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La riflessione

Quando il lavoro può deprimere

È come se il lavoro da una parte e il costo della vita dall’altra nonvenissero considerati per stabilire una giusta retribuzione per lavalutazione di un dipendente. Si continuano ad attivare contr…

Pubblicato il: 16/10/2023 – 9:04
di Franco Scrima*
Quando il lavoro può deprimere

È come se il lavoro da una parte e il costo della vita dall’altra non
venissero considerati per stabilire una giusta retribuzione per la
valutazione di un dipendente. Si continuano ad attivare contratti definiti
da qualcuno “della disperazione”. E che lo siano realmente è sufficiente
attendere pochi mesi fino al prossimo aumento del “costo della vita”.
Non importa se il dipendente possiede una laurea o un diploma.È da
dedurre che le valutazioni sono basate su altri elementi, tranne che per le
assunzioni. Dopo sei uno dei tanti, un lavoratore che va remunerato a
norma di contratto, scelto tra quelli i cui indici remunerativi sono più
convenienti per l’azienda. Il risultato è che lo stipendio, anche in una
regione come la Calabria, non permette di fare arrivare una famiglia a fine
mese se non con qualche “debito” da saldare.
È sufficiente fare due conti: la spesa alimentare che è aumentata vertiginosamente e, dunque, niente cene fuori casa con gli amici, niente pizzeria. Ci sono da pagare le bollette che arrivano sempre puntuali e con cifre in crescita; poi la rata del mutuo, quella per l’acquisto dell’automobile, i libri per i figli e qualche raro capo di abbigliamento.
Qualcuno si rende conto che non è una vita soddisfacente? Sembra piuttosto una prova di sopravvivenza alla quale viene sottoposto un essere umano posto difronte ad una fatica che condiziona ogni modo di fare e di agire, persino di pensare. Come se la vita, che un tempo si diceva “va vissuta”, si lascia inseguire senza farsi raggiungere.
Mai nessuno che si ponga problemi come questi, una dirigenza che ti aiuti e ti sostenga. Anzi è proprio quella dirigenza che sceglie il contratto, ovviamente tra quelli che fanno risparmiare. Il che significa rendere tutto più pesante, e demotivare i dipendenti che ritorneranno a casa insoddisfatti dopo una giornata di lavoro.
Nel Paese si parla tanto di salario minimo. Forse sarebbe opportuno parlare di salario giusto. Si eviterebbe di assistere a differenze elevate della retribuzione tra categorie, non sempre appropriate. Ciò fa in modo da fare pensare a sé stesso e alla sua famiglia quando sarà pensionato.
Quanti euro percepirà al mese? Saranno sufficienti per vivere? È veramente dubbioso, già non lo sono adesso. Buona parte dei dipendenti di aziende posseggono una laurea, eppure lo stipendio è fermo da anni a circa 1.500 euro al mese. Quello di un infermiere è di 2.300 Euro e quello di un netturbino 1.800 euro.
Pur nel rispetto delle persone che svolgono quei lavori, non sembra dignitoso per chi assieme alla domanda per l’assunzione ha dovuto presentare anche il titolo di studio che, col passare degli anni, sembra non essere servito a nulla!
*giornalista

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