LAMEZIA TERME Una condanna a 11 anni nel processo “Perseo”, diventata definitiva nel 2018. Un precedente tentativo, riportato dalle cronache, di accreditarsi come “informatore” durante la permanenza nel carcere di Cosenza. E poi il blitz di ieri, a Roma, in cui è emerso il suo ruolo come capo di una gang di spacciatori per un “giro” che fruttava anche 60mila euro a settimana.
Il “principale” era lo “zio” Antonio De Vito, considerato – alla luce della sentenza definitiva – appartenente alla cosca Giampà di Lamezia Terme. Si era trasferito dalla Calabria a Roma facendo del Quarticciolo il proprio “quartier generale”. E aveva organizzato un traffico di coca capace di produrre grosse cifre. Quando è stato raggiunto dalla misura cautelare, De Vito si trovava già nel carcere di Parma. Gli inquirenti lo considerano il vertice del gruppo che gestiva e riforniva la piazza di spaccio compresa fra via Manfredonia e piazza del Quarticciolo. L’indagine non si è concentrata sui canali di provenienza della cocaina ma l’ipotesi è che le sostanze stupefacenti provenissero dal Sud.
È il Messaggero a ricostruire i metodi della gang oggetto dell’operazione condotta dai carabinieri su delega della Direzione distrettuale antimafia (le indagini risalgono al 2019). Gli uomini agli ordini di De Vito si erano infiltrati in una delle più note piazze di spaccio romano. Perché di là dai turni di pusher e vedette – che erano tre, dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6 del giorno dopo – c’era la fantasia dei nascondigli per la droga o la “base” operativa per far di conto e procedere con le ripartizioni, proventi compresi.
Come riportano le carte «il circolo associativo “Liberi Tutti” di via Manfredonia 51 (la cosiddetta bisca) facente capo a De Vito che ne ricopre la carica di presidente» era «di fatto la base logistica del gruppo, dove venivano fatti confluire gli acquirenti via via indirizzati al pusher di turno solitamente posizionati nei pressi».
Una cantina di via Manfredonia non era solo un posto di “stoccaggio” ma anche di spaccio dotata di sistemi di videosorveglianza interna e «di una grata a piano strada per poter effettuare la vendita di stupefacente all’esterno». L’organizzazione, per evitare di tenere troppa droga nelle rispettive abitazioni, aveva creato – secondo quanto ricostruisce il Messaggero – anche due casseforti murate all’esterno degli edifici «per la distribuzione di quantitativi intermedi di stupefacente in largo Mola di Bari (vicino all’edicola di una Madonna) e a piazza del Quarticciolo civico 19/A». Oltre ai motorini “abbandonati” nelle strade che fungevano da contenitori della coca, De Vito avrebbe sovrinteso la locazione di un appartamento per il tramite di una donna attraverso una falsa identità. Nello specifico al locatario aveva fatto credere che quella donna fosse una signora del 1944 nata a Badolato, in provincia di Catanzaro. E per rendere credibile il tutto aveva con sé i documenti della donna anche se nella carta d’identità c’era la foto della sua “sodale”. In quell’appartamento la droga arrivava, veniva confezione e poi ritirata a giro da chi la doveva spacciare.
Sempre De Vito era colui che si preoccupava che le “pizze” ovvero la cocaina venisse confezionata a determinati ritmi per non lasciare i pusher in strada a “bighellonare”. (ppp)
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