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La Calabria ignora il centenario della nascita di Vittorio De Seta

Storia del maestro del cinema documentario che è stato calabrese nell’anima. Parole e immagini per non dimenticare la sua lezione

Pubblicato il: 16/10/2023 – 16:49
di Paride Leporace
La Calabria ignora il centenario della nascita di Vittorio De Seta

Vittorio De Seta, regista, cento anni dalla nascita lo scorso 15 ottobre. Nella sua amata Calabria nessuna celebrazione significativa, fatta salva una bella mostra a Catanzaro purtroppo poco pubblicizzata, ma anche in Italia siamo sullo stesso andazzo. Si distingue solo “Fuori orario” di Enrico Ghezzi con una magnifica retrospettiva in tre weekend possibile da vedere su RaiPlay.
Una vita intensa quella di Vittorio De Seta adoperata a realizzare un cinema che non ha mai fatto finta di niente. Calabrese di origine e residenza, questo grande e scomodo artista merita ancora attenzione e rispetto.
De Seta è nato a Palermo, la mamma, Maria Elia figlia di un ammiraglio, sposò il marchese De Seta, figlio del prefetto di Palermo. (Spia, amante dell’arte, ma molto vicina al ministro Bianchi e Mussolini). Sangue nobile, ma in un’iniziativa pubblica a Cosenza, quando una professoressa accennò a questo dato biografico, De Seta ebbe un gesto di sdegnosa stizza. La stessa che ebbe a Milano, ammesso con onore nel salotto di Visconti come giovane autore talentoso e impegnato, rifuggì sdegnato dallo sfarzo lussuoso in cui viveva il progressista marchese Luchino.
Il bambino De Seta lascia la Sicilia a 7 anni, si trasferisce a Roma dove compie i suoi studi per poi iscriversi ad Architettura. Ma la folgorazione del cinema è in agguato. Un viaggio in Francia permette l’esperienza di aiuto regista in un lungometraggio, ma il giovane Vittorio non è tipo da carriera tradizionale. Inizia da solo. Compra una macchina 16 millimetri e gira in bianco e nero dedicandosi al documentario. E’ attratto dai subalterni e dagli emarginati, vuole raccontare i dannati della terra.
Con un ragazzo che lavora nel bar di fronte casa sua parte per le coste estreme della Calabria. In una Mercedes carica delle lampade, un’Arriflex 35 millimetri e un pesante registratore tedesco. Così è nato “Venni lu tempu di li pisci spada” realizzato tra Bagnara e Scilla nel 1955. Oltre ad aver documentato un rito vitale della nostra economia di sussistenza, De Seta innova il linguaggio del documentario. L’uso del colore, l’eliminazione dei barbosi commenti fuori campo, un ritmo da videoclip nelle immagini e nell’uso della musica rivelano questo promettente giovane.

Continuerà in Sicilia la ricerca sui pescatori, sulle feste, gli ultimi zolfatari nisseni. Vince un premio a Cannes con il miglior documentario. Poi passerà ai pastori della Barbagia e alla Sardegna. La realizzazione di due documentari è propedeutica alla genesi del primo film a soggetto “Banditi ad Orgosolo”. De Seta fa tutto da solo. Cura produzione, fotografia, montaggio e sceneggiatura. Prende gli attori dalla strada con metodo neorealista decretando un incredibile successo di critica per la pellicola. La questione del banditismo sardo viene rivelata e incastonata nella nuda verità.

Banditi a Orgosolo

In quegli anni fecondi De Seta torna in Calabria. Ad Alessandria del Carretto nell’Alto Jonio cosentino. L’intenzione è di documentare un paese senza strade e molto povero. Si passa dalla mulattiera o dal fiume quando non è in piena. Sul posto il regista scopre la festa dell’albero. Un pino enorme viene scortecciato e issato nella piazza del paese per poi essere scalato nel tripudio generale come albero della cuccagna. De Seta, amico di Carpitella e De Martino, comunque non fa documentarismo antropologico ma marxianamente documenta, assumendosi sempre le scelte della sua responsabilità. Ad Alessandria Del Carretto quei dimenticati non hanno mai dimenticato De Seta. Cittadino onorario del paese. L’anno prima lo stesso tributo al regista anziano era stato dato da Orgosolo in ricordo di quei banditi che avevano fatto assegnare il Leone d’argento al miglior esordiente a Venezia mentre i critici avevano dato il Nastro d’argento alla migliore fotografia.
L’autore De Seta potrebbe procedere su una strada di successo, sceglie invece un versante psicanalitico non compiutamente riuscito: “Un uomo a metà” del 1966 e ”L’invitata” del 1969 non portano lustro. Jacques Perrin comunque vince la coppa Volpi a Venezia, il film ebbe consenso da Moravia e da Pasolini. Nell’aprile del 1965 riceve una telefonata da un giovane calabrese. Si chiama Gianni Amelio. Si propone come assistente volontario. Lo sarà. Ma si parlano poco i due. Si incontreranno 32 anni dopo all’Unical per una proiezione del documentario “In Calabria”. Ha scritto Amelio. «Non era più il De Seta che ricordavo. Aveva l’aria di un ragazzo che comincia a fare il cinema, non di un regista consacrato che può permettersi di dare lezioni. Vittorio, le lezioni le cercava».

Gianni Amelio

Nel 1996 De Seta dirà di Amelio: «Gianni mi fa pensare a quei cardi selvatici, pieni di spine che, quando ero bambino in Sila, un guardiano di nome Mazzei mi puliva laborosiamente con un coltello. Alla fine restava il volume di un fondo di bicchiere che, per la fatica che era costato, si mangiava lentamente, con compunzione».
San Pietro Magisano e Sellia Marina distano 3 chilometri tra loro. Il paese in cui è nato Amelio e quello dove è morto De Seta. Ho sognato di veder camminare su quella strada i due più importanti registi calabresi. In Calabria oltre a campare d’aria si vive anche di sogni.

Diario di un maestro

De Seta realizza “Diario di un maestro” nel 1972, viene trasmesso in Rai a puntate con una vibrante interpretazione di Bruno Cirino. Sarà un prodotto esplosivo per la società dell’epoca. La borgata di Pietralata raccontata in presa diretta dai banchi delle elementari costringe scuola e società a guardarsi dentro con serietà riflessiva. Dei bambini che devono imparare e un maestro che deve insegnare a dei bambini come imparare. E quel capolavoro televisivo avrà un riuso grazie alla realizzazione del documentario “I Malestanti trent’anni dopo” che ha rintracciato i piccoli protagonisti dell’epoca per metterli a confronto con quel rivoluzionario metodo pedagogico. L’attento e cinefilo sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha organizzato una bella serata in Campidoglio proiettando i due lavori ed offrendo un bell’omaggio a De Seta.
Il regista negli anni Settanta si ferma. Un suo merito è stato quello di non girare perché non aveva nulla da dire. Un distacco della retina e la morte della moglie lo conducono in Calabria. A Sellia Marina si ritira a fare l’agricoltore incarnando il ruolo del Cincinnato intellettuale. Ma in quell’eremo di Sud iniziano le frequentazioni con giovani cinefili che conoscono la sua arte. Amicizie, consigli da maestro, voglia di tornare a sperimentarsi. Nel 1993, grazie alla Rai, nasce il documentario “In Calabria” apologo pasoliniano discusso e forse anche discutibile sulla modernizzazione che ha rimosso il mondo contadino. Non si dava pace per essersi fatto imporre dalla produzione il commento fuori campo. Spiegazioni non dovute che dovevano essere solo racconto. E’ stato calabrese nell’anima.

Lettere dal Sahara

A ottant’anni Vittorio è di nuovo al lavoro. Realizza “Lettere dal Sahara”, viaggio in Italia di un immigrato. Sceneggiatura tratta da biografie da migranti e l’autore nel nuovo millennio racconta i nuovi subalterni.
Martin Scorsese ha detto nel momento della sua scomparsa: «Catturò il ritmo del lavoro, i suoni delle vette delle montagne e quelli nelle case, il passare del tempo nei villaggi e tra i pescatori nel mare, l’arco della vita, la consistenza della terra e l’aria. De Seta ritornò a quelle immagini solo qualche anno fa, rimasterizzò il colore, cambiò i ritmi, e affinò le colonne sonore. Nel loro insieme, esse – ha detto Scorsese – sono una delle meraviglie del cinema. Vittorio De Seta fu veramente un grandioso, dinamico artista, e io piango la sua scomparsa».
Parole di un maestro del cinema scolpite nella pietra.
Non dimentichiamo il grande Vittorio De Seta.

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