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Il verdetto

“Xenia”, per Mimmo Lucano la sentenza in appello: giudici in camera di consiglio

La Procura generale di Reggio Calabria ha chiesto per l’ex sindaco di Riace 10 anni e 5 mesi di reclusione. 18 in tutto gli imputati

Pubblicato il: 11/10/2023 – 10:15
di Mariateresa Ripolo
“Xenia”, per Mimmo Lucano la sentenza in appello: giudici in camera di consiglio

REGGIO CALABRIA Giudici in camera di consiglio. Si avvia verso la conclusione il processo di secondo grado che vede alla sbarra l’ex sindaco di Riace Domenico Lucano e altri 16 imputati. L’ex primo cittadino è oggi assente in aula e aspetterà la decisione (che potrebbe arrivare in tarda mattinata o nel primo pomeriggio) dei giudici nel piccolo borgo diventato in tutto il mondo simbolo dell’accoglienza.
L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, ha chiesto per Lucano una condanna di 10 anni e 5 mesi di reclusione. Nel corso della scorsa udienza i legali di Lucano, gli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, avevano chiesto alla corte – presieduta dal giudice Elisabetta Palumbo (giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti) – di ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che in 900 pagine di motivazioni ha condannato il creatore del “Modello Riace” a 13 anni e due mesi di reclusione e 700mila euro di risarcimenti. L’accusa, sulla base dell’inchiesta “Xenia”, è di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza dei migranti per trarre vantaggi personali. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema alla base del celebre “Modello Riace”. Secondo la difesa, quella di Lucano è una «innocenza documentalmente provata» poiché l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso». Nelle motivazioni d’appello i legali rilevano che in sentenza c’è stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili. (redazione@corrierecal.it)

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