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La scomunica ai mafiosi invocata dal Papa in Calabria «bloccata da un prefetto gesuita»

Fu ordinata da Bergoglio nel 2014 ma l’iter è sospeso. Monsignor Pennisi: «Il cardinale mi disse che il Vaticano non c’entra»

Pubblicato il: 01/10/2023 – 10:10
La scomunica ai mafiosi invocata dal Papa in Calabria «bloccata da un prefetto gesuita»

LAMEZIA TERME I tempi sono quelli di un’istituzione millenaria, dunque uno stop di qualche anno può sembrare un battito d’ali. Eppure quel monito risuonato forte da Cassato allo Jonio avrebbe richiesto una maggiore applicazione. Il 21 giugno 2014 papa Francesco utilizzò parole durissime, un’aggiunta a braccio nel suo discorso: «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati». Il monito risuonò nelle terre in cui si era consumato l’omicidio del piccolo Cocò Campilongo, ucciso dai killer e bruciato (a soli tre anni) qualche mese prima dalla ‘ndrangheta. 
A sette anni da quelle parole, il Vaticano comincia a dare forma a quell’anatema e crea il Gruppo di lavoro sulla scomunica. La data è simbolica: il 9 maggio 2021, giorno della beatificazione di Rosario Livatino, primo magistrato elevato agli onori degli altari nella storia della Chiesa. Quella commissione si riunisce per un anno, poi più niente. Lo ha raccontato nei giorni scorsi il Fatto Quotidiano in un servizio di Francesco A. Grana. Con l’eloquente testimonianza di monsignor Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale, nel giorno della morte di Matteo Messina Denaro: «Il Gruppo di lavoro sulla scomunica alle mafie è andato avanti per un anno dopo la sua nascita e poi è stato sospeso. Non è stato annullato, ma non siamo stati più riuniti. È cambiato il prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, il cardinale canadese e gesuita Michael Czerny, che guida l’organismo vaticano al cui interno è stato istituito questo gruppo. Una volta mi ha detto: “La mafia è una questione italiana. Cosa c’entra la Santa Sede?”. Gli ho risposto che è un fenomeno mondiale». 
Oltre a monsignor Pennisi, ricorda il Fatto, fanno parte del Gruppo di lavoro il filosofo Vittorio Alberti, officiale del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, come coordinatore, l’ex ministro Rosy Bindi, che dal 2013 al 2018 è stata presidente della Commissione parlamentare antimafia, don Luigi Ciotti, presidente di Libera, don Marcello Cozzi, presidente della Fondazione nazionale antiusura Interesse uomo, don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, Giuseppe Pignatone, ex procuratore della Repubblica di Roma e attualmente presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, e Ioan Alexandru Pop, officiale del Dicastero per i testi legislativi.
Pennisi non si spiega lo stop e racconta una parte del lavoro fatto: «Avevamo già pronta la bozza di un documento in cui dicevamo che il problema delle mafie non è solo meridionale o italiano, ma è mondiale e va contrastato, certo per quanto riguarda la Chiesa, dal punto di vista morale. Però è un problema che riguarda un po’ tutti, anche se le mafie sono diverse in altri Paesi. In molte di queste mafie c’è sempre un legame con la religione e quindi sarebbe stata importante una presa di posizione forte da parte anche della Chiesa universale. Comunque, il Papa diverse volte ne ha parlato con i suoi appelli. Però, poi, comminare la scomunica non competeva a noi, ma al Dicastero per la dottrina della fede. Ora che è stato nominato il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Víctor Manuel Fernández, vedremo cosa ne pensa lui». Sperando in tempi meno che millenari. (redazione@corrierecal.it)

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