COSENZA L’uomo delle bottigliette incendiarie, ma non solo. Un fedelissimo pronto ad eseguire gli ordini impartiti dal boss Roberto Porcaro, ex reggente del clan degli “Italiani”, interessato a riscuotere i crediti dai debitori piegati da prestiti a tassi usurai, ad imporre il pagamento della tassa non dovuta agli imprenditori reticenti. Francesco Greco, coinvolto nell’inchiesta “Reset” (oggi pentito) ammette di essere stato il braccio destro del boss che invece ha deciso di interrompere il proprio percorso di collaborazione con la giustizia. «Posso riferire di una serie di atti intimidatori a scopo estorsivo che ho
commesso insieme a Roberto Porcaro (…) posizionando una bottiglietta incendiaria davanti agli esercizi commerciali», suggerisce Greco.
Il racconto viene impreziosito da dettagliati particolari. «Si procedeva con una serie di segnali di crescente gravità fino a quando non si otteneva risposta dalla vittima designata. Il primo atto consisteva nella collocazione della bottiglietta incendiaria, in assenza di risposta da parte del commerciante il secondo passaggio era incendiare l’autovettura. Laddove neanche questo secondo segnale avesse ottenuto risposta da parte della vittima si procedeva al compimento di atti molto più gravi, ad esempio ricordo che Porcaro come indicazione generale ci diceva che avremmo dovuto avvicinare le vittime designate minacciandole con armi e con il volto travisato». E ancora: «Porcaro mi accompagnava con la macchina e io posizionavo la bottiglietta. Voglio precisare che le bottigliette venivano preparate nel garage dell’abitazione di Porcaro; venivano utilizzati gli scooter per fare rifornimento di benzina».
Il messaggio da recapitare agli imprenditori reticenti nel concedere una quota dei loro incassi ai malandrini cosentini era chiaro: “mettetevi a posto”, pagate!. Il pentito elenca le numerose attività interessate dalle minacce: stazioni di rifornimento, pizzerie, negozi di elettrodomestici, una rivendita di escavatori, un negozio di vestiti per bambini, un centro di fisioterapia, un allevamento di lumache non solo a Cosenza ma anche nell’hinterland bruzio. Non c’era attività commerciale o impresa che il clan non mettesse nel mirino, d’altro canto quanto dichiarato dal boss Francesco Patitucci, oggi al 41 bis, è eloquente: «A Cosenza tutti devono pagare, anche gli uccelli che volano». Le richieste di denaro pervenute agli imprenditori sono molteplici e spesso sono le stesse vittime del racket del pizzo a chiedere lumi su quale sia il clan a cui corrispondere il danaro. Il collaboratore di giustizia cita il caso del proprietario di una pizzeria di San Fili e di una stazione di rifornimento «i rispettivi proprietari sin sono rivolti ai Calabria di San Lucido per sapere a chi avrebbero dovuto versare il provento estorsivo ed i Calabria gli indicavano Roberto Porcaro».
Francesco Greco avrebbe anche svolto il ruolo di portatore di “mbasciate“, termine utilizzato nel gergo criminale e che assume molteplici significati: messaggi, notizie o minacce. Questo, ad esempio, il caso citato dal pentito. «Ho poi portato l’imbasciata di “mettersi a posto” ad alcuni operai impiegati sulla statale 107, nei pressi del cimitero di Cosenza, nonché agli installatori delle luminarie a Cosenza».
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