CATANZARO Urla, strepiti, fino all’allontanamento della teste dall’aula e alla sospensione dell’udienza. È finita con la richiesta della trasmissione degli atti alla Procura generale per oltraggio alla corte e calunnia l’udienza che si è tenuta ieri in Corte d’Assise d’Appello a Catanzaro relativa all’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso. Imputato quale esecutore materiale del delitto è Marco Gallo, già condannato all’ergastolo in primo grado.
Ieri è stata sentita in aula, come persona informata sui fatti, Mirella Raso, moglie di Antonio Scalise.
Per una breve parentesi di tempo, nel 2022, i due coniugi avevano reso dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Antonio Scalise, 45 anni, figlio del capo cosca Pino e fratello di Luciano Scalise, considerati dall’accusa i mandanti dell’omicidio del penalista lametino, ha parlato delle estorsioni che avrebbe effettuato la famiglia ai danni di imprenditori dei paesi montani del Reventino: «… pretendevano di inserirsi anche essi nei lavori oppure richiedevano il pagamento di mazzette. Ad occuparsi del “dialogo” con gli imprenditori e la riscossione delle somme, se ne occupava per lo più Luciano». E ha raccontato particolari anche sul delitto Pagliuso, ovvero che Pino e Luciano Scalise accusavano l’avvocato di «difendere persone che non doveva difendere». L’omicidio è avvenuto su commissione anche se la famiglia aveva «disponibilità di armi». Di più, Scalise ha raccontato che dopo l’arresto di Gallo, Luciano Scalise avrebbe commentato il fatto auspicando che Gallo «non intraprendesse un percorso di collaborazione, anche se si mostrava al contempo tranquillo sulla fedeltà di Gallo in forza di un accordo che lui stesso e Gallo avevano in precedenza pattuito, ovvero che qualsiasi cosa fosse accaduta a seguito degli omicidi, Gallo non avrebbe parlato con l’autorità giudiziaria».
Già il 20 dicembre 2022, nel corso dell’udienza Reventinum, Antonio Scalise e sua moglie Mirella Raso hanno ritrattato tutto.
Scalise disse di essere stato usato «come uno scudo di ferro» da parte di «chi ha fatto le indagini». «Noi ci siamo rivolti alla legge per il fatto che mio marito è stato minacciato di morte e volevamo essere aiutati», rincarò la dose la moglie. Raso disse che questi soggetti non meglio identificati lei li ha visti per la prima volta mentre si trovava in macchina col marito e avevano il viso camuffato dalla mascherina e dagli occhiali da sole. Avrebbero minacciato il consorte esortandolo a «incolpare il padre e il fratello per delle questioni che dicono loro».
Anche ieri in corte d’appello, durante l’interrogatorio del pg Luigi Maffia, Mirella Raso ha affermato di essere stata «minacciata dalla legge».
Davanti a queste gravi dichiarazioni è intervenuto il presidente della Corte d’Assise d’appello, Abigail Mellace, che ha contestato le contraddizioni tra quello che la donna aveva fatto mettere a verbale e le parole della sua testimonianza.
Ma la Raso, dopo qualche domanda, è andata su tutte le furie. «Mo parru io… Andate a f…… tutti quanti».
Gli sproloqui sono continuati anche nel corridoio quando la Raso è stata allontanata dall’aula.
Un’escalation che ha portato il pg Maffia a chiedere la trasmissione degli atti alla Procura generale per oltraggio alla corte e calunnia.
L’udienza proseguirà il prossimo 21 novembre per completare l’esame di Mirella Raso e proseguire con l’esame del marito Antonio Scalise. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x