ROMA «Sono ormai trascorsi quattro mesi dalla scomparsa di Nuccio Ordine, che molti lettori ricorderanno per i suoi numerosi contributi pubblicati nelle pagine culturali di questo giornale». Così l’ex premier Giuseppe Conte sulle pagine del Corriere della Sera ricorda il filosofo cosentino e docente dell’Unical scomparso il 10 giugno scorso a Cosenza. «Superato lo sgomento per la perdita così improvvisa di colui che per me è stato anche un caro amico – scrive il leader del Movimento 5 Stelle – capace di regalarmi lunghe e piacevoli conversazioni, diventa adesso importante riflettere sulla sua eredità culturale».
Per Conte, «Nuccio Ordine non è stato solo una litterata persona, amante dei classici del pensiero filosofico e letterario, tra i più profondi conoscitori — a livello internazionale — della cultura rinascimentale. È stato uno studioso che ha espresso anche una forte coscienza civica e ha dimostrato una profonda cultura politica».
«La sua concezione – ricorda ancora l’ex premier – è stata genuinamente «umanistica», basata sulla convinzione che le riflessioni degli antichi e dei grandi pensatori sono indispensabili se vogliamo recuperare una linea di sviluppo della società non schiacciata unicamente sulla crescita economica e non piegata alla logica imperante del profitto, del pragmatismo esasperato, di un frettoloso e distratto consumismo».
Dopo aver ricordato che «ha tenuto corsi e seminari negli atenei e nei centri di ricerca più prestigiosi al mondo» Conte sottolinea come «il centro gravitazionale del suo insegnamento e della sua vita è rimasto sempre nella sua terra, nell’Università della Calabria, dove ha formato migliaia di studenti calabresi trasmettendo loro l’amore per la cultura, per il pensiero critico quale motore dello spirito, della creatività, dell’arte, della verità».
«Amava ripetere – aggiunge nel suo lungo intervento sul Corriere della Sera – che la civiltà di un Paese si misura dai presidi culturali che sono indispensabili per migliorare la qualità del sapere e della conoscenza, anche a prescindere dalla loro capacità di generare ritorni economici. Non si è mai rassegnato alla riduzione della società, della vita intera a una dimensione meramente “economicistica”. Non ha mai accettato il fatto che ciò che è gratuito, che è fuori da una logica disinteressata, conti sempre meno, mentre—al contrario—tutto ciò che è suscettibile di valutazione economica abbia un rilievo assorbente».
«È stato – ricorda Conte – un maestro degli “attraversamenti”, formula con cui lui stesso racchiudeva la capacità di “muoversi in maniera trasversale tra le più diverse discipline”. Ha sempre avuto chiaro il rischio di chiudersi nella iperspecializzazione, che genera la frammentazione della conoscenza e finisce per oscurare la funzione unitaria del sapere».
Per l’ex premier, il docente dell’Unical, «ha espresso una lucida visione “politica”, in cui si coglieva l’eco della vibrante militanza politica, fortemente contestatrice, svolta negli anni della gioventù. Le sue riflessioni contro le logiche di austerità costituiscono un chiaro manifesto politico».
E a questo proposito Conte ha ripreso un passo tratto da “L’utilità dell’inutile” del filosofo cosentino: « … non è vero che le oscillazioni dello spread possono giustificare la sistematica distruzione di ogni cosa considerata inutile con il rullo compressore dell’inflessibilità e del taglio lineare alla spesa… Il farmaco della dura austerità, come hanno osservato diversi economisti, anziché risanare il malato lo indebolisce ancora di più inesorabilmente».
E ancora: «Senza chiedersi per quali ragioni le aziende e gli Stati si siano indebitati … i molteplici registi di questa deriva recessiva non sono per nulla turbati dal fatto che a pagare siano soprattutto la classe media e i più deboli, milioni di essere umani innocenti espropriati della loro dignità»
Secondo Conte, «in questa riflessione non vi era nessuna furbizia nel voler sfuggire alla responsabilità di tenere in equilibrio i saldi della finanza pubblica. Piuttosto la consapevolezza di una politica economica e sociale che mirasse a garantire una prospettiva di benessere integrale della persona».
«È per questa ragione – spiega Conte – che si scagliava contro la logica predatoria di “molte aziende (che hanno goduto, per decenni della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite) [che] licenziano gli operai, mentre i governi sopprimono i posti di lavoro, l’istruzione, l’assistenza sociale per i disabili e la sanità pubblica».
E così descriveva la dittatura del profitto ricorda infine nel suo articolo Conte: «Il diritto di avere diritti viene, di fatto, subordinato al dominio del mercato, con il rischio progressivo di cancellare qualsiasi forma di rispetto per la persona. Trasformando gli uomini in merce e in denaro, questo perverso meccanismo economico ha dato vita a un mostro, senza patria e senza pietà, che finirà per negare anche alle future generazioni qualsiasi forma di speranza».
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