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Lamezia e i rom di Scordovillo: storia di promesse e fallimenti – VIDEO INCHIESTA

Promesse mai mantenute, rischi ambientali e sociali, sgombero e risistemazione “impossibili”. E in mezzo tanti fallimenti della politica

Pubblicato il: 04/10/2023 – 14:02
di Giorgio Curcio
Lamezia e i rom di Scordovillo: storia di promesse e fallimenti – VIDEO INCHIESTA

LAMEZIA TERME «Il mio nome è Massimo, il cognome è uno di quelli che quando ti presenti alle volte sembra che si chiudano le porte». «Il problema c’è, esiste, non lo vogliamo nascondere ma spesso, anche se sei riuscito ad integrarti, il passato ritorna». Una considerazione tanto amara quanto reale, frutto dell’esperienza vissuta in prima in persona, quando il peso del nome e del pregiudizio rischiano di affossare sogni e prospettive. Il racconto è di Massimo Berlingieri, cittadino rom che, dal campo di Scordovillo, è riuscito a costruirsi da zero un futuro inimmaginabile.

È lui uno dei protagonisti della puntata di “Calabria dell’altro mondo”, il format di inchieste de “L’altro Corriere Tv”, incentrata sulla storia, il passato e il futuro del più esteso campo rom del Sud Italia, quello di Scordovillo a Lamezia Terme. Quella di Massimo è una storia di perfetta integrazione, una rara ma preziosa eccezione. La testimonianza del successo dell’impegno della Comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza, risalente ad oltre vent’anni fa. «Le condizioni di povertà in cui vivono comunque li ha tenuti sempre ai margini» ci ha spiegato Marina Galati della Comunità Progetto Sud. «Loro poi sono differenti dai sinti o dall’etnia rom che viene dalla Romania. La loro è un’altra situazione, un’altra generazione, sono nati già come cittadini italiani».

L’esperienza Comunità Progetto Sud

«Abbiamo fatto un lavoro di ricerca – spiega Galati – abbiamo chiesto ad alcuni cittadini di Lamezia Terme quanti, secondo loro, fossero gli abitanti del campo, e quasi tutti avevano un’idea che fossero almeno 2mila, se non di più, persone mentre abbiamo scoperto che in realtà, all’epoca, non erano che poco più di 600 persone». «Siamo stati catapultati, insieme ad alcuni giovani, nel campo rom anche se io, personalmente, avevo anche un po’ paura. Poi una suora un giorno ci ha portato lì dicendoci che c’era da lavorare e da lì in poi è nato, come volontariato, il doposcuola. Abbiamo cominciato con i bambini più piccoli, quindi c’era molta diffidenza da parte degli adulti, però piano piano, grazie anche alla suora, siamo riusciti ad entrare nel campo e acquisire una certa fiducia da parte degli adulti».

Nasce così l’esperienza “Ciarapanì” e ce la racconta Antonio Rocca. «La prima attività che è stata fatta sono state le vaccinazioni perché nessuno era vaccinato. Poi, nel tempo, c’è stata la possibilità di ricevere alcuni contributi, quindi, è diventato a tutti gli effetti un progetto di inserimento nella scuola dell’obbligo». «Abbiamo fatto anche una serie di sperimentazioni perché la cooperativa “Ciarapanì” nasce appunto con una composizione di giovani di etnia rom e no, ma tutti erano cittadini di Lamezia Terme». «Una scommessa – racconta Gaetano Nicotera – tra l’altro anche sul parcheggio dell’ospedale di Lamezia Terme, dove prima i rom rubavano. Poi, alla fine, ne sono diventati custodi però sempre con progetti in autofinanziamento, in project financing». «L’accordo con l’Asp di Catanzaro era che avremmo recuperato nel tempo l’investimento che noi facevamo. Abbiamo avuto dei problemi iniziali, però dopo ha funzionato, a tal punto che ancora oggi siamo forse gli unici fornitori che stanno all’interno dell’ospedale».

L’esperienza Gianni Speranza

A ripercorrere la storia è Gianni Speranza, ex sindaco di Lamezia Terme per due mandati dal 2005 al 2015. «All’inizio, queste comunità erano arrivate e stavano lungo il Torrente Piazza, a Nicastro. verso giù. Stavano lì in condizioni malsane, bastava una inondazione e le persone morivano, c’erano delle baracche, e così li hanno spostati a Contrada Scordovillo che doveva essere una soluzione provvisoria. Parliamo comunque di persone italiane, hanno avuto e hanno la cittadinanza italiana da generazioni, però vivono ancora in condizioni terribili». Ma è proprio l’ex primo cittadino lametino a mettere in guardia la città, ma anche la politica: «A parole tutti diciamo che la questione è che non possono stare lì a Scordovillo, ma perché non stiano a Scordovillo bisogna trovare il modo di sistemare queste persone in altri luoghi, in altri posti. E voglio dirlo ai tanti cittadini e soprattutto a chi fa politica che spesso dice bugie, diciamo invece la verità: non è che possiamo dire che svaniscono nel nulla, che li mettiamo in altri comuni, che li cacciamo da Scordovillo e che li mettiamo a 50 km da qui in un’altra città, in un altro Comune. Non è così. Se noi siamo convinti, come io sono convinto, che il problema più drammatico è che stiano lì, perché c’è l’ospedale, perché c’è il centro abitato, perché ci sono gli ingenti e perché ormai quel terreno è tossico, dobbiamo cercare di trovare un modo per farli uscire da lì».

L’affondo, poi, dell’ex sindaco Speranza: «Questa cosa delle case popolari in città è una delle più illegali e più abusive. A Lamezia non si finiscono le case popolari e non si assegnano perché c’è la teoria, e scusate se lo dico in dialetto, che “le case chi è più forte le va a sbundare” (ad occupare con la forza ndr). Per Speranza, dunque, «uno degli insuccessi che noi abbiamo avuto per esempio e che noi abbiamo messo in moto un’iniziativa che era iniziata sotto amministrazione Lo Moro, cioè delle case vere e proprie che avevano per destinazione gli sfollati rom per legge che si stavano costruendo sotto “Capizzaglie”. All’inizio erano più di 34-35 case, adesso man mano si sono ridotte, il cantiere era bloccato, abbiamo fatto in modo con la giunta regionale di riprendere questo cantiere ma, appena abbiamo fatto questo discorso, piano piano in città, tutti hanno iniziato a protestare. Sapete come è finita? Che lì, mentre il cantiere andava avanti, hanno occupato le case altre persone, alcune anche con la fedina penale molto sporca». 

L’errore (riconosciuto) di Mascaro

Ma è lo stesso sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro, ad ammettere che la vicenda di Scordovillo è di difficile soluzione, ammettendo anche qualche errore in campagna elettorale. «Anche io – spiega – non avevo colto come tanti la percezione vera del problema quando si parlò di un possibile sgombero entro un anno. Io feci quella avventata, lo riconosco, dichiarazione. Una errata, lo riconosco, dichiarazione, perché interloquendo coi vertici dell’Aterp avevo avuto comunicazione scritta dell’esistenza di 152 alloggi che sembravano essere non abitati e, errando, avevo pensato che quelle che allora erano, mi pare, 101 famiglie rom, potevano essere distribuite in quelle abitazioni». «Da un lato il presupposto nel 2015 comunicatomi da Aterp era errato, perché andando poi a verificare questi immobili, o erano occupati da chi aveva regolarizzato l’occupazione o erano occupati abusivamente ed erano distrutti e inagibili e quindi, in realtà, non c’erano in realtà se non forse uno, due, tre alloggi all’epoca, quindi già era errata la premessa». «Ma – ammette Mascaro – se anche la premessa non fosse stata errata, a mio parere non è neanche quello il modo di risolvere il problema». «Questo è un problema che si può risolvere quando si capisce che non è un problema di natura edilizio, o di natura militare. Non è un problema che si risolve realizzando altra “Ciampa di Cavallo” o andando a radere al suolo il campo rom. Questa è una tematica che si può risolvere, davvero, senza creare problemi a chi oggi vive in condizioni inaccettabili, ma anche a chi vuole continuare a vivere secondo ordinarie regole di convivenza civile, c’è bisogno di tutti».  

Furgiuele: «Massima disponibilità dagli uffici di governo»

«Quante sono le famiglie che storicamente si sono ritrovate ad essere stanziate a Scordovillo per via di una vicenda che risale agli anni ‘70? Quindi, quanti hanno avuto il diritto di stare lì e quante altre invece nel tempo, poiché impunite le prime, si sono trasferite da Rosarno, da Reggio Calabria, da Bovalino, persone che non sono nate a Lamezia Terme ma che si sono stanziate a Scordovillo mentre le amministrazioni provavano in certo qual modo ad assegnare qualche casa popolare, ma immediatamente i container, le baracche di Scordovillo venivano riempite da questi che venivano da fuori città?». Questo, invece, l’interrogativo posto da Domenico Furgiuele, deputato (lametino) della Lega. «È una problematica che – ha raccontato – nasce sotto questa spinta di cooperative, associazioni che non hanno fatto nient’altro nel tempo che sprecare risorse pubbliche, è lo Stato ed è la Procura della Repubblica che lo certifica. Questo excursus storico non è che vuole essere utilizzato dalla Lega come alibi, la Lega negli ultimi 5 anni, soprattutto con la mia presenza, ha messo a disposizione anche di questa amministrazione che non è stata sostenuta dalla Lega, tutti quelli che erano gli uffici parlamentari e tutti gli strumenti che poteva avere a disposizione. Bisogna che l’amministrazione territoriale intraprenda un percorso perché la Regione ha dato disponibilità di risorse ma è l’amministrazione territoriale che deve dire dove le vuole impiegare e che progetto ha». E ancora: «C’è un prefetto che deve prendersi le sue responsabilità come organo prossimo e rappresentante primo dello Stato anche sul territorio di Lamezia Terme, perché anche questa città è provincia di Catanzaro. E poi le forze dell’ordine che ringraziamo quotidianamente, che probabilmente sono sottodimensionate, ma che devono essere messe nelle condizioni di poter operare nei migliori dei modi, magari con più incisività».

I cittadini

Un moto di protesta è nato, da qualche anno, anche tra i cittadini lametini, specialmente tra i più giovani. L’episodio scatenante, uno degli ultimi roghi i cui fumi tossici hanno letteralmente investito il confinante ospedale dal campo di Scordovillo. «Stiamo parlando di un ghetto, perché di fatto si tratta di un ghetto – ci racconta il portavoce Fabrizio Basciano – e le logiche dei ghetti sappiamo che non sono mai utili alla vita collettiva. I ghetti non partoriscono mai cose buone, che sta nel pieno centro urbano di una città e all’interno del quale succedono, accadono di continuo attività illecite di vario genere che hanno delle ricadute pazzesche. Pensiamo a questo ospedale, pensiamo al fatto che ci sono i malati oncologici, pensiamo che questi fumi arrivano addosso a loro e a tutti gli altri malati. Uno degli ultimi roghi è capitato anche in occasione dell’infortunio del cantante degli ex Spandau Ballet, insomma, anche lui diciamo è capitato nel mezzo di uno di questi roghi tossici, quindi, non è neanche una bella pubblicità per la città».

Salvatore Curcio e Nicola Gratteri

Le operazioni giudiziarie

Sullo sfondo, episodi di illegalità all’interno del campo rom (con il sostegno di cittadini lametini che vivono all’esterno), così come suggellato da due operazioni di polizia giudiziaria del 2018 e del 2021. La prima “Zona franca” coordinata dal procuratore di Lamezia Terme, Salvatore Curcio, e “Quarta chiave” coordinata, invece, dal procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri. Nel primo blitz erano state emesse 39 misure cautelari, di cui 5 in carcere e 34 divieti di dimora. In quel caso Curcio aveva sottolineato che «l’ufficio di Procura di si è mosso per tutelare la salute pubblica. È paradossale che l’attività ospedaliera del nosocomio di Lamezia Terme abbia dovuto subire delle vere e proprie interruzioni cagionate dai fumi che che derivavano dai fuochi che venivano continuamente accesi». Ancora più duro il commento in conferenza stampa del procuratore Gratteri nel 2021: «Questo per loro è un modus vivendi, un modo di vivere normare. Normale è delinquere, normale è inquinare in modo pesante ettari di terreno del Comune di Lamezia Terme e paesi limitrofi. Per loro è normale incendiare. Abbiamo ettari di territorio inquinati in modo quasi irreversibile perché c’è una penetrazione profonda nei terreni anche di metalli pesanti che non so quali conseguenze potrebbero avere sul piano ambientale. Sicuramente abbastanza importanti e invasive». (g.curcio@corrierecal.it)

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