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«Nel nord-est del Brasile ho trovato un pezzo della mia terra natia»

La serie sui calabresi all’estero – per scelta o necessità – inizia con una storia (a lieto fine) di disillusione: la storia di Roberto Grasso

Pubblicato il: 01/10/2023 – 6:56
di Eugenio Furia
«Nel nord-est del Brasile ho trovato un pezzo della mia terra natia»

La doppia narrazione è che il Brasile sia tra le economie emergenti (vai alla voce Brics: Brasile – appunto – Russia India Cina e Sudafrica) e però i brasiliani, come gli argentini, se possono scappano in Europa. Poi ascolti la storia di un calabrese da anni in terra carioca e ti convinci che le cose in Calabria non sono messe poi così male, soprattutto se si parla di disparità e sanità o istruzione pubblica. Roberto Grasso apre la serie “Calabrians”, dedicata ai calabresi che lavorano e vivono all’estero.  

• CHI È Roberto Grasso
Cosentino, classe 1977, laureato in filosofia all’Università della Calabria all’inizio degli anni zero, si è convinto a emigrare alcuni anni dopo, definitivamente disilluso e quasi trentenne, per inseguire borse di studio e opportunità professionali in ambito accademico. Seguendo un percorso decennale ricco di deviazioni e ripensamenti («dovuti anche a residui di antiche velleità nel campo delle arti visive»), ha collezionato qualche titolo di studio e alcuni lavori non qualificati nel Regno Unito, prima di ripartire per il Sudamerica. Attualmente vive e lavora stabilmente insegnando filosofia in un’università pubblica del nord-est del Brasile, dove scopre ogni giorno «nuove sorprendenti analogie con la terra natia».

Quando e perché ha lasciato la Calabria?
«Definitivamente nel 2007, dopo qualche piccola escursione fuori. Ho lasciato la Calabria per inseguire alcune opportunità, nello specifico una possibilità di fare un master all’estero con un finanziamento europeo tramite la Regione Calabria, per inseguire possibilità accademiche: la mia idea dall’inizio è stata cercare di riuscire a fare fuori quello che non sono riuscito a fare in Calabria, ossia seguire un percorso professionale accademico, diventare ricercatore o professore universitario. E dopo aver cercato di farlo seguendo il mio professore con cui avevo studiato all’Unical, resomi conto che comunque non c’erano possibilità e continuare ad aspettare un’opportunità non avrebbe portato a niente, dopo varie delusioni ho preso al volo questa opportunità e sono andato via: sono andato a fare un master che poi è diventato un dottorato con una borsa, questa volta del Regno Unito e non dell’Unione europea, in Scozia. Sono rimasto lì per quasi dieci anni. Dopo questi dieci anni sono di nuovo emigrato e sono andato in Brasile, sempre seguendo delle opportunità: stavolta era un progetto di una borsa post-dottorato in una università dello stato di San Paolo: Unicamp di Campinas. Da quel momento in poi in Brasile ho intrapreso questo percorso durato quasi quattro anni, dopodiché sono riuscito a vincere un concorso in un’altra università brasiliana e adesso vivo stabilmente nel nord-est del Brasile, che corrisponde economicamente e culturalmente a quello che è il Mezzogiorno in Italia. Mi ritrovo dopo vent’anni nel “sud Italia del Brasile” (ride)».

Rimpiange o le manca qualcosa?
Col senno di poi rimpiango di non essermene andato prima… Poi, certo, mi mancano varie cose: la prima è non poter parlare la mia lingua ed essere percepito sempre, immediatamente come straniero appena apro la bocca. Ma è una cosa a cui sono abituato, anche se devo dire che forse mi pesa di più con il passare degli anni: mi pesava di meno all’inizio perché era tutto nuovo. Un’altra cosa che mi manca, vivendo qui in Sudamerica, è il tipo di città europea dove c’è almeno una parte dove si può andare a piedi da un posto all’altro, quelle non sono città per me fuori scala. Parlo del tipo di città di impianto europeo, è un discorso non molto legato alla Calabria, in questo caso. Dico tutto questo senza includere cose più ovvie, come la mancanza e la lontananza sempre più grande di familiari e amici, beh questo penso sia ovvio ma vale la pena comunque specificarlo».

Cosa salva della Calabria?
«Ci sono tante cose che si possono salvare della Calabria: anche qui, ci sono gli aspetti più ovvi come la bellezza naturale, la tradizione culturale e gastronomica, ma in generale tante altre cose che noi nemmeno più percepiamo. Tanti problemi, certo, ma comunque all’interno di un Paese come l’Italia ricco e sviluppato, benché in decadenza: può sembrare assurdo ma è una società comunque meno squilibrata e con meno estremi tra ricchezza e povertà, come invece qui in Brasile. Molte cose che in Calabria non funzionano bene, funzionano comunque meglio che in Brasile e penso alla sanità pubblica o all’accesso all’istruzione superiore. Alla fine io non posso lamentarmi di aver potuto studiare in un ateneo come l’Unical, o della formazione pubblica che ho potuto avere in Calabria. Ci sono tante cose da salvare e credo che sarebbero delle ottime basi per costruire una realtà ancora migliore».

Cosa non le piace del posto dove vive adesso?
«Il Brasile è un posto di estremi, come ho già detto. È stancante, a meno che tu non viva in una bolla completamente avulsa dalla realtà. Povertà e difficoltà economiche le vedi abbastanza da vicino, è un Paese molto problematico, un posto complicato. Io ci vivo bene perché ho un lavoro pubblico ben pagato per gli standard di qui. Ripeto: molte delle cose per cui in Calabria ci lamentiamo, qui esistono in maniera molto ma molto più estrema. Ci ho pensato varie volte e ho trovato ironico che qui ho rivissuto alcuni dei problemi – ma ancora più accentuati – che mi avevano spinto ad andarmene dalla Calabria. Da questo punto di vista direi che è la cosa che mi piace di meno del posto in cui vivo adesso».

Tornerà stabilmente in Calabria?
«Tornare di passaggio? Almeno una volta l’anno, anche se con la pandemia tutto è stato reso tutto più difficile. Tornare stabilmente, beh, non riesco a immaginarlo perché ci ho messo davvero troppo tempo per trovare una stabilità professionale ed economica nell’area che dopotutto, anche se dopo ripensamenti e incertezze, era quella in cui volevo lavorare ovvero l’ambito accademico. Davvero non riesco a immaginare di poter avere qualcosa di simile in Calabria. Forse sono io che non ho abbastanza fantasia, ma anche immaginando di tornare tramite misure di cui ho sentito parlare come leggi che agevolano il cosiddetto ritorno dei cervelli, si tratta comunque di entrare in una competizione con persone magari più giovani, preparate e motivate e con un curriculum migliore: è qualcosa che ho dovuto fare per tanto tempo e credo di non avere neanche l’energia per provarci, adesso, e forse non ho neanche l’intenzione di provarci, specialmente per tornare in Calabria. Al netto delle cose che mi mancano in Calabria e in generale dell’Europa e nonostante ciò che non mi piace del posto in cui vivo adesso, non penso di tornare e probabilmente rimarrò qui almeno per la mia vita professionale, poi si vedrà… La pensione è un futuro che mi sembra troppo lontano per pensarci ora».

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