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L’intervista

Carbon tax sui porti, Russo: «Il governo non ha difeso scali come Gioia»

Il docente della “Mediterranea” punta l’indice sulla mancata predisposizione di un documento da sottoporre all’Europa: «La Regione si sostituisca»

Pubblicato il: 13/10/2023 – 11:00
di Roberto De Santo
Carbon tax sui porti, Russo: «Il governo non ha difeso scali come Gioia»

REGGIO CALABRIA Si sarebbe potuto fare di più e muoversi in tempo per evitare che la direttiva europea “Emission Trading System” possa avere contraccolpi sull’economia marittima dei porti come quello di Gioia Tauro. L’introduzione di una tassazione sulle emissioni di carbonio nell’atmosfera delle grandi navi mercantili, infatti, avrà ripercussioni pesantissime sul futuro dello scalo calabrese con ricadute sull’intero Paese. È in sintesi il pensiero che Francesco Russo, professore ordinario di Trasporti e logistica all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, confida al Corriere della Calabria. A questo proposito il docente, con un trascorso anche di assessore regionale con delega alla Logistica e al Sistema portuale regionale, denuncia la mancata predisposizione da parte del Governo di una «memoria» con controdeduzioni su quella norma da sottoporre all’Unione Europea. E per questo invita la Regione a correre ai rimedi e a sostituirsi all’esecutivo Meloni per proporre alle autorità europee i correttivi. Per Russo, quel sistema di tassazione introdotto da Bruxelles, comporterebbe conseguenze per l’Italia intera. Questo perché dice: «il trasporto container è decisivo per la vita del Paese». «Stupisce – sottolinea – che non si sia compreso come Gioia Tauro sia strategico per l’import e l’export nazionale e quindi per l’intera nostra economia».

Andrea Agostinelli, presidente dell’Autorità di Sistema portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio

Professore, qualche giorno addietro il presidente dell’Autorità di Sistema portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio, Andrea Agostinelli, ha lanciato l’allarme sugli effetti dell’introduzione della tassa europea sulle emissioni delle navi sulla competitività del porto di Gioia. Ci spiega come funziona questa norma e perché si temono ripercussioni?
«I rischi ci sono certamente. La direttiva EU Ets (European Union Emission Trading System) è una norma europea relativa alla limitazione dei gas serra operativa dal 2005. La direttiva, con una specifica procedura, si applica a partire da gennaio 2024 al trasporto marittimo. Considerando il solo trasporto dei container, la direttiva può generare effetti differenti per i diversi porti europei. È necessario spiegare come si muove il trasporto marittimo: il generico container che da un porto dell’Oriente deve arrivare in uno scalo europeo si muove attraverso tre passaggi. Nel primo il container viene trasferito dall’Oriente verso l’Europa su una grande imbarcazione (detta nave madre) capace di trasportare ventimila contenitori, con una notevole economia di scala. Il secondo passaggio avviene attraverso il trasferimento del contenitore in uno scalo portuale capace di far entrare le grandi navi, detto porto di transhipment. Ed infine il container, con imbarcazioni più piccole (dette navi feeder), viene trasportato dal porto di transhipment allo scalo di destinazione finale. La norma EU Ets prevede un costo da pagare per l’inquinamento prodotto. In qualche modo la norma vuole spingere a utilizzare mezzi di trasporto non inquinanti. Ad oggi e fino alla realizzazione di navi con motori di nuova generazione e con combustibili green, l’effetto principale, distorcente, derivante dalla normativa EU Ets, sarà relativo alle navi madri. Consideriamo le navi madri che si muovono sulla rotta detta del “pendolo”, e cioè dall’estremo Oriente (Cina, Singapore, India, …) alle coste occidentali del Nord America (USA, Canada) e che attraversando il Mediterraneo si fermano in un porto di transhipment (Grecia, Italia, Spagna, Malta). Queste navi dovranno pagare un costo relativo all’inquinamento che producono in tutto il tragitto, costo da calcolare con specifiche formule. Ora se queste navi decidessero di non fermarsi in un porto europeo ma facessero rotta su uno scalo portuale della costa mediterranea del Sud (Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco), dove la normativa EU Ets non si applica, non pagherebbero il costo di inquinamento. Da qui l’effetto distorcente. C’è anche da dire che le navi madri che effettuano il transhipment nei porti del nord Europa (Olanda, Germania, Belgio) non avranno alternative valide a scali diversi perché tutti i Paesi che costeggiano questa rotta – facendo parte di Stati membri dell’Unione europea – hanno la stessa normativa EU Ets, quindi le navi madri non avranno la possibilità di non pagare il costo di inquinamento. Per queste tratte non è pensabile che una nave madre modifichi lo scalo e si fermi in un porto della costa Sud del Mediterraneo (dall’Egitto al Marocco). Questo richiederebbe l’utilizzo di più navi feeder dal Mediterraneo, con un costo operativo notevolmente superiore per raggiungere le coste dell’Europa del Nord. Il costo operativo sarebbe comparabile con il costo EU ETS annullando l’economia di scala del transhipment. In sintesi l’applicazione della direttiva porterà ad una forte asimmetria tra i porti del Nord e del Sud Europa. Tra queste ovviamente anche Gioia Tauro».

La direttiva EU per ridurre le emissioni di gas serra colpirebbe pesantemente il porto di Gioia

Cosa comporterebbe per la Calabria la perdita di attrattività dello scalo?
«Per la Calabria comporterebbe la sicura perdita del transhipment internazionale del porto di Gioia Tauro e quindi un drastico ridimensionamento dei traffici dello scalo, con lo scenario più drammatico immaginabile. Colpirebbe pesantemente l’attrattività del porto, le sue attività collaterali con conseguenze diffuse nell’intera regione. Sarebbe il secondo duro colpo dopo quello avuto, poche settimane addietro, con la modifica della normativa sulle Zone economiche speciali. Attualmente a Gioia e nelle aree interdipendenti connesse dalla Zes Calabria lavorano circa diecimila persone, di cui duemila direttamente impegnati nelle attività dello scalo portuale. La perdita di attrattività conseguente all’entrata in vigore della direttiva europea creerebbe un grave impatto occupazionale. Occorre considerare che per ogni lavoratore direttamente impegnato nelle attività del molo, si generano almeno altri due addetti nell’indotto complessivo. Il sistema ristretto “porto di Gioia” tra occupazione diretta, indiretta ed indotta assorbe oggi circa seimila addetti. Questo fa comprendere l’impatto potenzialmente devastante non solo per quest’area».

Sono le grandi navi, come quelle che approdano a Gioia, ad essere colpite dalla norma


Sono in molti a chiedere l’intervento del Governo per le ricadute sull’intero Paese. Anche per lei è una vicenda di carattere nazionale?
«È certamente una vicenda di carattere nazionale. Il trasporto container è decisivo per la vita del Paese, per vari motivi. La presenza di uno dei più importanti porti transhipment dell’Europa, Gioia Tauro, e di altri due grandi porti, Cagliari e Taranto, fanno del nostro Paese uno degli ingressi principali dell’Europa con un impatto occupazionale elevatissimo. Eliminare il transhipment dall’Italia avrebbe un impatto pesantissimo anche negli altri porti italiani. Conseguenze che non sono state debitamente attenzionate dal Governo nazionale. Se un container non fa scalo a Gioia Tauro, ma fa rotta a Port Said non è detto che poi entri in Europa dai nostri porti finali come Genova, Trieste, Livorno, etc. Le ricadute occupazionali sarebbero gravissime. L’impatto immediato della direttiva europea si avrebbe sui porti di transhipment, ma subito i contraccolpi finirebbero per coinvolgere anche altri porti. Con conseguenze pesantissime sull’intera filiera produttiva legata al trasporto marittimo: dalla logistica industriale alla logistica di ultimo miglio. Effetti che si ripercuoterebbero sia sugli aspetti materiali del trasporto dei beni che per tutti quelli connessi ai servizi immateriali. Della disattenzione nazionale quello che colpisce è la miopia nel non essere riusciti a comprendere ancora che, in un’economia globalizzata come quella che stiamo vivendo, il porto di Gioia Tauro non sia solo importante per l’occupazione e l’economia calabrese, ma sia strategico per l’import e l’export nazionale e quindi per l’intera nostra economia».

Il ministro Raffaele Fitto con la premier Giorgia Meloni

Cosa potrebbe mettere in piedi l’esecutivo Meloni per evitare le eventuali ripercussioni sul porto calabrese e non solo?
«Il Governo avrebbe dovuto subito, appena definita la procedura di applicazione della direttiva EU ETS, muoversi con la predisposizione di un documento di controdeduzioni su quella norma da sottoporre all’Unione Europea. Il documento – detto “memoria” – analizza e confronta organicamente gli elementi relativi alle componenti ambientali, con quelli legati agli aspetti economici e sociali, evidenziando quindi tutte le classi di rischio dovute alle distorsioni indotte dalla direttiva. E viene prodotto in linea con “Agenda 2030” di cui il documento europeo FIT 55 (da cui scaturisce la direttiva EU ETS di cui stiamo discutendo) si riferisce. In altre parole sarebbe necessario predisporre la memoria quantitativa analizzando le varie componenti di diritto e di economia, alla luce della strategia che sta alla base di “Agenda 2030”. Questa individua 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, con grande attenzione alle componenti economiche e sociali. Dalla memoria dovrebbero emergere due ordini di anomalie: le distorsioni che verrebbero generate dalla direttiva sul traffico mercatile e la grave contraddizione che si creerebbe ai danni dell’area più debole del Paese. Un aspetto quest’ultimo legato alla circostanza che da una parte notevoli risorse europee vengono finalizzate alle aree in ritardo di sviluppo come la Calabria, e dall’altra si pone in essere una norma che rende inutili quegli investimenti. L’esecutivo nazionale avrebbe già dovuto presentare questo documento, come hanno fatto gli altri Paesi europei che si trovano nelle nostre stesse condizioni. Non sembra che ci sia stata una memoria approvata e presentata dal Governo italiano. Se ci fosse, sarebbe interessante conoscerla». 

La norma adottata da Bruxelles mira a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera

Dunque quella norma (EU ETS) è stata adottata da Bruxelles per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera e contrastare così i cambiamenti climatici. Come contemperare questa esigenza con quella di mantenere inalterato il livello di competitività degli scali?
«Guardi il problema che genera la norma EU ETS è quello di un differente impatto per i porti del Nord Europa rispetto a quelli della sponda Sud. Se invece la tassa “inquinamento” si fosse introdotta sui container al momento della loro entrata nel territorio europeo a prescindere dallo scalo effettuato, si eliminerebbe la disparità tra i porti europei. Sostanzialmente è come se mettessimo una tassa doganale uguale per qualunque porto di attracco. Questa soluzione lascerebbe inalterata la distorsione esterna tra i Paesi UE e gli altri Paesi non Ue. L’Europa può certamente adottare linee strategiche in direzione di drastiche politiche per contrastare i cambiamenti climatici, ma queste devono essere fatte senza creare squilibri “paradossali” all’interno dell’Unione. La modifica del costo di inquinamento con il pagamento nel porto finale e non in quello intermedio eliminerebbe le distorsioni tra i Paesi UE, ma non certo la perdita del transhipment extra-UE. Questa perdita sarebbe comunque definitiva per i Paesi Europei che si affacciano nel Mediterraneo».

Quale strategia potrebbe mettere in campo la Regione per contenere le eventuali ricadute?
«La Regione ha due iniziative che può mettere in campo. La prima è immediata e occorre che non si perda ulteriore tempo. La Regione deve produrre la migliore memoria possibile sulla direttiva da sottoporre all’Unione europea, in sostituzione del Governo.  Si tratta di impegnarsi da subito come ha fatto la Regione Calabria quando ha proposto – di sua iniziativa – la legge sulla Zona economia speciale. Quella norma è stata prodotta dalla Giunta Regionale e dal Consiglio della Calabria con il coinvolgimento delle forze sindacali e datoriali con una fitta interlocuzione con Bruxelles, e poi sottoposta al Governo nazionale. Il Parlamento l’ha fatto propria estendendola a tutto il Mezzogiorno. Il percorso dovrebbe essere lo stesso. Ritengo necessario che se lo Stato non interviene su questa materia, deve muovere immediatamente la Regione, anche considerando quanto già fatto da altri Paesi del Mediterraneo. La Regione può e deve coinvolgere i migliori studi di diritto internazionale e avrebbe certamente il supporto delle università, dei sindacati, di Confindustria, dell’autorità di sistema portuale. La Giunta ed il Consiglio Regionale devono produrre un grande sforzo nell’interesse di oggi e di domani di tutti i cittadini. La seconda iniziativa da mettere in campo deve puntare a rafforzare ancor più il porto di Gioia con ulteriori investimenti. La banchina Ovest, dove si deve attestare il bacino di carenaggio, è stata finanziata integralmente dalla Regione nel 2017. La Regione dovrebbe adesso finanziare la banchina Sud ed il relativo piazzale. Senza l’intervento della Regione il lato Sud non sarà mai sistemato, così come non era stato sistemato il lato Ovest dai Governi nazionali. Il porto di Gioia Tauro deve permettere molteplici attività, dalla ZES al bacino di carenaggio, dagli ulteriori piazzali Sud al sistema telematico avanzato PCS. Il transhipment deve essere sempre l’asse portante, ma le altre attività devono aumentare l’attrattività offrendo sempre migliori servizi, rendendo il Porto sempre più competitivo ed al riparo dalle congiunture internazionali. Gioia Tauro è una grande risorsa, per la Calabria e per l’Italia non solo deve essere difesa come primario interesse nazionale, ma deve essere ancor più sostenuta nella sua crescita». (r.desanto@corrierecal.it)

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