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SETTE GIORNI DI CALABRESI PENSIERI

La Camera Penale di Napoli ammonisce Gratteri al grido di: «Noi non siamo la Calabria»

Dalla triste pagina scritta dai penalisti partenopei al racconto stereotipato di San Luca al tg1 fino ai “sogni dell’imperatore” infranti di Calopresti dopo il niet di Santo Versace

Pubblicato il: 07/10/2023 – 6:57
di Paride Leporace
La Camera Penale di Napoli ammonisce Gratteri al grido di: «Noi non siamo la Calabria»

Nicola Gratteri lascia la Calabria e dice: “Potevamo fare di più”. Napoli, nuova sede di lavoro nella Procura più grande d’Europa, lo attende e molti hanno già il coltello tra i denti. De Magistris, ex magistrato e politico che conosce Calabria e Campania, dagli studi televisivi del nostro Corriere ha mandato il suo consiglio: «Napoli non va giudicata bisogna capirla» e con tanto di citazione di Pino Daniele lo ha invitato all’ascolto della città. Gratteri (nella foto in copertina di Agi) nella nuova sede non trova la tifoseria calabrese. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato una sola lettera per far uscire un titolo a sostegno. A Napoli il sentimento comune diffuso, oggi, è di dire basta a “Gomorra” e “Mare fuori” per far emergere il sentimento positivo che c’è nella capitale del Mezzogiorno.
E che la sfida sia difficile si è compreso dal documento della Camera Penale di Napoli che nero su bianco a chiare lettere ha messo le mani avanti all’arrivo del nuovo procuratore. A leggerlo bene è anche qualcosa di più: «avremmo preferito un profilo diverso, meno operativo/militare poiché il problema- a Napoli forse più che altrove- non è fare tabula rasa del passato, quanto la capacità di comprendere e governare la complessità». Oltre agli elogi verso i predecessori Melillo e Volpe, ritorna anche qui il tema del comprendere ma emerge anche la questione dell’”altrove”. Poca attenzione dai media a quella che a tutti gli effetti una dichiarazione di guerra manifesta dei penalisti partenopei. Forse, anche per questo, è sfuggita un’analisi antropologica che dipinge una Calabria diversa da Napoli nella prosa dei penalisti là dove si invita Gratteri ad evitare «schemi e visioni che mal si attanaglierebbero ad una realtà napoletana».
L’argomentazione dei penalisti partenopei è che Napoli è una metropoli europea «protesa verso un futuro che si auspica sempre più radioso” con un non scritto che la oppone alla derelitta Calabria. E se il male fa parte del passato o di quello che si sta risolvendo, si pigia poi sui tasti del computer quasi fosse una tromba di Miles Davis mettendo in rilievo “un tessuto sociale fatto di cittadini, professori, professionisti, imprenditori ed associazioni, ed una parte non irrilevante del ceto politico che ha ben operato, con onestà, Impegno e competenze».
Guai a Gratteri, si legge nel documento, a dipingere la Campania e Napoli «come un coacervo di interessi opachi e di logge criminali e/o massoniche in grado di orientare sensibilmente la vita economica e politica della città». Niente manette facili qui dicono gli avvocati napoletani. I quali, pur elencando le torsioni e i conflitti di Gratteri con i colleghi calabresi sostengono che il nuovo procuratore «abbia sufficiente intelligenza e cultura per comprendere la specificità di ogni singolo territorio e di ogni regione, evitando di riproporre schemi e visioni che mal si attanaglierebbero ad una realtà come quella napoletana». Una triste pagina di antropologia criminale quella scritta dai penalisti partenopei. Mandano a dire al magistrato: Napoli non è la Calabria. Liberi di sostenere le loro ragioni, bene per quello che mi riguarda la difesa del garantismo, ma questo tipo di analisi sulla Calabria rasentano quasi Lombroso. Napoli non è Zurigo. Tra l’altro anche in Svizzera come a Londra un Gratteri avrebbe da indagare.

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Ha destato rabbia e contrarietà il servizio del TG1 di domenica scorsa alle 20 (il più visto in Italia) che ha messo in racconto la stereotipata San Luca della ‘ndrangheta e della caccia ai latitanti (che ormai si nascondono in giro per il mondo). Ha scritto una lettera al direttore di testata Chiocci, il sindaco di San Luca, Bruno Bartolo dicendosi: «deluso per come è stato rappresentato il mio paese»”, invitando il TG1 a raccontarne la rinascita ascoltandone anche amministratori e cittadini onesti. Una lettera che segue il cliccatissimo intervento sul Corriere della Calabria di don Ennio Stamile che sullo stesso servizio ha scritto di «solito cliché della Calabria retrograda, governata dalla ‘ndrangheta e senza speranza». Don Ennio ha calcato l’analisi sulla latitanza dello Stato non mancando di far notare che l’autore del pezzo ha anche “bucato” la recente visita a San Luca del ministro Valditara, il quale, insieme a molte forze sane sta lavorando ad un progetto di rinascita che parta dalla scuola del territorio. Don Stamile è persona al di sopra di ogni sospetto essendo rettore dell’Unirmi, istituzione che si preoccupa di approfondire e studiare il fenomeno della ‘ndrangheta in ogni suo aspetto. Cassazione sul servizio il post di Facebook del giornalista Domenico Nunnari, grande carriera in Rai, che ha vergato queste parole: «Il Tg1 che racconta come uno spot il lavoro dei carabinieri a San Luca. Dov’è la notizia? Una vergogna prodotto di un giornalismo colonialista». E’ evidente che il servizio era solo un piacere da rendere ai Cacciatori dei carabinieri, qualificate fonti di territorio, che si poteva meglio equilibrare con il nuovo che c’è. Al sindaco di San Luca, a don Ennio Stamile, e a Mimmo Nunnari il nostro “dieci” per coraggio e onestà intellettuale.

Don Ennio Stamile
Don Ennio Stamile

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Se parli di San Luca è riflesso pavloviano positivo citare Corrado Alvaro. Apprendo che stasera a Vallerano in provincia di Viterbo si celebra in piazza il poeta, lo scrittore, lo sceneggiatore e giornalista calabrese, perché Alvaro è seppellito in quel cimitero e in quel paese aveva una casa di campagna. Sia lodato chi esercita la Memoria; confesso sconforto che in Calabria si sia ignorato la petizione che chiedeva l’intitolazione del maggior aeroporto regionale al grande Corrado Alvaro.

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Una buona notizia dal carcere di Catanzaro. Catello Romano, varie condanne tra le quali quella dell’omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino nella sua Castellamare di Stabia (a proposito di criminalità campana), si è laureato a pieni voti in Sociologia con la tesi “Fascinazione criminale”. Una ricerca sul campo considerato che Romano analizza il suo percorso camorristico, persino confessando nelle pagine tre suoi omicidi, e la tesi ora è finita sul tavolo dei magistrati. Catello, che aveva infranto un percorso di collaborazione con la giustizia, si riscatta ora con l’analisi sociologica. A Catanzaro è nato il pentito intellettuale.

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Un sogno infranto quello della docufiction “I sogni dell’imperatore” realizzato dal regista Mimmo Calopresti sul grande Gianni Versace. Il film accettato alla Festa del Cinema di Roma doveva concludere la manifestazione con un evento glamour in cui erano già coinvolte Naomi Campbel e Carla Bruni che sicuramente avrebbero ben figurato con un re della moda come Anton Giulio Grande, il quale con la sua Calabria film commission aveva molto puntato su questa promozione. La direttrice della Festa Paola Malanga, su richiesta di Santo Versace, fratello dello stilista ha deciso il ritiro. Perché? Versace ha sostenuto finanziariamente l’opera con mezzo milione di euro con la sua casa di produzione Minerva, ma aveva anche dato materiali inediti sul fratello e il nome della celebra maison. Man mano si è ritirato, chiedendo prima di levare il nome di Gianni e il marchio e infine dissociandosi dal film che ha determinato l’esclusione dal cartellone romano.
La convulsa vicenda rivelata da Calopresti ai giornali ha molto danneggiato la casa di produzione capofila la Qualityfilm che ha investito molti soldi nel progetto e non si può permettere investimenti a perdere a differenza del ricco Versace. Incolpevole la Calabria Film Commission che stava già costruendo l’evento di lancio e che bene farebbe a recuperare in forma autonoma fuori dalla kermesse magari spostando un eventuale prima a Milano. Da fonte qualificata di ambienti molto vicini alla governance della Festa del cinema di Roma il Corriere della Calabria apprende che il lavoro di Calopresti apprezzato in prima battuta, sarebbe stato poi bocciato per una sua rappresentazione poco consona alle aspettative glamour e spettacolari che il film aveva creato. Troppo prodotto autoriale e poco sartoriale? Oppure Santo Versace, che tace con i giornalisti, come ha denunciato Calopresti vorrebbe utilizzare i materiali di famiglia in un’altra opera dedicata al celebre fratello? Per il momento si intravedono schiere di avvocati all’orizzonte che si contenderanno diritti d’autore e ragioni. Peccato che un bel progetto calabrese sia stato affondato da un calabrese come Santo Versace, il quale si può permettere di bruciare mezzo milione di euro sul falò della vanità determinando un “final cut” senza precedenti.

Mimmo Calopresti
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