoggio della mala ed addirittura «fu imposta, tra il 2017 e il 2018, a Celestino Abbruzzese detto “Micetto” (oggi pentito), il quale, gestendo, di fatto, una società di antitaccheggio nei supermercati avrebbe voluto estendere la sua attività di security anche nei locali. Tale imposizione, gli fu fatta direttamente dal fratello Luigi Abbruzzese, in presenza mia, di Giuseppe Caputo e della moglie di Celestino, Anna Palmieri (oggi collaboratrice di giustizia)». La cosa non andò giù a Celestino Abbruzzese, storico membro del clan dei “Banana” che cercò – senza successo – di incontrare Roberto Porcaro «per chiarire questa vicenda».
Non solo locali, il servizio di security gestito da Giuseppe Caputo sarebbe stato imposto anche nelle feste, più precisamente «a Marano, in occasione di una festa patronale», dice Francesco Greco. «Mi recai personalmente a Marano e li incontrai anche Ivan Barone che parlò direttamente con alcuni soggetti imponendo la società di Caputo per i successivi eventi». Il pentito è un fiume in piena. «Voglio precisare ancora, che l’esclusiva di Giuseppe Caputo si estendeva anche nei comuni da Fuscaldo a salire, fino a Praia a Mare». Ma quali erano i termini della presunta imposizione del servizio di sicurezza? «Imponeva il numero del personale da impiegare nel servizio e il prezzo da pagare per ogni singolo lavoratore, che, di fatto, era maggiorato della quota fissa che era destinata all’associazione, pari a 20 euro per singolo lavoratore impiegato».
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