Come si vive in un lembo di terra dell’Italia estrema? Quali sono i bisogni, i desideri e i sogni degli abitanti dei paesi delle aree interne? Quale futuro si immagina per luoghi sempre più demograficamente rarefatti? C’è ancora speranza per i “restanti” della Calabria marginalizzata?
A guardarci intorno la tragedia sembra sovrastare la speranza: una sanità commissariata da decenni, la scuola degli ultimi in classifica, la viabilità e i trasporti che ostacolano la mobilità dei residenti, una politica miope ingabbiata in bandi pubblici che erogano finanziamenti destinati a costruire bisogni più che a soddisfare quelli esistenti.
Il lavoro di ricerca sul campo realizzato da un gruppo multidisciplinare di ricercatori del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università della Calabria, coordinato da Domenico Cersosimo e Sabina Licursi, in collaborazione con il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della Regione Calabria, da cui è nato Lento pede. Vivere nell’Italia estrema (Donzelli 2023), si offre come un utile strumento per suscitare domande per quanti abitano paesi che sembrano predestinati all’estinzione e soprattutto per i decisori pubblici che dovrebbero aver a cuore il vasto universo di luoghi e comunità locali colpevolmente abbandonate a sé stessi.
Il Circolo di cultura “Tommaso Cornelio” di Rovito ha visto in Lento pede un’interessante chiave di lettura del proprio territorio e degli ambiti di intervento che caratterizzano la sua missione civile e culturale.
La definizione di Calabria come “Italia estrema” e la proposta di dare voce a chi è già in cammino nella prospettiva di manutere e rafforzare il capitale sociale attraverso una funzione latu senso educativa, hanno spinto il Circolo ad aprire un confronto con gli autori che, con il loro lavoro di ricerca, ci hanno aiutato a meglio qualificare il ruolo di associazioni come la nostra: un corpo intermedio orientato a veicolare visioni e desideri delle comunità in cui opera, oltre a provare ad offrire soluzione ad alcuni delle emergenze sociali più acute, in particolare per le persone più fragili e vulnerabili (bambini, immigrati).
L’incontro di presentazione di Lento pede del 6 ottobre scorso, alla Libreria Ubik di Cosenza, è stato un piccolo esempio di come Università, Istituzioni e comunità civile sono capaci di dialogare e di confrontarsi in una fase di transizione definita nel libro dal prof. Fulvio Librandi del “non ancora”, una relazione temporale tra il presente e un potenziale dopo, in cui la narrazione dei vissuti dei restanti consente loro di riorientarsi.
Nel corso del confronto è emersa proprio la necessità di creare anche spazi istituzionali analoghi all’interno dei quali far convergere letture adeguate dei territori, tutti all’apparenza simili, ma ognuno con le proprie peculiarità; territori che meritano politiche condivise con e per le persone nei luoghi, politiche in grado di stimolare l’azione di Governo in un’ottica di cura dei territori e dei loro abitanti e non dell’assistenzialismo. «Siamo terra di bisogni, non di bisognosi», è stato detto nel corso dell’incontro. Già da questo si comprende il cambio di paradigma necessario per ripensare al futuro della Calabria e al ruolo della politica locale e nazionale, con particolare attenzione alle aree, come quelle interne, deprivate di servizi di cittadinanza e di rappresentanza.
Lento pede, a parere del Circolo, è un lavoro di ricerca schietto, realistico ma in nessuna parte intriso di rassegnazione. Propone un quadro di una Calabria che si è aperta alla descrizione di sé in mezzo ad ostacoli, ai quali talvolta chi ci vive si adatta, e avanza ipotesi di discontinuità possibili con un passato sopraffatto da rappresentazioni stereotipate che condizionano la percezione collettiva sia dei residenti che dei calabresi della diaspora.
Un libro da leggere, da scompattare in approfondimenti sui temi trattati nei sei capitoli e da ricompattare ancora, perché non si perda il valore del ragionare insieme e dell’insieme, della visione collettiva che deve sostituire le tante visioni soggettive che per lungo tempo si sono chiuse nell’autoreferenzialità; per “fare cose con le parole” perché il movimento della speranza parta dalle relazioni affettive, dalla cura, dalla solidarietà, che rappresentano “quel che ci resta” nella rarefazione, ma che è “tutto ciò che ci serve” per educarci ad una buona disposizione al futuro, imprevedibile ma, proprio per questo, possibile.
*Presidente del Circolo culturale “Tommaso Cornelio” di Rovito
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